giovedì 28 agosto 1997* TURCHIA: LE BUONE RAGIONI DI DINI E L'INCURIA DELL'UNIONE
* SUD AFRICA: LASCIA DE KLERK, UN GRANDE AFRICANO
* ANTONIO MARTINO SUL PARTITO RADICALE
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TURCHIA: LE BUONE RAGIONI DI DINI E L'INCURIA DELL'UNIONE
Le buone ragioni del Ministro Dini, se non difese con grande fermezza dall'Unione europea, rischiano di dare ragione a chi le vede solamente come strumentali per 'altro' di meno confessabile
Dichiarazione di Olivier Dupuis, Segretario del Partito radicale transnazionale ed eurodeputato
Il Ministro degli Esteri italiano Dini ha perfettamente ragione nel sostenere che l'esclusione de facto della Turchia dall'elenco dei Paesi candidati all'adesione all'Unione europea sia, dal punto di vista politico, assolutamente insostenibile. Come ha sempre sostenuto il Partito radicale - e non solo per la Turchia - l'adesione all'Unione deve essere concepita come la conclusione di un processo di riforme. In campo economico la Turchia si trova sicuramente all'avanguardia rispetto ai possibili nuovi Paesi aderenti. E sebbene non sia oggi in grado di contemplare l'insieme dei requisiti politici, in particolare nel campo del rispetto dei diritti umani, ha dimostrato in questi 10 ultimi anni non solo la volontà ma anche la capacità di attuare importanti riforme.
Escludere oggi la Turchia da ogni possibilità concreta di aderire all'Unione non significa soltanto discriminarla rispetto agli altri Paesi candidati - e rafforzare quindi il sospetto che l'adesione all'Unione sarebbe riservata ai soli cosiddetti Paesi cristiani - ma anche privarla di un importante incentivo nel suo processo di riforma e aprire le porte a pericolose involuzioni; e ad averne gravi conseguenze sarebbe anche l'Unione europea.
Ragioni di una tale importanza non possono essere liquidate semplicisticamente, come il Ministro Dini ha purtroppo dato l'impressione di fare, con il pretesto che esse sarebbero minoritarie in seno all'Unione, ma devono costringerlo a dare battaglia con tutto il peso del Paese che rappresenta.
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SUD AFRICA: LASCIA DE KLERK, UN GRANDE AFRICANO
Frederik Willem de Klerk, ultimo presidente bianco del Sudafrica e artefice della fine della segregazione razziale nel suo paese, lascia quindi la politica. Gli rendiamo omaggio, oggi come abbiamo già fatto molte volte in passato, quando tutti viceversa lo esecravano auspicando magari uno sbocco violento alle giuste rivendicazioni della maggioranza nera sudafricana. Se in Sudafrica non vi è stato il tragico bagno di sangue che caratterizza sempre di più le 'transizioni democratiche' di tanti Paesi del continente, lo si deve principalmente a lui, oltre che naturalmente a Nelson Mandela, il solo dei dirigenti dell'ANC e dei numerosissimi 'compagni di strada' internazionali della lotta antiapartheid - per i quali il regime bianco era comunque un nemico con il quale non si poteva trattare - a comprendere che la volontà di de Klerk di mettere la parola fine ad un'ingiustizia della storia era effettiva e non fittizia.
Il Partito radicale è stato fra i pochi, già prima della svolta antisegregazionista, ad aver avuto il coraggio di indicare nelle contraddizioni della democrazia sudafricana, pur così drammaticamente discriminatoria, i germi che avrebbero potuto portare, pacificamente, alla piena emancipazione della maggioranza nera; è fiero di aver sottolineato che gli indicatori relativi alla popolazione erano i più alti del continente anche nei periodi più oscuri dell'apartheid, e di avere ammonito una certa 'sinistra' internazionale - sempre pronta a mobilitarsi per l'eroe eponimo e totalmente silensiosa quando oppressioni e massacri 'etnici' avvengono tra persone dello stesso colore di pelle - che i disastri dell'esportazione del marxismoleninismo in Africa, più ancora che la cieca politica occidentale, avebbero inevitabilmente condotto agli sfasci ai quali oggi assistiamo.
Il Sudafrica non vive in questo momento una stagione felice: all'entusiasmo dei primi mille giorni di presidenza Mandela sta succedendo incertezza politica, violenza urbana e una serie di passi falsi in politica interna ed internazionale che minano persino il prestigio del capo dello Stato presso i suoi sostenitori. In tale contesto, l'abbandono di de Klerk e l'apparente difficoltà del suo partito a trovargli un successore all'altezza non aiutano certo il Paese a ritrovare fiducia in se stesso.
De Klerk e Mandela sono stati, congiuntamente, due grandi pacificatori proprio perché hanno saputo lavorare per un obiettivo comune cercando di dar vita ad una transizione 'soft': guai se, partito l'uno e con un mandato ormai di soli due anni l'altro, il Sudafrica dovesse conoscere di nuovo l'estremismo dell'ANC e, di converso, quello dei più accesi afrikaaner.
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ANTONIO MARTINO SUL PARTITO RADICALE
Il Partito radicale non è un partito come tutti gli altri, che compete con gli altri, e condivido molte delle battaglie di libertà che porta avanti; quando ero Ministro degli Esteri non solo le ho condivise, ma nella mia funzione anche aiutato affinché andassero avanti, per esempio alle Nazioni Unite per l'abolizione della pena di morte. E sono su posizioni antiproibizioniste da sempre, anche quando era quasi fisicamente pericoloso esserlo.
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