COMMISSIONE ISTITUZIONALE: DIBATTITO SUL DOCUMENTO DI LAVORO SUI COSTI DELLA NON-COMUNICAZIONE IN EUROPA PRESENTATO DA GIANFRANCO DELL'ALBA
Martedì 27 gennaio 1998.
Gianfranco DELL'ALBA (ARE):
Io vorrei qui centrare il punto che è ineludibile e che costituisce certamente secondo me uno dei punti chiave della nostra riflessione nei prossimi mesi, in vista proprio dell'allargamento, io direi anche a prescindere anche dall'allargamento, ma certamente a maggior ragione in vista di quel allargamento sul quale ci stiamo scervellando senza ad oggi aver trovato una risposta per quanto riguarda gli assetti istituzionali ma dimenticando forse, mettendo in secondo piano certamente - noi a livello del Parlamento - un altro grande problema cioè quello della comunicazione.
Abbiamo parlato di comunicazione e informazione appena prima e giustamente hai detto che è un tema collegato. Adesso io vorrei abbordare il punto di come comunichiamo e con quante difficoltà lo stiamo facendo, con quanti costi, con quante asperità, per arrivare appunto, io dico alla non-comunicazione che rischia di paralizzare il nostro futuro. Certo qual è il dilemma, naturalmente, visto che parliamo di lingue e di quante lingue, garantire la democrazia al prezzo di una crescita difficilmente sopportabile dei costi e delle cabine, delle traduzioni, o garantire un funzionamento più normale, a prezzo pero di quella che sembrerebbe essere una garanzia di democraticità e cioè l'accesso linguistico. Questo è un po il dilemma sul quale io voglio interrogarvi, il secondo essendo: abbordare il problema della comunicazione significa forse favorire la supremazia di una o l'altra lingua? Perché, è inutile nascondercelo, questo è l'altro problema sul quale il tabù che non abbiamo voluto ancora aprire, esiste. E' inutil
e nascondercelo. Lo dici tu stesso, alcune istituzioni stanno riflettendo e stanno mettendo in pratica dei meccanismi che garantiscono di fatto la supremazia linguistica di una o l'altra lingua nazionale. Da noi il soggetto è tabù ma certamente anche da noi questa prassi, questa tendenza comincia ad affermarsi.
Un terzo elemento, altrettanto a mio giudizio importante, come proteggere le lingua meno parlate. Non solo le lingue che sono riconosciute oggi ma anche le lingue che sono patrimonio, alcune statistiche parlano di 40 milioni di persone in Europa, nell'Europa dei Quindici intendo dire, che parlano correntemente una lingua, magari la scrivono, una lingua che non è la lingua, che non è una della undici lingue ufficiali, ebbene quaranta milioni di persone sono un'entità, penso al Catalano, ma vi sono altri esempi naturalmente che devono farci riflettere. Quindi questo è un po' lo scopo di questo mio documento che vorrei brevemente presentarvi.
Intanto velocissimamente, a volo d'uccello, quali sono i sistemi di comunicazione che conosciamo e che fino a ora sono stati messi in pratica, c'è il sistema che ho chiamato il sistema svizzero o sistema scandinavo. Scandinavo limitato ad alcuni enti, per esempio alla compagnia di bandiera che raggruppa alcuni paesi scandinavi. Come sapete in Svizzera, vi è un trilinguismo effettivo nel quale molto spesso si parla, si comunica in una o l'altra lingua indifferentemente essendo inteso che l'interlocutore risponde nella lingua propria. E' un sistema che sarebbe favoloso, che evidentemente si applica a una realtà molto limitata, ma che certamente trova alcune applicazioni nel sostanziale bi o tri linguismo effettivo del quale beneficiano alcune categorie di cittadini o di persone che possono comunicare. Naturalmente difficilmente è applicabile nel nostro caso. Vi è il metodo delle società multinazionali per le quali, è inutile negarlo, in qualsiasi parte del mondo una comunicazione di una grande società multinaz
ionale, tra Parigi e Bruxelles, si svolge in inglese. E' la lingua di lavoro a Parigi, a Bruxelles, a Roma o in qualche altra realtà nazionale, all'interno dell'impresa, è l'inglese. Altri esempi di questo sistema erano l'impero sovietico, dove il russo era la lingua veicolare anche se in realtà molte altre erano le lingue dell'Unione Sovietica e la Chiesa dove presumo che, a un certo livello, forse le comunicazioni si fanno o si facevano in latino o in italiano. Ma anche questi mi paiono esempi poco calzanti per la nostra situazione. Vi è il sistema dell'ONU, sei lingue ufficiali, le sei maggiori diciamo, anche se a mio giudizio ne manca almeno una tra le grandi, e di fatto due lingue di lavoro, l'inglese, in modo predominante, e il francese. Ecco che ci avviciniamo al modello al quale l'ONU, Assemblea e Organo di diplomatici può avvicinarsi e che naturalmente cozza maggiormente contro una Comunità, un'Unione europea che ha un'ambizione molto maggiore naturalmente che quella di essere un'organizzazione appu
nto, come il nome stesso indica, delle Nazioni Unite che, ripeto, può a quel punto, come dire, privarsi della molteplicità delle lingue nazionali proprio perché è comunque sempre un conglomerato di stati e non di cittadini, come è il caso dell'Unione europea. L'UE, infine, in cui 11 lingue sono lingue ufficiali, le 11 lingue nazionali. Ripeto già vi è il problema dei 40 milioni, e se vi fossero dei catalani, ma vi sono altre lingue, il gaelico ad esempio, che potrebbero rivendicare con qualche titolo la possibilità di esprimersi nella propria lingua. Alcuni colleghi lo fanno. Quindi, al di la di questo, 11 lingue costituiscono oggi un peso che nel bilancio comunitario ha la sua incidenza. Vi ho dato delle cifre nel mio rapporto che vi dimostrano quanto quest'incidenza pesi nel bilancio comunitario. Certo, è un costo che, si potrebbe dire un costo della democrazia, senonché sempre di più questo peso, non è soltanto un costo ma comincia a intaccare la, come dire, l'efficacia dei nostri dibattiti, delle nostre
deliberazioni. Se pensiamo alla difficoltà sempre crescente delle intersecazioni linguistiche, errori, difficoltà. A volte, parlando una lingua, io credo che, non so quante, parlando in italiano non so verso quante lingue sono interpretato direttamente. Non è escluso che vi sia la traduzione, magari, adesso dico, invento è, quindi senza nessuna critica agli interpreti, ma è probabile che andando dall'italiano al finlandese o al danese passi da qualche altra lingua, magari da due lingue per il ponte necessario. Quindi mi pare che questo esista e questi problemi siano andati sempre più aumentando oltre, ripeto, all'incidenza economica che pure è rilevante come le cifre che vi ho presentato dimostrano. Anche perché aggiungere una lingua non significa passare da 11 a 12 lingue significa moltiplicare naturalmente le combinazioni. Oggi, nel caso di 11 lingue, noi abbiamo 112 combinazioni linguistiche, che i nostri interpreti devono saper affrontare. Se penso all'allargamento ai 5 paesi ai quali si pensa e che sono
stati indicati nell'ultimo vertice di Lussemburgo, arriviamo a sedici lingue arriviamo ad aggiungere alle 11 esistenti il polacco, il ceco, l'ungherese, l'estone e lo sloveno, nel caso della Slovenia, che porterebbero a 16 le lingue ufficiali. 16 lingue significa 240 combinazioni linguistiche. Cioè significa che per tradurre dallo sloveno, aggiungendo un ceppo, aggiungendo il ceppo slavo, oltre ai ceppi che già abbiamo. Quindi, arriviamo a 240 combinazioni linguistiche e potremmo arrivare, in un crescendo esponenziale, alla luce dei paesi che chiedono di aderire, addirittura a 600 combinazioni linguistiche. Rendetevi conto di cosa significa, non solo per un impossibile lavoro parlamentare ma addirittura per un lavoro di documentazione etc.
Quindi, di fronte a questa sfida, ecco io, Presidente, sono contento che hai valutato positivamente il fatto, comunque, di interrogarci su questo. Noi dobbiamo garantire certamente la nostra uguaglianza davanti alle istituzioni. Non è pensabile che domani deputati portatori di una lingua detta minoritaria siano obiettivamente, naturalmente, direi, discriminati rispetto a chi si esprime in una lingua di maggior divulgazione, di maggior diffusione. Quindi l'uguaglianza va garantita. Va garantita la possibilità che le istituzioni si rivolgano ai cittadini nelle proprie lingue e quindi che vi sia un accesso alla legislazione, un accesso alla produzione europea che oggi invece comincia a privilegiare alcune lingue. Noi sappiamo come in realtà in alcune istituzioni, ad esempio nel collegio dei Commissari, parliamoci chiaro, sappiamo benissimo che vi sono tre lingue di lavoro. Quindi il Commissario che non possiede una lingua delle tre, certo può farsi aiutare se lo desidera ma indubbiamente comincia ad avere dei p
roblemi. Ripeto, sono organi di diversa natura rispetto a quella parlamentare ma la tendenza si sta sviluppando. Garantire infine la protezione di tutte le lingue, se è possibile su un piede di parità ma allo stesso tempo di poter come dire, favorire o evitare la non-comunicazione alla quale noi stiamo assistendo. Pensando anche che poi la comunicazione col resto del mondo, e penso per esempio al grandissimo esempio che ci viene dalla Cina, noi naturalmente noi nella nostra comunicazione col resto del mondo, tenderemo a privilegiare magari una lingua nazionale rispetto al patrimonio linguistico nostro.
Ecco i due ambiti sui quali volevo chiudere questa mia introduzione, Presidente. Il primo era quello, appunto, di porre sul tappeto questo problema, per poter chiedere magari alle altre istituzioni di farci avere il materiale di cui dispongono e quello che hanno potuto fin qui realizzare e pensare o concepire. Potendo chiedere, Presidente, anche che si possa su questo andare un po ad approfondire maggiormente, arricchendo il mio rapporto con gli elementi che potranno venirmi oltre che dal nostro dibattito anche dai contributi delle altre istituzioni e cercare di capire se intendiamo, e io direi perché no?, nelle nostre riflessioni sul, per esempio, sul documento della Commissione del dicembre 98, sul divenire di questa Europa che deve allargarsi e approfondire, abbordare con umiltà e magari fare proposte su questo tema. In seconda istanza volevo trarre da questa mia introduzione la richiesta che venissero acquisite quelle esperienze pilota che sono state già esperite dalla Commissione con successo appunto pe
r vedere se nei modelli ai quali possiamo confrontarci non si possa prestare attenzione a un modello cioè quello per cui una lingua neutra possa costituire il ponte e l'elemento che ci possa indurre a dire, tutto sommato, chi sa che non sia la soluzione, quella di non privilegiare nessuna lingua ma affidarsi per il ponte, con tutte le facilitazioni che ciò consentirebbe anche di trasmissione e di abbattimento dei costi linguistici e di traduzione. Una lingua ponte che potrebbe consentire di dare una risposta a questi interrogativi. E' un secondo volano di questo corpo di riflessione che merita, a mio giudizio, di essere approfondito perché il problema esiste e va abbordato in una o in un'altra maniera. Ho cercato di indicare quella che io privilegio ma mi pare che questo necessiti ancora approfondimento con i contributi oltre del nostro dibattito anche delle altre istituzioni. Grazie.
Biagio DE GIOVANNI (Presidente, PSE):
Grazie Gianfranco, Andrea Manzella.
Andrea MANZELLA (PSE):
Signor Presidente, ad un certo punto di questo documento di lavoro che io ho letto come certe volte purtroppo si fa a volo d'uccello e spronato dalla sua interrogazione, il relatore parla di tabù, di pudore nell'affrontare questo argomento. E così facendo, credo si colleghi, non so se scientemente o intuitivamente, ad un dibattito in corso tra politologi e giuristi sull'Unione europea alcuni dei quali affermano che il più grande ostacolo istituzionale, un ostacolo non detto, ecco perché il pudore, un ostacolo non detto all'integrazione europea è la questione linguistica. E quindi da questo l'assoluto valore dell'iniziativa di mettere sul tappeto questo problema e non solo in vista dell'allargamento.
L'allargamento lo rende drammatico, direi, ma già adesso la situazione, anche se guardiamo dal punto di vista dei costi non è brillantissima. Ecco, svelati i tabù e i pudori però, questo primo documento va su un crinale difficile di cui non si riesce a capire certe volte, credo proprio per la lettura superficiale che ne ho fatto, non si riesce a capire se il relatore vuole moltiplicare ancora le lingue verso quelle altre lingue, dal catalano, al provenzale, al bretone, al gaelico, che fanno la ricchezza interiore dell'Europa, oppure se a un certo punto vuole andare ad esperienze di lingue di lavoro. Ecco io dico solo, per avere riflettuto su questo problema, che io penso che è giunto il momento in cui si debba pensare a distinguere. Si debba pensare a distinguere su tre aspetti. Noi dobbiamo avere delle lingue di decisione, dobbiamo avere delle lingue di informazione per l'informazione, dobbiamo avere delle lingue per la comunicazione.
Ecco, lingue per l'informazione, e allora io credo che su questo terreno, quello che, giustamente il Presidente parlava delle connessioni intime tra questo documento e la discussione che ieri e oggi abbiamo avuto sull'informazione, io credo che sulle lingue di informazione noi veramente si debba fare un grande sforzo per recuperare al patrimonio informativo europeo anche le lingue nascoste, le lingue che poi nascoste fino a un certo punto, se pensiamo al boom dell'editoria catalana o all'esperienza della lingua basca, o anche, da noi, alle tante isole ladine che ci sono Italia e intorno all'Italia, bene, noi dovremmo cercare, cioè il messaggio europeo dovrebbe cercare di incorporare anche queste lingue. Quindi moltiplicazione linguistica sul piano delle lingue per l'informazione. Per quanto riguarda le lingue per la decisione, noi qui ci dobbiamo tenere sul confine dello stato nazionale, cioè noi dobbiamo fare quello che facciamo, cioè gli emendamenti, le risoluzioni non possono non essere scritte, almeno pe
r quanto riguarda il PE, in tutte le lingue ufficiali della Comunità. Non vedo la possibilità di restrizioni ne di ampliamento, in questo caso. Non di restrizioni, perché si impedirebbe al legislatore di essere padrone del patrimonio semantico che non dico una legge, né un articolo, ma ogni parola contiene. Di un patrimonio semantico specialistico qual è il patrimonio semantico giuridico di ciascuna cultura giuridica. Quindi io qui vedo veramente l'impossibilità, per la decisione. Ma ho detto che esiste il problema delle lingue per la comunicazione. Ecco, le lingue per la comunicazione, quelle della comunicazione che c'è nei nostri corridoi, per capire dove sono degli uffici utili per i deputati. La comunicazione che avviene anche in certi tipi di nostri documenti. La comunicazione, Presidente, ancora una volta mi rivolgo, mi allaccio alle parole che lei ha detto, la comunicazione che riguarda i nostri resoconti di seduta, soprattutto i resoconti delle commissioni. Io quando parlavo la signora Spaak e qualch
e altro, ha ritenuto che io parlassi per l'informazione dei deputati. Parlavo anche per questo, perché i deputati sappiano con completezza con oggettività e con permanenza quello che accade nelle altre commissioni senza avere il bisogno di passare per le riunioni di gruppo, piccole o grandi che siano. Ma io parlavo soprattutto perché quello che noi discutiamo oggi, nelle commissioni, lo sappiano anche all'esterno. Lo sappia la stampa, lo sappiano i cittadini. Oggi si sta parlando, ripeto, di un problema che io giudico fondamentale, il problema linguistico. Domani io pago un milione di lire, magari me lo faccio prestare dal Sig. Mendez de Vigo, se qualche giornale in tutta Europa dirà che il PE, nella Commissione Istituzionale ha affrontato il problema linguistico. Io sono sicuro che non c'è. Mentre invece nei parlamenti nazionali tutto quello che avviene nelle commissioni il giorno dopo viene contenuto in resoconti particolareggiati, non stenografici, ma particolareggiati, che danno alla stampa, ai cittadini
, all'opinione pubblica, agli altri deputati, anche a quelli che per caso sono stati assenti dalla commissione, quello che c'è stato nella commissione. E io continuo a sostenere, perché sono un fan, un fanatico di questo parlamento che questo è uno dei parlamenti migliori del mondo, per quanto riguarda la qualità, l'altezza delle discussioni. Ed è una squallida vicenda quella che non consente ai lavori delle commissioni di essere conosciuti all'esterno, al di la di quella che è la tradizione orale del relatore amico che ti viene a dire: sai ieri alla commissione trasporti, il nostro gruppo ha preso questa posizione e allora bisogna fare così. Questa non è informazione. E allora ...
Biagio DE GIOVANNI (Presidente, PSE):
Tempo...
Andrea MANZELLA (PSE):
E allora, e concludo subito, il tema mi appassiona e mi scuso. E allora io direi, per concludere, che questa terza fase, le lingue per la comunicazione, su questo noi dobbiamo vincere il tabù linguistico. Cioè, mentre io dico per le informazioni, moltiplichiamo le lingue, andiamo alle altre lingue non conosciute, per la decisione manteniamo le lingue di tutti gli stati, per la comunicazione interorganica nel parlamento, beh, andiamo decisamente alla scelta di lingue di lavoro, e ahimè, io ogni tanto mi sono dilettato, quando ero bambino, dell'esperanto, ma non credo che possa essere una lingua artificiale, deve essere comunque una lingua viva.
Biagio DE GIOVANNI (Presidente, PSE):
Scusatemi io debbo fare un attimo una questione di calendario. Noi abbiamo dieci minuti. Io debbo dare infine la parola a Madame Lööw perché per alcuni minuti ci deve fornire alcuni elementi almeno procedurali, se non di merito. Quindi io pregherei Dupuis di essere telegrafico, se è possibile, altrimenti noi possiamo riprender questa discussione un altro momento. Comunque Dupuis per un intervento proprio, ti prego, telegrafico.
Antoinette SPAAK (ELDR):
Rapidamente Signor presidente, volevo dire che nell'insieme davvero sono d'accordo con quello che diceva prima l'On. Manzella. Per quanto riguarda ciò che si dice nella relazione Dell'Alba a proposito dell'esperanto è una specie di quesito che pone, non mi sembra che si pronunci, spero almeno. L'esperanto non è una lingua che si basa su una cultura. E questo che mi da noia nell'esperanto. E' importante per la diversità culturale dell'Europa che noi accettiamo con tutti i problemi che questo porrà con l'ampliamento, che, come diceva l'On. Manzella, si faccia una distinzione tra informazione e comunicazione. E' chiaro che per l'informazione tutti hanno diritto a riceverla nella loro lingua. Per quanto riguarda la comunicazione, secondo me, prima o poi, dovremo avere il coraggio di scegliere un certo numero di lingue, che rimarranno le lingue di comunicazione, il che incoraggia i giovani a imparare queste lingue, o alcune di esse. Il che per loro è senz'altro vantaggioso. Ma mi limiterò a questo. Credo che l'es
peranto sia molto riduttivo per quanto riguarda lo spazio culturale che per noi è qualcosa di essenziale nella costruzione europea.
Biagio De GIOVANNI (Presidente, PSE):
Vorrei dire questo. Riportiamo la discussione a un'altra occasione. Confermo che il tema mi pare di grande interesse. Confermo anch'io le mie riserve sulle cose che adesso ha detto Mme Spaak e prima Andrea Manzella. Pero il problema c'è. E io credo che noi dovremo in qualche maniera anche provare a fare circolare il fatto che noi ci stiamo occupando di questo problema. Per esempio, c'è la commissione cultura che è, come dire, competente in prima battuta su tutti i problemi di cui stiamo trattando, comunicazione e lingua. Quindi può essere interessante che noi stabiliamo un qualche rapporto, non solamente con associazioni esterne al Parlamento che pure è giusto che siano informate dei nostri lavori, ma anche con commissioni del nostro parlamento, commissioni parlamentari. Quindi riprenderemo questa interessante discussione, ringraziando Dell'Alba.
Giovedi 26 febbraio 1998
Biagio DE GIOVANNI (Presidente, PSE)
Passiamo all'ultimo punto all'ordine del giorno per uno scambio di vedute con il Signor Gianfranco Dell'Alba sul problema della comunicazione nell'Unione Europea.
Gianfranco DELL'ALBA (ARE):
Grazie presidente, problema che io ho definito nel mio rapporto la questione della (non)comunicazione. Avevo già presentato questo documento di lavoro l'altra volta quindi vorrei andare davvero per sommi capi sperando che nel frattempo i colleghi l'abbiano potuto leggere, l'abbiano potuto soprattutto apprezzare, che abbiano potuto apprezzare quello che è la filosofia diciamo che mi ha ispirato in questo documento di lavoro che spero possa essere compresa e recepita. In realtà noi siamo confrontati a un problema che per ora, tra i tanti che stiamo esaminando, anche in vista dell'allargamento, mi pare tra i più importanti e un po' schivato, per tutta una serie di motivi, ed è quello della comunicazione.
Il collega Dupuis l'altra volta è stato molto efficace quando ha attirato la nostra attenzione sul fatto che, se guardiamo le nostre cabine di interpretazione e pensiamo ai sei paesi candidati del primo giro che porteranno, secondo le regole attuali, cinque lingue supplementari, ci ha fatto notare che questo bellissimo palazzo, o bruttissimo, dipende dai punti di vista, modernissimo eccetera, non può contenere molto semplicemente lo sloveno, l'ungherese, il polacco e l'estone e quindi figuriamoci le altre lingue che in teoria stiamo per far entrare nel girone della comunicazione europea. E mi riferisco soltanto a questo aspetto evidentemente la materia potrebbe ampliarsi.
Quindi ho provato a mettere nero su bianco quelli che sono gli schemi diciamo che possono essere stati seguiti nelle varie altre associazioni internazionali e organizzazioni della vita collettiva tra popoli che parlano lingue diverse. Quindi ho elencato vari sistemi, vi è il sistema svizzero per il quale tutti conoscono le altre lingue, un nucleo molto forte, molto ridotto. Evidentemente un sistema che non si può applicare nel nostro caso dove non c'è fungibilità tra due o tre lingue come nel caso svizzero. Vi è il sistema per il quale molto semplicemente, prendo il caso delle multinazionali, o delle agenzie dell'ONU molto spesso. Ieri ero col collega Mendiluce che ci raccontava l'aneddoto che, lavorando al commissariato dei rifugiati dell'America latina, vi erano esclusivamente funzionari dell'ONU di lingua madre spagnola che erano costretti a comunicare tra loro in inglese perché la lingua di fatto di lavoro della maggior parte delle agenzie dell'ONU è l'inglese così come lo è di tutte le multinazionali e
sappiamo quanto questo esista anche a livello di paesi dove la lingua è tutt'altra ma modello che evidentemente sarebbe impraticabile per noi per motivi direi ovvi. Vi è il sistema dell'ONU con sei lingue definite, chiuse, stabilite nel '46 e da allora immutabili ma anche questo mi pare un sistema difficile nel caso dell'Unione europea dove le questioni di sovranità, di uguaglianza sostanziale fra tutti popoli che compongono l'Unione renderebbero più difficile stabilire a priori lingue di serie A e lingue di serie B. Il nostro sistema è il più democratico, fra virgolette, anche se non tiene conto delle tante altre minoranze linguistiche, penso fra tutti ai catalani ma vi sono, secondo le statistiche, 40 milioni di cittadini dell'Unione Europea che parlano una lingua madre diversa da una delle 11 lingue ufficiali. Quindi comunque è un sistema che pur nella sua democraticità non garantisce neanche lui il rispetto assoluto della lingua madre di ciascun cittadino.
Quindi la necessità di fare chiarezza deriva anche dalle cifre dai costi che impone il multilinguismo, le difficoltà obiettive che ciò comporta. Io, nel mio rapporto, cito ad esempio che aumentare di una lingua non significa aumentare di una unità, significa aumentare di moltissime unità. Per esempio passare da 11 a 12 lingue significa aumentare le combinazioni linguistiche da 110 a 132. Se pensiamo alla 22, 22, 23 lingue di domani, arriveremo alla cifra iperbolica di 600 combinazioni linguistiche con colleghi interpreti che dovrebbero conoscere e saper interpretare dall'estone al greco passando dal portoghese o dall'ungherese, con la dispersione inevitabile durante il passeggio che renderebbe a mio giudizio il sistema invivibile.
Quindi io perché insisto e vado velocemente alla fine perché vorrei sentire i colleghi. Perché mi pare da un lato il problema incontornabile, mi pare che sia materia molto delicata e tutti avvertono questa obiettiva difficoltà di mettere un granello di sabbia nell'ingranaggio. Lei stesso Presidente l'altra volta fu molto amabile dicendo che effettivamente si rendeva conto che la mia impostazione che sembrava monotematica, in realtà apriva o voleva aprire un discorso più ampio sulla questione appunto della comunicazione cercando di magari poter consentire a questa commissione di affidarmi un lavoro un po' più approfondito, verso una sorta di rapporto d'iniziativa che potesse almeno lanciare qualche pista di riflessione. Dicevo che occorreva da una parte garantire la possibilità di utilizzare la propria lingua, dall'altra capire come individuare un meccanismo per arrivare, in una maniera non punitiva per l'una o l'altra componente nazionale ad una lingua che potesse costituire una base di passaggio, di ponte t
ra le varie lingue considerate tutte su un piede di uguaglianza. Da questo punto di vista evocavo la possibilità che una lingua neutra di comunicazione potesse essere una delle possibili soluzioni.
La Commissione europea ha compiuto degli studi per capire se una lingua ponte possa non sovvertire una uguaglianza sostanziale tra le lingue nazionali esistenti e in maniera neutra, garantire meglio di altre - probabilmente altri avranno opinioni diverse - l'uguaglianza e la possibilità di procedere in modo più spedito verso una semplificazione del problema della comunicazione non solo all'interno delle istituzioni ma anche all'esterno. Quindi chiedo in questo documento da una parte di incoraggiare la Commissione ad approfondire gli studi che ha già fatto sulla questione di una lingua neutra di comunicazione, e dall'altra, in modo più generale, vi chiedo se non ravvedete anche voi con me l'esigenza di approfondire meglio il discorso della comunicazione all'interno dell'Unione per arrivare alla famosa scadenza di fine anno portando anche questo problema sul tappeto visto che è inutile chiuderci gli occhi, il problema esiste. Noi nel 2002 o 2003 quando riceveremo gli altri paesi - non faccio altro che quel nos
tro esempio - saremo letteralmente nell'impossibilità di accoglierli e di garantire loro la stessa partecipazione che garantiamo con grandissima difficoltà e mi domando sempre come facciamo a farlo in modo così egregio, a undici lingue di lavoro. Grazie.
Biagio DE GIOVANNI: Grazie Gianfranco, Madame Schleicher.
Ursula SCHLEICHER (PPE):
Sono molto lieta che ci si occupi di questo tema perché è davvero necessario. Ci sono paesi che sono candidati che aderiranno e che rinuncerebbero ad aggiungere la loro lingua, però non è soddisfacente. Perché nel momento in cui fossero membri si ripresenterebbe il problema perché tutti gli altri possono parlare la loro lingua, e i nuovi, soltanto perché hanno ceduto questa loro possibilità, hanno rinunciato, non hanno più questo vantaggio, poi perché tutti vogliono parlare la loro lingua madre. Quindi è molto difficile mettersi d'accordo su una sola lingua.
Io capisco molto bene l'Onorevole Dell'Alba, dobbiamo effettivamente riflettere su cosa possiamo fare. Avevamo già una lingua che però non c'è più e che è il latino, l'abbiamo tutti imparato. Una volta al Parlamento c'è stata già una discussione e non tutti erano d'accordo, abbiamo litigato su questa cosa. Però effettivamente era una lingua vitale, che potrebbe essere richiamata in vita. Più volte ho ascoltato del teatro in latino, devo dire che è molto interessante, molto bello e non è che sia incomprensibile il latino. Per l'esperanto, beh se ne scrive sempre, se ne parla sempre. L'esperanto cerca di creare una comunicazione. La sua forza è che è diffuso in tutto il mondo non soltanto in Europa. Ma io comunque credo che siano pochi quelli che studiano e imparano l'esperanto. Non sono nemmeno abbastanza informata sul fatto se l'esperanto sia in grado di tener dietro a quella che è la vita quotidiana di oggi, la tecnica per esempio. Di sicuro sarà anche possibile, però volevo semplicemente dare un suggerimen
to e uno stimolo e dire che già un tempo il latino è stata la lingua di comunicazione perché non ci mettiamo d'accordo sul latino, allora tutti sarebbero obbligati a imparare una seconda lingua e poi sarebbe una lingua davvero comprensibile per tutti senza che nessuno possa imparare la sua lingua.
Maria IZQUIERDO ROJO (PSE):
Molte grazie, Presidente, volevo dire all'onorevole Dell'Alba qualcosa di cui da tempo mi sono resa conto e con una certa conoscenza di causa. Vorrei che l'Onorevole Dell'Alba tenesse conto di quello che dico per vedere se possiamo magari metterci d'accordo. Di cosa si tratta? Della lingua dei segni. La lingua dei segni che purtroppo non viene considerata ancora lingua ufficiale. Ed è comunque una rivendicazione antica, una vecchia rivendicazione da parte delle migliaia di sordomuti europei che reclamano, esigono tale lingua. Bene la lingua dei segni è un metodo di espressione che non dovrebbe essere ignorato nel momento in cui si discute della cosa. Vorrei che l'Onorevole Dell'Alba ne tenesse conto. In proposito io sto già facendo un lavoro e credo che potrebbe esistere spazio per approfondire ulteriormente. grazie.
Olivier DUPUIS (ARE):
Grazie Signor Presidente, io ho ascoltato con grande interesse la Signora Schleicher. Io credo che quando si arriva a una conclusione come quella del latino, credo che questo sta a significare che veramente ci si rende conto della necessità di avere una lingua, e ci si rende conto anche dell'impossibilità, cosi' come stanno le cose, (di scegliere) tra le lingue parlate, una di queste lingue. Perché poi ovviamente arriviamo a creare una discriminazione per altri. Però se si ha il coraggio intellettuale di arrivare al latino, credo che con altrettanto coraggio dobbiamo - e sappiamo che la cosa è nutrita di pregiudizi e di una solidificazione molto negativa - dovremmo affrontare tranquillamente la questione esperanto. Cioè mettendo da parte tutti i pregiudizi che molto spesso gli esperantisti stessi sono stati molto capaci di introdurre. E quindi di arrivare a valutare, per quello che è, questa lingua. Oltre a sostenere ovviamente la necessità di approfondire il tema affrontato da Dell'Alba con un rapporto di i
niziativa che possa portare in aula e possa portare a tutti i colleghi la possibilità di studiare la questione e di tentare di trovare via per superarla, credo che anche una audizione, in questa Commissione, sulla questione, invitando esperti della questione esperanto, e penso in particolare al Premio Nobel per l'Economia Selten - un tedesco che ha scritto cose veramente molto interessanti -, credo che sarebbe molto importante che la Commissione possa sentire non soltanto quello che devono dire queste persone ma anche, se mai, palpare con le proprie mani cos'è questa lingua. Perché se no, stiamo a ragionare nel vuoto, in modo teorico, e non abbiamo la possibilità di capire dal vivo la questione. La ringrazio.
Konrad Karl SCHWAIGER (PPE):
Nutro molta simpatia naturalmente per il fatto di riprendere la lingua latina, che la si ravvivi, anch'io credo parteciperei a un esercizio del genere. Sarebbe comunque una lingua di elite, non la si potrebbe imporre alla massa della popolazione. Sono scettico nei confronti dell'esperanto, anche se personalmente ne ho avuto un'impressione molto positiva dopo la guerra per tutto quello che riguarda il movimento dell'esperanto che ha anche riavvicinato i popoli. Non so se comunque l'esperanto possa essere accettato. Avrei un'altra proposta, una proposta più pragmatica. Visto che parliamo qui di comunicazione o di noncomunicazione dobbiamo vedere anche in che modo sia necessaria la comunicazione tra i popoli europei. Molto di quello che è necessario in termini di comunicazione passa attraverso quello che sono i nostri gemellaggi di città. Abbiamo, per esempio, nella nostra regione, sviluppato l'idea di parlare le lingue del vicino. altrimenti avremo la situazione assurda che i Francesi e i Tedeschi si capiscono
solamente parlando inglese. Prendiamo la Germania, che ha otto vicini, potremo vedere per esempio che nel nostro Land, se vogliamo comunicare in Europa, sarebbe necessario che, a fianco dell'inglese, che comunque viene imparato dappertutto, dovremo imparare, al nord il danese, poi passiamo all'olandese, poi il francese, poi il polacco e poi il ceco. Se si prende la Svizzera sarebbe l'italiano e il reto-romanico, sei lingue quindi che, una parte almeno della nostra popolazione dovrebbe comprendere, perché sarebbero lingue dei nostri paesi vicini. Non sarebbe una soluzione tanto cattiva, che ogni paese quindi rifletta su quali sono i suoi vicini immediati e diretti e che alla lingua mondiale che ormai è parlata dappertutto, l'inglese, ci si sforzi anche a conoscere le lingue vicine per la comunicazione appunto con i popoli vicini. E credo che, magari sarà soltanto un dato percentuale, ma un importante dato percentuale la comunicazione che verrebbe mantenuta. Ecco mi domando, non potremmo riflettere su questa
possibilità, imparare la lingua del vicino? Non potrebbe essere questo un criterio per una comunicazione molto maggiore? Grazie.
Charlotte CEDERSCHOLD (PPE)
Grazie, nella mia prospettiva, quello che ha detto l'onorevole Schleicher mi sembra che potrà essere la soluzione più probabile in futuro. Il latino, si certo è una riflessione molto interessante riprendere il latino. L'ho imparato anch'io a scuola potrebbe essere una buona cosa, ma non credo che sarebbe una buona idea, non sarebbe molto amata dai cittadini come idea se noi gli dicessimo che devono imparare il latino. Piuttosto che il latino credo che imparerebbero più volentieri l'inglese. Se vediamo quali sono le possibilità reali dell'esperanto, allora piuttosto meglio l'inglese. In fin dei conti l'inglese sarà la soluzione più probabile. Però volevo andare un po' oltre quello che diceva l'onorevole Schwaiger, che è più realista di sicuro di me, ma mi sembra che sia possibile difendere la sua posizione perché vale la pena studiarlo il suo concetto. In molte delle organizzazioni internazionali in cui ho lavorato si era effettivamente parlato di queste idee. Un commissario, credo il commissario Van den Broe
ck, ne aveva parlato anche pubblicamente, aveva detto comunque che ciascuno dovrebbe essere obbligato a parlare una lingua straniera, non dovrebbe parlare la propria lingua madre, uno dovrebbe scegliere una lingua dell'Unione e usarla per comunicare. L'onorevole Dupuis ed io recentemente abbiamo fatto una discussione nel contesto del problema delle droghe e della tossicodipendenza, davanti alla televisione ho parlato francese. Ma ho dovuto davvero combattere per poter parlare francese. E' molto difficile dover discutere in una lingua straniera. Ma se si viene da un paese con una lingua non molto diffusa come la mia, si è obbligati a parlare una lingua straniera. Quindi sarebbe bello vedere come andrebbe se tutti fossero obbliga a scegliere una lingua dell'Unione.
Annemie NEYTS-UYTTENBROECK (ELDR):
Signor presidente, onorevoli colleghi, il problema linguistico è uno dei problemi più sensibili all'interno dell'Unione Europea, soprattutto in vista dell'ampliamento dell'Unione che renderà la situazione ancora più difficile e più complessa. Detto questo dobbiamo constatare che il Trattato di Amsterdam, ed è uno dei punti che secondo me sono positivi, il Trattato di Amsterdam, dicevo, ha consacrato e consolidato il regime linguistico attuale e quindi il regime di tutte le lingue nazionali che sono le lingue ufficiali dell'Unione. D'altra parte è impossibile fare le cose in modo diverso. Onorevole Dell'Alba, non può essere diversamente per due motivi, prima di tutto perché il Trattato di Amsterdam, ancora di più di quanto fosse detto in passato, ha chiarito che tutti i cittadini dell'Unione europea hanno il diritto di rivolgersi a qualsiasi istituzione europea nella propria lingua e di ricevere nella sua lingua una risposta da parte dell'istituzione una risposta nella sua lingua. Quindi è innanzitutto un dir
itto democratico, essenzialmente democratico. Io direi facciamo attenzione a non ledere questo diritto. Perché questo contribuisce a migliorare la fiducia nell'Unione e nelle sue istituzioni. La decisione presa alcuni anni fa per quanto riguarda alcune agenzie dell'Unione di lavorare soltanto in alcune lingue ufficiali è stata indubbiamente un errore grossolano anche dal punto di vista della comunicazione. Penso per questo motivo noi dobbiamo continuare a tenere il sistema delle lingue ufficiali. Seconda considerazione: come si fa in sostanza a far funzionare bene un'istituzione come il PE se si è monolingui. Forse la maggioranza tra di noi sarà bilingue, plurilingue, però come si fa ad imporre l'obbligo ad un parlamentare che si presenta candidato alle elezioni europei, ad imporre l'obbligo di conoscere altre lingue. Penso che questo non sarebbe una cosa molto felice. Il fatto che qualcuno conosca più lingue è indubbiamente un vantaggio, però come si fa ad imporre l'obbligo del plurilinguismo, sono due moti
vi fondamentalmente democratici e quindi dobbiamo convivere con questa diversità linguistica e dobbiamo continuare a convivere col fatto che qualsiasi lingua, tutte le lingue dei paesi dell'Unione, diventino lingue ufficiali. Per quanto riguarda la Repubblica Irlandese, c'è il problema che il Gaelico è lingua nazionale ma non è lingua ufficiale. Anche se evidentemente viene parlata da una minoranza degli abitanti della Repubblica irlandese. Quindi Signor Presidente, vorrei appoggiare ben volentieri questo documento di lavoro. Se non che di fatto costituisce una cosa molto strana. Cioè si vuole introdurre, ai fini della comunicazione all'interno dell'Unione europea, l'esperanto. E voglio dire che io a nessuna condizione, assolutamente, posso essere a favore di una cosa di questo genere. Se questo effettivamente è l'obbiettivo perseguito da questo documento. Per questo motivo, mi spiace, non posso assolutamente appoggiare, sostenere questo documento. Potrei evidentemente continuare presentando altre consideraz
ioni. Potrei dire per esempio che l'esperanto non è un'autentica lingua, è uno strumento artificiale, valutabile, apprezzabile fin che vogliamo ma pur sempre uno strumento artificioso, creato così artificialmente dall'uomo. In ogni caso questo sistema significherebbe che qualsiasi cittadino dell'UE sarebbe costretto per di più a imparare una lingua artificiosa, artificiale, chiamiamola come vogliamo, come l'esperanto. Oltre tutto non dimentichiamo che si tratta di una rivendicazione molto elitaristica e quindi sarebbe in contraddizione con i temi democratici, e le nostre preoccupazioni democratiche sono fondamentali. Quando si parla dei costi causati dal plurilinguismo che vige all'interno del nostro PE mi preme sottolineare che non si deve mai perdere di vista un fatto, e cioè che questo Parlamento, tenuto conto anche delle decisioni di Edinburgo, funziona in sostanza con tre lingue. Funzionare con tre lingue significa però costare molto di più che non con un sistema di 11 lingue.
Biagio DE GIOVANNI (Presidente, PSE):
Brevemente vorrei aggiungere qualche cosa anche perché Dell'Alba ha posto dei problemi di organizzazione dei nostri lavori. Vorrei fare due o tre riflessioni. La prima è questa. L'altra volta io dissi, vorrei ribadire, che non credo che stiamo facendo male discutendo di questo problema, nonostante le opinioni anche opposte che abbiamo. Poi vedremo quali possono essere gli esiti pratici, perché comunque un problema esiste. Poi naturalmente possiamo avere, come si è visto anche nella discussione di oggi, opinioni molto differenti. Io devo dire subito che mi riconosco in molte delle osservazioni fatte adesso da Mme Neyts e spieghero' velocemente perché. Però (è un problema che) esiste perché la lingua è anch'esse un'istituzione, quindi è proprio per questa ragione che non solo è giusto che un problema di questo genere noi lo solleviamo ma che poniamo anche una scala di soluzioni possibili sulle quali poi si può trovare un accordo o si può non trovarlo. Poi vedremo che destino, magari un documento di questo gene
re può avere. Devo dire che neanche io credo alle unificazioni linguistiche forzate. Il latino è impossibile, il latino non si potrebbe parlare, perché il latino che conosciamo non è il latino che parlavano i latini. E' un'altra cosa, è una lingua scritta ma il latino parlato era altro e quindi avremo come dire una curiosa contraddizione, perciò la chiamiamo lingua morta perché è una lingua che non può essere più parlata. Dovremo inventare un latino parlato cioè un'altra lingua ancora allora tanto varrebbe pigliarsi l'esperanto e non parlarne più. Ma io sull'esperanto ho delle riserve di principio, di formazione, di cultura, che possono essere anche limiti talvolta - e non necessariamente le proprie formazioni servono a capire tutto anzi molte volte sono dei paraocchi -, ma io naturalmente ho sempre pensato che la lingua sia un prodotto storico, cioè sia una cosa che nasce dal profondo della vita, dal profondo della necessità di comunicazione, non può essere un fatto tutto e solo artificiale perché diventa u
na rete di costrizione nella quale il linguaggio si impoverisce. Io non sono un esperto. Facciamo anche delle audizioni ma questo mi pare un punto chiave, però io non voglio pregiudicare niente, sto facendo osservazioni perché intanto so che il problema esiste, so che c'è una possibilità di torre di Babele che cioè noi riverifichiamo la condanna biblica e la Torre poi può anche cadere come avvenne allora e può accadere una sorta di catastrofe linguistico/istituzionale per cui non ci capiamo più parliamo e non ci capiamo più. Potrebbero avvenire tante cose, curiose anche, però tutto è possibile. Per altro appunto, profezie sono già state fatte e i profeti sono sempre da rispettare, quindi vediamo. Detto questo, che destino può avere questo documento. Perché questo è il punto. Io devo dire con grande franchezza a Gianfranco, essendo stato uno di quelli che hanno stimolato questa discussione, che non credo che noi siamo nelle condizioni di immaginare di avere un rapporto di iniziativa su questo. Dobbiamo dircel
o francamente. Siamo a un anno dalla fine della legislatura, fossimo a 5 anni, chissà, ma siamo ad un anno dalla fine della legislatura, abbiamo un tempo molto ristretto, abbiamo due/tre temi chiave su cui dobbiamo lavorare: l'unione monetaria, per cui sarebbe un lusso che non ci possiamo consentire evidentemente ad un anno. Io dico una cosa poi naturalmente e probabilmente i problemi verranno posti in tutte le sedi anche dei coordinatori ma mi pare francamente inverosimile una soluzione di questo tipo. Gianfranco è troppo sensibile politicamente per non capirla. Anche se è perfettamente giusto che faccia le richieste che chiede di fare. Allora il problema sarà che noi riflettiamo, non in questa sede in questo momento, ma in sede di coordinatori e poi magari ancora in sede di commissione su quale può essere il destino di un documento di lavoro di questo tipo. Nel senso che io ritengo che sia un documento interessante, che sia un documento che dimostra che nel Parlamento nasce la consapevolezza di un certo pr
oblema. Questo documento potrebbe anche essere arricchito di ulteriori soluzioni alternative, non è necessario che le conclusioni del documento siano solamente quelle qui presentate, cioè che ci sia una gamma più ampia di soluzioni e che possa un domani essere assunto come un documento di lavoro che la Commissione Istituzionale svolge e che venga comunicato ad istituzioni che sono anche esterne al Parlamento. Nessuno ci vieta di fare un'operazione di questo tipo. L'abbiamo già fatta col documento sulla trasparenza. Non un documento intorno al quale si stabiliscono maggioranze e minoranze, perché francamente votare un documento sulla lingua sarebbe un non senso e probabilmente non arriveremmo a niente, non arriveremmo a nessun esito. Ma che la Commissione Istituzionale possa trarre dal proprio lavoro un documento di lavoro su questi temi, io non mi scandalizzerei affatto anzi la considererei una cosa interessante sulla quale si può pensare di lavorare. Darei la parola a Gianfranco per le conclusioni.
Gianfranco DELL'ALBA (ARE) (in francese):
Presidente, seguo il consiglio della Signora Cederchöld e cambio di lingua per dire che sono motto lieto del dibattuto che si è svolto. Penso che gli interventi anche ricchi con gli elementi che sono stati presentati in merito, per esempio, a quel che riguarda il latino o altro dimostrano a mio giudizio che tutti i colleghi sono consapevoli di questo problema. Non dico che non abbiano la volontà di porlo, ma vorrei rispondere in particolare all'onorevole Neyts, perché non vorrei essere frainteso. E' evidente che, almeno a mio modo di vedere le cose, i cittadini europei deputati devono conservare in modo rigoroso il diritto di preservare la loro identità culturale e linguistica perché non bisogna nemmeno nascondersi dietro il paravento dell'ipocrisia che non ci darebbe la possibilità di renderci conto che la lingua dell'Onorevole Neyts e la mia sono lingue che nella quotidianità delle istituzioni europee non sono praticate. Non si può rivolgersi alla scala gerarchica del Parlamento o della Commissione in ital
iano o in olandese. Proprio ieri ho avuto in mano un documento, una domanda di finanziamento comunitario, e cosa dice questo documento: questo documento può essere compilato in qualsiasi lingua ufficiale della comunità. Però se viene compilato in inglese la cosa procederà più alacremente, più rapidamente. Sappiamo benissimo che il collegio dei commissari lavora in tre lingue che forse saranno ridotte a due e poi in definitiva a una. Quindi più ci saranno lingue ufficiali, meno lingue di lavoro ci saranno e si giungerà a un'unica lingua veicolare e tutti sanno di che lingua si tratterà. Quindi siamo disposti ad abbandonare, pur difendendolo, il nostro bastione dicendo che tra 10 o 20 anni sarà l'inglese a essere lingua ufficiale de facto di questa comunità. Oppure sulla base delle diversità culturale e linguistica possiamo inventarci soluzioni che possono apparire un po' paradossali o utopiche ma che in realtà rispondono a una esigenza e cioè che nessuna delle nostre lingue primeggi a scapito di altre lingue
che diventeranno lingue di seconda categoria. Come lo sono quest'oggi. Anche se si può parlare benissimo in olandese, greco, finlandese, etc., certo si può fare, però è palese che l'attività quotidiana anche di noi parlamentari può essere portata avanti solamente se si hanno in mano alcuni degli elementi chiavi dal punto di vista linguistico. Per concludere Presidente, prendo atto di quanto è stato detto, direi questo se, tenendo conto della discussione e degli interrogativi posti, io ho la possibilità di completare il documento mettendo in rilievo i problemi, spiegandoli, dicendo ecco i problemi che vanno affrontati. In realtà questo documento io l'ho elaborato prima della decisione di avviare i negoziati. Ora il fatto che noi apriamo a sei Paesi pone alcuni problemi che si pongono in un contesto più globale e quindi, Presidente, potrei rivedere il documento rimaneggiarlo e poi se lei può trasmetterlo, potremo alimentare una discussione a cui non possiamo sfuggire.
Una discussione che dovrà essere portata avanti se non altro per motivi pratici come è stato detto. Facciamo la domanda agli architetti, come fare con 16, 18, 19 lingue ufficiali. E' una babele. E poi sul concetto di artificiosità o artificiale potremo interrogarci, tutti i costrutti umani sono un po' artificiali, nel senso latino di artifex cioè colui che costruisce, il faber che costruisce il proprio utensile di discussione, di comunicazione etc. Concludo Presidente per dire che sono d'accordo con la sua proposta. I coordinatori potranno esaminare questa proposta. Il fatto che si possa organizzare una audizione che coinvolga non soltanto esperti linguistici ma anche il capo della traduzione, il capo dell'interpretazione. Dovrebbero venire a dirci quali sono le difficoltà e come intendono affrontare la questione di 17 lingue. Il capo dei sistemi tecnici per esempio, oltre evidentemente a alcuni specialisti di lingue, potrebbe essere una buona soluzione. Quindi sono d'accordo per sottoporre ai coordinatori q
uesta questione.
Bertel HAARDER (ELDR)
Grazie presidente, sono d'accordo con quanto è stato detto e anche con lei. Non dovremo adesso elaborare una relazione che sostenga che dobbiamo prendere come lingua veicolare il latino o l'esperanto. Però c'è un aspetto che dovremo prendere in considerazione. Cioè le possibilità che ci aprono anche le nuove tecnologie per il futuro. Io ho l'impressione però che queste possibilità linguistiche riguardano soprattutto la traduzione scritta. Questo potrebbe effettivamente facilitare molto il compito delle traduzioni che non dovrebbero più essere fatte tutte quante al Lussemburgo. Potremmo anche pensare alle teleconferenze, per cui non tutti gli interpreti sarebbero più costretti a venire fisicamente qui a Bruxelles, a Lussemburgo, a Strasburgo, insomma dove si tengono le riunioni per poter interpretare. Tecnicamente ci sono queste possibilità di teleconferenza. In questo modo potremmo limitare almeno parzialmente le spese per l'interpretazione. Qui ci sono evidentemente anche altri problemi, l'interpretazione d
ovrebbe essere limitata in fondo a due lingue principali, al francese e all'inglese. Ma mi rivolgo adesso all'onorevole Schwaiger. Onorevole Schwaiger, è disposto ad accettare che tutto avvenga con il tramite del francese e dell'inglese, che il francese e l'inglese siano le lingue principali per cui le altre lingue verrebbero tradotte attraverso la cabina o le cabine, come si dice in gergo, francese e inglese. Comunque bisogna sfruttare le nuove possibilità tecniche in modo che gli interpreti possono restare a casa a lavorare.
Annemie NEYTS-UYTTENBROECK (ELDR)
Molto brevemente signor presidente. L'onorevole Dell'Alba nel punto 2.b o nel punto B conclude la frase dicendo questo: "E' questo il sistema in vigore nel impero sovietico con il russo come lingua franca di comunicazione" beh le cose cambiano talvolta molto rapidamente, all'inizio degli anni novanta ero veramente molto stupita costatando che cittadini polacchi discutendo con ungheresi con la partecipazione anche di cittadini baltici, comunicassero tra di loro in inglese e mai in russo. Dico questo perché lavoro nell'ambito di un'internazionale politica. Ebbene a partire dall'88, 89, io non li ho mai sentiti comunicare in russo, anche se erano costretti a studiare il russo sotto il regime sovietico. Questa lingua l'hanno studiata con entusiasmo più o meno forte, dipende, e quando il sistema è imploso, è crollato, hanno optato tutti quanti per l'inglese. Questo per dire che le cose possono cambiare molto rapidamente. Può darsi che l'inglese tra vent'anni sarà la lingua franca per la maggior parte di noi. Vogl
io semplicemente dire che ci sono dei motivi che fanno il successo di una lingua, che possono dare l'impressione di essere permanenti e che possono cambiare rapidamente, se le condizioni economiche, politiche o sociali cambiano. Quindi non c'è fato o fatalità, le cose possono cambiare molto rapidamente.
Konrad Karl SCHWAIGER (PPE)
Evidentemente bisogna distinguere le due situazioni: il Parlamento Europeo e la comunicazione tra i cittadini europei. I deputati europei conoscono le regole del gioco. Bisogna conservarle e per i cittadini europei che chiedono qualche cosa alle istituzioni europee devono poterlo fare, come l'ha spiegato l'Onorevole Neyts. Altra cosa è quando comunicano i nostri popoli tra di loro per avvicinarsi. Io dico che bisognerebbe forse vedere chi parla quale lingua materna, chi parla quale seconda lingua e chi parla una terza lingua e quale. Si tratta di una rete molto variegata che ci permette, malgrado la torre di babele da lei citata, ciò permette una certa qual comunicazione molto variopinta, molto variegata. In Europa centrale si parla anche il tedesco, non soltanto 80 milioni ma forse 30/40 milioni in più, lo stesso si dica anche per il francese. Se lei prende per esempio l'uso del francese non soltanto in Francia o in Belgio ma anche in Italia, in Spagna, quindi il francese sarà sempre lingua veicolare. Non p
arlo soltanto della mia lingua, parlo anche della lingua francese. E se prendiamo anche l'olandese sappiamo che andiamo al di la del Belgio e dell'Olanda e si può continuare questo discorso. Per esempio mi riferisco ai miei compatrioti nella Renania Whestfalia. Tutti quanti i tedeschi parlano l'olandese. Hanno un dialetto che è molto affini all'olandese. Quindi ci sono delle realtà linguistiche da cui non si può fuggire. Non si deve reinventare tutto quanto. Siamo riusciti a comunicare ormai da qualche secolo nelle varie strutture economiche e politiche e quindi bisogna cercare di tenere conto di quello che esiste e forse perfezionare le cose un po' di più.
Gianfranco DELL'ALBA (ARE):
Vorrei ringraziare Mme Neyts per l'esempio che mostra come una lingua sia anche fattore di potere. Il fatto che le persone dell'Est rigettino la lingua veicolare che era stata loro imposta è un segno, in effetti, che mostra il fondamento di quello che volevo dire.
(interruzione)
Io parto da questo principio: non si tratta di un problema di organizzazioni internazionali in genere, si tratta qui di creare una cittadinanza europea e di creare un'Unione europea sempre più stretta. In questo caso allora i cittadini saranno si o no, per vivere insieme, obbligati a parlare una lingua fra le 11 che esistono a discapito delle altre lingue che esistono come il francese o il tedesco, che sono lingua che cercano di mantenere la loro posizione oppure non dovrebbe questa Comunità dirsi tutte le lingue sono uguali e perciò siamo costretti a trovarne una neutra che possa mantenerci su un piede di uguaglianza. Ecco la questione che rimane comprensibile ma che non si può capire che se si parte dal principio che contrariamente ad altri tipo di organizzazioni, come l'ONU dove ci sono dei delegati, qui, mi metto dal punto di vista di una Comunità, di un'Unione. Quindi come, a breve termine, visto che siamo assieme per l'eternità, come uscircene. Confermo però che sono d'accordo con le vostre proposte e
all'idea di un'audizione.