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Partito Radicale Centro Radicale - 9 novembre 1998
PR/Droga: lettera aperta a Massimo D'Alema

LETTERA APERTA A MASSIMO D'ALEMA, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

di Olivier Dupuis

L'Unità, 9 novembre 1998

Egregio Signor Presidente,

all'interno della sinistra e della sua stessa compagine governativa, si moltiplicano gli appelli perché non si riduca la "questione sulle droghe" al "vecchio" scontro fra proibizionisti e antiproibizionisti. Ma è davvero "superata" questa contrapposizione "ideologica" fra i fautori della proibizione e della legalizzazione delle droghe proibite? Non è invece lecito chiedersi se quest'ansia di "superamento" non nasconda al contrario l'esigenza di superare un imbarazzo, di archiviare un problema politico troppo ingombrante?

E' vero: il mercato delle droghe illegali è in evoluzione (del resto: è un mercato). Ma non si può certo sostenere che esista, sia pure a titolo di mera ipotesi di scuola, una proposta di riforma complessiva delle leggi sulla droga così "evoluta" da prescindere dal problema centrale del monopolio criminale dell'offerta di droghe proibite.

I proibizionisti cercano di affrontare questo problema con politiche di contrasto della domanda e di repressione dell'offerta: il risultato è un sistema di completa liberalizzazione criminale delle sostanze proibite. Gli antiproibizionisti propongono di affrontare questo flagello (quello del fallimento del proibizionismo sulle droghe prima ancora che quello delle droghe in sé) con politiche di controllo della domanda e di regolamentazione legale dell'offerta. Tertium non datur, e dall'adozione dell'uno o dell'altro approccio discendono conseguenze dirette sulla diffusione delle sostanze psicoattive e sul sistema complessivo di garanzia dei diritti e delle libertà.

Insomma, Signor Presidente, sostenere, come fanno alcuni suoi Ministri, che il problema della droga si possa affrontare solo confidando negli strumenti di cura e trattamento all'interno dei "circuiti protetti" dell'harm reduction non è sbagliato: è falso. Sciogliere il contrasto fra proibizionismo e antiproibizionismo in una indeterminata "terza via solidaristica" significa "ridurre" surrettiziamente il problema della droga al problema delle dipendenze o del consumo di droga; significa "ridurre" il problema politico, economico e civile di un mercato illegale sterminato e dei costi che esso impone a tutta la società al problema socio-sanitario di alcuni consumatori di droghe proibite.

Non penso che nessuno, tantomeno Lei, Signor Presidente, possa dubitare della nostra fiducia nelle politiche di riduzione del danno. Lei sicuramente ricorda chi promosse e sostenne, non solo politicamente, i costi del referendum che nel 1993 consentì di ripristinare in Italia la non punibilità del consumo individuale di droghe e un minimo di libertà terapeutica per i medici e per i pazienti tossicodipendenti.

Ma la "riduzione del danno" non è una politica sulla droga; è solo una intelligente ed efficace strategia sul consumo di droga che, peraltro, offrirebbe vantaggi maggiori in un quadro normativo antiproibizionista, nel quale per l'assuntore di droghe i costi della proibizione (crimini, detenzioni, marginalità "dura",...) non si aggiungessero - come oggi inevitabilmente accade - a quelli dovuti all'uso droghe.

Ora, è indubbio che su questo tema grava all'interno della compagine governativa una pesante ipoteca conservatrice che rischia di pregiudicare ogni possibilità di seria riforma delle politiche sulla droga. Proprio per questa ragione credo sia necessario che la "sinistra antiproibizionista" al Governo rifiuti di rifugiarsi in un comodo "aproibizionismo", che finirebbe per confermare lo status quo e per allineare rigidamente le posizioni dell'esecutivo ai diktat della minoranza proibizionista.

Di certo, chiediamo che questa sinistra non si costringa addirittura a negare l'attualità politica della proposta antiproibizionista, e dia almeno effettiva attuazione alle politiche di riduzione del danno. Vogliamo continuare a sperare che in Consiglio dei Ministri l'esigenza di "legalizzare" non le droghe, ma quantomeno il diritto e la libertà di cura dei medici e dei consumatori di droga, sia affrontata laicamente. Vogliamo sperare che per i medici non continui ad essere interdetta la possibilità di utilizzare l'eroina nella cura dei tossicodipendenti. Per una ragione semplice: perché funziona - come è dimostrato da varie esperienze, a cominciare da quella svizzera - e perché una cura efficace è, di per sé, una cosa "buona". Non fare neanche questo, significherebbe arrendersi alla minoranza moralista della sua maggioranza e rendere il più grande, inutile e sciagurato omaggio all'ideologia della "guerra alla droga".

OLIVIER DUPUIS

(Segretario del Partito Radicale e deputato europeo)

 
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