LE RAGIONI DI ROSSI, I TORTI DEGLI ALTRI
(L'Opinione, sabato 24 gennaio 1998)
di Olivier Dupuis
Per due ragioni vale la pena di fare un convegno sull'opera e sulla figura politica di Ernesto Rossi, e bisogna dunque ringraziare quanti, con il Partito Radicale, hanno contribuito ad organizzarlo, e quanti, esterni od "estranei" alla storia politica radicale, vi parteciperanno.
La prima ragione è che Ernesto Rossi è, per la politica e la cultura italiana, un tesoro tuttora nascosto; un autore che per decenni non è stato ristampato né diffuso nei circuiti dell'industria culturale italiana; il sostenitore di una modernizzazione civile ed economica, che, al di fuori del Partito radicale, non ha trovato né voci, ne riconoscimenti, né "rispettabilità". Rossi era tutto ciò che i "liberali ufficiali" italiani di ieri e di oggi (di vecchio o nuovo "battesimo") non sono, né sono mai stati: anticlericale in nome della libertà religiosa, anticomunista in nome del diritto, antimonopolista in nome del mercato, e della concorrenza. Era liberista, in nome del diritto al lavoro: voleva "abolire la miseria", non la libertà economica. Era liberale, ma non pensava che il liberalismo fossero le buone maniere, né un catechismo di osservanze "confindustriali".
Sostenere che il sistema politico italiano sia stato "ingiusto" o irriconoscente nei confronti di Rossi è sbagliato; gli fu, e, nei fatti, continua ad essergli ostile, alieno e dunque alternativo. Se oggi si vuole scrivere la storia delle ragioni di Rossi, bisognerebbe - tanto più quando lo iscrive d'ufficio nel paradiso di santi laici costruito ad inaugurazione di un qualche "nuovo corso"- avere il coraggio di scrivere la storia dei torti dei suoi avversari: le corporazioni padronali e sindacali, il blocco di potere clericale, e il blocco sociale comunista. E di tutti i suoi avversari: vecchi e nuovi "vincenti".
La seconda ragione, per cui occorreva un vero convegno su Ernesto Rossi, è che abbiamo dinanzi, non solo oltre confine, ma anche dentro i confini italiani, il disastro dell'Europa; e non del sogno concreto di Ernesto Rossi e di Altiero Spinelli, del Manifesto di Ventotene- non insomma del sogno di una Europa politica, del diritto, della libertà economica e civile- ma dell'utopia astratta, ed opposta a quella di Rossi, di una Europa burocratica, "intergovernativa", costruita sugli equilibri di decine di diplomazie interne. E molto avrebbe da dire Ernesto Rossi di questa Europa costruita contro e non a partire dal Manifesto di Ventotene: di questo "mercato comune" senza mercato; di questa "politica comune" senza politica.