CONVEGNO ERNESTO ROSSI, ECONOMISTA, FEDERALISTA, RADICALE
Verbania 23, 24, 25 gennaio 1998
Intervento di Olivier Dupuis
Ringrazio molto Giampiero Bonfantini che è all'origine e non solo all'origine di questo bellissimo convegno. Non sarò molto lungo perché credo che siano previste anche delle domande e un minimo di dibattito dopo la relazione. Il dibattito, quantomeno per quanto mi riguarda, è molto interessante. In particolare, dall'intervento del professor Levi in poi, si è stata sviluppata la questione del rapporto tra Ernesto Rossi e Altiero Spinelli e in qualche modo è interessante capire quale sarebbe stata oggi la posizione dell'uno e dell'altro sul come l'Europa si sta costruendo.
Non si è parlato, ma credo che la risposta sia abbastanza evidente, dell'atteggiamento di Ernesto Rossi rispetto al rilancio nel '58 del processo di integrazione europea, cioè non si è parlato del suo distacco. Credo che questo non sia marginale. Penso che l'articolazione della questione possa essere riassunta con lo scambio di battute informali che ho avuto stamattina con il Professor Levi nel quale lui diceva: "l'Europa, il processo di unificazione, va sicuramente troppo lentamente", e gli rispondevo: "ma forse va anche nella strada sbagliata". Credo che questo sia un modo per ritornare ad Altiero Spinelli e Ernesto Rossi.
Oggi il problema dell'Unione Europea è molto grave. Abbiamo detto, si è detto e ridetto che nel 1954 abbiamo perso un'occasione storica. Penso che l'Unione Europea abbia perso una seconda occasione storica nell'89. Nell'89 esistevano le condizioni per fare un salto, il Salto, quello politico e questo salto non è stato fatto. La situazione di oggi, il modo in cui procede l'integrazione, non è certamente neutrale. E' conseguenza della metodologia scelta, sempre più intergovernativa. Questa è fonte di molti rischi. Rischi che ormai non sono più soltanto rischi ma che diventano anche fatti. L'atteggiamento dell'Europa rispetto alla Bosnia, al Ruanda e oggi rispetto all'Algeria, è conseguenza di quel tipo di processo di integrazione europea.
Oggi non abbiamo più politiche nazionali rispetto ai paesi terzi, non abbiamo più politiche di tipo anche criticabile, come quella di Giulio Andreotti rispetto al Medio Oriente, o di un altro stato negli anni '70 e primi anni '80, rispetto ad altre situazioni. Non abbiamo più nessuna politica estera nazionale, ma non abbiamo nessuna politica estera europea. E di fronte a questi drammi, si dimentica molto spesso l'ampiezza e la profondità di quanto sia successo per e in quei paesi e poi, di riflesso, anche per la coerenza in termini concreti e ideali del progetto di federazione europea. Quattro anni di guerra in Bosnia, l'atteggiamento attuale dell'Unione Europea rispetto all'Algeria, che fa sempre di più sospettare che da parte di diversi Stati, se non della maggioranza degli stati dell'Unione Europea, siano stati fatti degli accordi, ovviamente sottobanco, attraverso i servizi segreti, con le bande terroriste del GIA e della AIS, perché non venga esportato il terrorismo nell'Unione Europea: questa è oggi l'
Unione Europea. Una Unione Europea che, dopo una grossa pressione dell'opinione pubblica internazionale è in grado di portare, dopo quattro, cinque anni, dei sottosegretari ad Algeri... Questo non è più soltanto un indice, è la controprova dell'aver preso una strada sbagliata. E questo comporta grossissimi rischi. Al Professore Levi che ci preme di intervenire a partire dal luogo per lui privileggiato del Parlamento Europeo chiedendomi "ma li che succede? che pensate di fare?", devo rispondere che li' è forse ancora peggio. Perfino sulle proposte le più ragionevoli, le più evidenti come, per esempio, cominciare a raggionare di diplomazia comune, di strumento comune di intervento nelle situazioni di crisi.
Sono contento di sentire che Ernesto Rossi già nel 1941 diceva la stessa cosa quando diceva che la comunitarizzazione delle politiche, delle diplomazie è cosa fondamentale e ovvia. Molti stati - tutti gli stati europei per la verità - non hanno rappresentanze diplomatiche nell'insieme degli stati terzi. Cominciamo allora col mettere insieme le diplomazie o cominciamo col creare una diplomazia comune per quei paesi dove non tutti gli stati membri siano presenti. Una cosa abbastanza ovvia. Un'altra cosa molto ovvia, se si guarda a quanto è successo in Bosnia, in Ruanda: la creazione di un corpo europeo per il mantenimento e il ristabilimento della pace. Anche questa è cosa risentissima, in particolar modo dall'opinione pubblica. Anche su questo, i membri del Parlamento europeo sono indietro.
Per quanto riguarda il campo economico, Marco Taradash diceva che probabilmente la moneta unica avrà degli effetti positivi e che in qualche modo si tratta di una vittoria del politico sull'economico. Più probabilmente credo che si tratti di una vittoria su alcuni interessi costituiti. Ma una vittoria di altri interessi costituiti che vedono nel tipo di unione non politica che stiamo costruendo uno spazio nel quale, con maggiore facilità ancora, potranno gestire i loro interessi senza interferenze dal politico. Questo è un rischio che vedo molto grosso. Non dico con questo che la moneta unica non vada fatta. La moneta unica è - ovviamente - uno degli obiettivi intermedi, una delle cose importantissime per andare verso l'unione politica. Vi sono quindi una serie di elementi molto negativi che probabilmente ci dovranno portare ad un certo momento a ragionare con molta serietà al fatto di dire no a questo tipo d'Europa.
Altro elemento molto negativo. Si è parlato della necessità di avere, nei momenti in cui è necessario fare salti di grande importanza, uomini di grande virtù e poi la fortuna. La fortuna è una cosa su cui abbiamo poche possibilità d'incidere. Inoltre oggi nel panorama europeo non ci sono molti di questi uomini di grande virtù. Il cancelliere Kohl, che era probabilmente uno dei personaggi più in grado di spingere nella direzione giusta, è oggi completamente immobilizzato.
Un'altra grande questione, che ancora recentemente ci ha toccato molto da vicino: quella dell'immigrazione. Il modo con il quale l'Unione Europea gestisce questo problema è assolutamente assurdo e inefficace. Non porta a nessun risultato se non a quello di esasperare i sentimenti antieuropei oltre i confini dell'Unione Europea. Mentre l'Unione Europea, con le sue riserve e serbatoi in termini di conoscenza e di competenze, dovrebbe immaginare dei piani di esportazione di un certo tipo di manodopera, che eccede nei nostri paesi, e in cambio, facilitare l'entrata di un altro tipo di manodopera che nei paesi del Terzo mondo non trova occupazione, non trova possibilità di creazione e anche semplicemente di vita.
Credo, in conclusione, che il panorama sia molto negativo. Ho l'impressione che la reazione di Ernesto Rossi dopo il '54 non dovesse essere molto diversa dalla reazione che è oggi quella di molti radicali. La reazione di chi si trova davanti a delle condizioni che non permettono di compiere il salto necessario, in questo caso il salto politico nel processo di costruzione di una federazione europea. E' quindi anche doveroso, a partire dall'ambito nazionale in cui ci si trova, in questo caso l'Italia, portare avanti una serie di riforme di tipo liberale e liberista. Queste riforme sono ormai assolutamente necessarie e non si può più utilizzare l'alibi dell'Unione Europea come luogo nel quale alla fin fine tutti i problemi verrebbero risolti. Questo non può più essere sostenuto.