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Partito Radicale Centro Radicale - 11 dicembre 1997
Pr/Cora/Giornate antiproibizioniste di Bruxelles: intervento di Emma Bonino

GIORNATE ANTIPROIBIZIONISTE DI BRUXELLES: INTERVENTO DI EMMA BONINO

Al povero Nembo Kid - poi diventato Superman anche per noi italiani - toccava ogni tanto di finire in una specie di mondo a rovescio. Era un pianeta a forma di cubo, dove la gente aveva la faccia piena di angoli e spigoli e faceva tutto il contrario di ciò che il buon senso terrestre indurrebbe a fare. In utile aggiungere che, una volta li', lo straordinario ragazzone perdeva tutti i suoi sovrannaturali poteri.

Il proibizionismo sulla droga è un po' come questo strambo pianeta, dove il buon senso certamente si applica. Ma a rovescio. E i vari Nembo Kid, o "Zar antidroga", che vi si avventurano perdono di colpo i loro poteri. Di discernimento. Ultimo di una lunga serie di tali malcapitati è Pino Arlacchi - attuale direttore esecutivo del Programma Internazionale di Controllo della Droga delle Nazioni Unite (UNDCP), l'organo mondiale del proibizionismo - che non solo vuole rilanciare una politica notoriamente fallimentare come la sostituzione delle colture ma, come vedremo più avanti, ha anche scelto per farlo il paese più sbagliato che si possa immaginare.

Viceversa, al predecessore di Arlacchi, Giorgio Giacomelli, va il merito di aver esposto con grande chiarezza e abbondanza di dati le assurdità della politica proibizionista. E' infatti sotto la responsabilità di Giacomelli che l'UNDCP ha elaborato uno splendido "Rapporto Mondiale sulla Droga", pubblicato quest'anno in inglese da Oxford University Press, dove tutti i dati fondamentali del problema sono presentati con grande chiarezza e con molta obiettività.

Apprendiamo cosi' che negli ultimi dieci anni la produzione di foglie di coca nel mondo è più che raddoppiata, quella di oppio è più che triplicata; quella di Cannabis ha avuto una leggera flessione, di circa il 10%, ma solo se misurata a partire dall'inizio del decennio corrente. Lo stesso rapporto ci informa senza mezzi termini che "negli ultimi anni il consumo di droghe illecite è aumentato ovunque nel mondo". E tutto ciò' accadeva proprio mentre gli sforzi proibizionisti, nazionali e internazionali, subivano un'accelerazione senza precedenti. Tra il 1983 e il 1996, ad esempio, il bilancio annuale statunitense

per la lotta alla droga è aumentato di sette volte, arrivando a sfiorare l'anno scorso la ragguardevole cifra di 14 miliardi di dollari.

Per chi ancora non lo avesse capito, il motivo di tanto aumento nella produzione e nel commercio di droga è riassunto nel rapporto in una sola parola: profitto.

Rivenduto al dettaglio negli Stati Uniti, un chilo di eroina vale cento volte di più del prezzo all'ingrosso in Pakistan. Più o meno lo stesso aumento di valore si verifica con un chilo di cocaina che origini dalla Bolivia. Si tratta di un margine di profitto sconosciuto a qualunque altra attività di intermediazione commerciale: 99% del prezzo di vendita! Mi concedo ora una lunga citazione dal rapporto dell'UNDCP, perché ritengo che sia il migliore epitaffio concepibile da apporre sulla tomba del proibizionismo.

"I profitti che si fanno nell'industria delle droghe illegali - si legge nel rapporto - sono tali da essere appena scalfiti dai sequestri. Si stima che negli anni novanta, circa un terzo di tutto il traffico di cocaina è stato intercettato; tuttavia l'industria ha continuato ad espandersi. I trafficanti hanno ampi incentivi per sopportare i costi dei sequestri, poiché i profitti che fanno su una mera frazione delle droghe che riescono a trafficare possono coprire i costi della parte perduta. Una stima prudente dell'UNDCP indica che occorrerebbe intercettare almeno tre quarti dei carichi di droga per ridurre sostanzialmente i margini di profitto dei trafficanti".

Se questi sono i risultati il buon senso imporrebbe di abbandonare la barca proibizionista e di cominciare a sperimentare un altro approccio, cioè la legalizzazione. Ma nel pianeta degli zar dell'antidroga, come sappiamo, il buon senso si applica alla rovescia. Per cui, ecco che il rapporto dell'UNDCP non solo finisce per riproporci le stesse fallimentari politiche, ma si lancia addirittura in una critica delle tesi antiproibizioniste! Intendiamoci: che questa agenzia informi il cittadino (e contribuente) dell'esistenza di un approccio alternativo al problema è già un enorme passo avanti rispetto al passato, quando solo la parola "legalizzazione" era un tabù. Siamo sempre, tuttavia, nella logica del buon senso rovesciato: l'onere della prova dovrebbe ovviamente essere a carico dei proibizionisti; sono loro a dover dimostrare l'efficacia delle politiche che attuano da diversi decenni, invece di pontificare sui possibili fallimenti di approcci alternativi che non vogliono nemmeno provare.

Tra le politiche proibizioniste più fallimentari c'è certamente l'e radicazione e/o sostituzione delle colture di droga. Anche qui il motivo è semplice: nei paesi, tutti poverissimi, dove si coltivano la coca e l'oppio su grande scala, nessun altro tipo di attività agricola è altrettanto redditizia. Il rapporto dell'UNDCP riconosce questi limiti e anzi aggiunge che "più che in passato, viene riconosciuto che la crescita economica dell'intero paese è un fattore fondamentale per il successo delle colture alternative... il rafforzamento dell'amministrazione pubblica locale è un altro fattore importante".

Tuttavia, l'impulso a trarne le conclusioni esattamente opposte continua ad avere la meglio. Per cui, dov'è che con grande fanfara il direttore dell'UNDCP, Pino Arlacchi, sceglie di lanciare un grande programma di sostituzione delle colture di oppio? L'Afghanistan. Cioè un paese devastato da quasi vent'anni d'ininterrotta guerra civile, controllato per due terzi da una fazione, i Talibani, che solo tre paesi riconoscono e per un terzo dal governo legittimo, con una crescita economica negativa, con un'amministrazione pubblica inesistente.

Violando dunque i suoi stessi precetti e riconoscendo implicitamente un "governo", quello Talibano, responsabile tra le altre cose di apartheid contro le donne, l'UNDCP investirà 250 milioni di dollari in Afghanistan nei prossimi dieci anni. E il tutto sulla base di una promessa talibana di impegnarsi - con i metodi democratici per cui va famoso - nella sostituzione di quelle colture di oppio che ha promosso fino a ieri per finanziare le proprie imprese belliche.

Ecco un altro esempio, dunque, del rovesciamento del buon senso che caratterizza il pianeta antidroga e i suoi zar.

Se invece cominciassimo a seguirlo il buon senso, potremmo innanzitutto estendere quanto più possibile una serie di politiche di riduzione del danno, cominciando a depenalizzare la cannabis e i suoi derivati e generalizzando la distribuzione di eroina ai tossicodipendenti sotto controllo medico. Per poi intraprendere la strada della legalizzazione, che resta la sola misura capace di annullare la ragione essenziale del traffico di droga: il profitto di chi la commercia illegalmente. Un profitto che a sua volta infetta l'economia, la società e la politica di intere regioni del mondo.

Quanto ai tossicodipendenti, è di nuovo il buon senso a dirci che più che delle sostanze essi sono vittime del regime che le proibisce. Discutendo di un problema apparentemente solo economico - l'elasticità della domanda di droghe - il rapporto dell'UNDCP si lascia sfuggire che "la tossicodipendenza non è cosi' costrittiva come comunemente si crede: i consumatori di droga possono, e nei fatti riescono a, interrompere l'uso delle sostanze". Per cui, se si provasse a persuaderli a smettere o a limitare il proprio consumo - come si fa con ottimi risultati col tabacco, ad esempio - si otterrebbero molto probabilmente risultati migliori di quelli che si hanno facendoli consumare in un regime di illegalità. Oppure uccidendoli con sostanze tagliate a piacimento.

E' ora di prendere atto che le politiche proibizioniste sono dannose, oltre che fallimentari. Per cui, signori zar del proibizionismo, per favore, abbandonate il vostro pianeta. Seguite il buon senso. Tornate con i piedi in terra.

 
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