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Partito Radicale Centro Radicale - 29 gennaio 1999
Convegno "Leva la leva": intervento di Emma Bonino

EUROPA: PER UN'UNIONE DIPLOMATICA E MILITARE

Intervento di Emma Bonino

Convegno "Leva la Leva" - per l'abolizione della leva militare e civile

Roma, 29 gennaio 1999

"Per avere autorevolezza politica, l'Unione Europea deve essere capace di agire militarmente da sola anche quando gli Stati Uniti non sono impegnati". "Non ho pregiudizi su cio' che questo puo' significare dal punto di vista istituzionale". Pubblicate da Tony Blair a metà novembre sull'International Herald Tribune, queste parole significano un cambiamento epocale nell'atteggiamento britannico verso la difesa europea.

Nonostante la loro "mancanza di pregiudizi" dal lato istituzionale, è noto che i britannici auspicano la chiusura dell'Unione Europea Occidentale, (il semi-inutilizzabile braccio armato dell'Unione Europea) insieme alla creazione di un Consiglio dei ministri della difesa all'interno dell'UE. Qualsiasi decisione di politica di difesa dell'UE dovrebbe quindi essere messa in pratica nel quadro della NATO, con o senza gli americani. Non c'è niente di rivoluzionario in quest'idea: l'UEO potrebbe scomparire domani e nessuno la rimpiangerebbe. Né i 10 paesi membri a pieno titolo, che hanno sempre visto la NATO come il vero garante della loro integrità territoriale; né i quattro paesi neutrali dell'UE (Austria, Finlandia, Irlanda e Svezia), che sono meri "osservatori" all'interno dell'UEO. Inoltre, nessuno attualmente minaccia tale integrità territoriale. Oggi, il cittadino europeo medio è quasi inconsapevole del fatto che il proprio paese abbia un esercito, eccetto quando i propri soldati partono per missioni all'e

stero.

Cosi', il solo vero problema della difesa europea sono gli interventi cosiddetti fuori-area: gli aiuti umanitari, il mantenimento della pace, la pacificazione. E' logico politicamente e operativamente contare sulla NATO anche per questo tipo di interventi. L'idea di Blair - rendere l'UE capace di intervenire anche quando gli Stati Uniti non sono impegnati - è esattamente quello che intendeva la NATO quando ha definito le sue risorse militari entità "separabili ma non separate" e ha creato il concetto di Joint Combined Task Forces (gruppi di forze interarmate multinazionali). Spingere lo JCFT oltre il suo attuale livello concettuale e utilizzarlo realmente per dare strumenti credibili alla difesa europea necessita una piena reintegrazione della Francia nella struttura militare della NATO. Cio' a sua volta richiede che Parigi abbia qualche soddisfazione in termini di comandi militari alleati. Sebbene queste questioni non fossero esplicitamente menzionate nel comunicato congiunto franco-britannico sulla difesa

europea uscito dal vertice di Saint-Malo all'inizio di dicembre, sembra plausibile assumere che le richieste francesi godano ora di un più chiaro sostegno britannico.

Tuttavia la NATO puo' essere solo parte della soluzione. Sicuramente l'Alleanza permetterebbe agli europei di evitare di duplicare molte risorse, infrastrutture e comandi. Molte, ma non tutte. Per altre cose, come i trasporti a lungo raggio e la ricognizione satellitare, gli europei partono quasi da zero, e possono farcela soltanto coalizzandosi. Di qui l'urgenza, che finalmente gli inglesi riconoscono, di un'identità di difesa europea. Per essere ancor più chiari: la NATO non puo' continuare a essere la scusa per posporre questa scelta difficile, per la semplice ragione che i nostri alleati americani sono sempre più stanchi di colmare i nostri vuoti militari. La guerra fredda è finita, ma il ritornello di Washington è ancora lo stesso: gli europei dovrebbero sopportare un onere maggiore nel quadro della difesa comune.

Come i paesi neutrali dell'Unione percepiranno questo più alto profilo dell'Alleanza atlantica rimane a vedere. Comunque, il Trattato di Amsterdam, in vigore tra pochi mesi, già prevede nell'area della politica estera e di sicurezza comune, un meccanismo di "astensione costruttiva". Con questo s'intende che quei paesi membri dell'Unione che desiderino intraprendere una particolare azione, non sono più necessariamente dipendenti dall'accordo dei partner più riluttanti. La procedura si applica indipendentemente dal quadro istituzionale scelto per rendere operativa tale azione: la NATO, l'UEO, l'OSCE etc. Ne risulta un parallelo interessante: gli americani non metterebbero il veto all'uso delle risorse NATO per operazioni condotte sotto bandiera UE; i neutrali non metterebbero il veto all'uso della bandiera UE sulle risorse NATO. Sono, tuttavia, scenari ipotetici. Nel mondo reale i paesi neutrali tendono semmai ad affiancare la NATO nelle più importanti operazioni di pace, come in Bosnia, Albania e Kossovo.

Se tutto sembra cosi' ragionevole e fattibile, siamo allora sul punto di varare una grande riforma della difesa europea? La risposta è no. Sul vecchio continente riforme di tale portata non si sono mai fatte senza almeno tre condizioni: un fermo impegno verso un obiettivo finale, quantunque distante nel futuro; il conseguente senso di direzione capace di guidare generazioni successive di leader politici, diplomatici e burocrati; un quadro istituzionale appropriato al raggiungimento dell'obiettivo.

L'Unione Economica e Monetaria - l'esclusione dalla quale ha probabilmente spinto i britannici a prendere l'iniziativa altrove - ne è un esempio tipico. Dieci anni fa di questi tempi, l'idea di una UEM era ancora oggetto di esame da parte di un comitato composto da dodici governatori di banche centrali e tre esperti indipendenti, presieduto dall'allora Presidente della Commissione, Jacques Delors. Il comitato arrivo' a proporre un piano in tre fasi per la UEM, adottato poi al Consiglio Europeo di Madrid nel giugno 1989; la prima fase si inizio' il primo luglio 1990. L'obiettivo finale di una piena unione monetaria fu incorporato nel Trattato di Maastricht due anni più tardi. Ma i governi europei mantennero saldamente il controllo di tutto il processo, inclusi i passaggi da una fase all'altra.

Questo processo dovrebbe essere ripercorso, stavolta nell'ambito della Politica Estera e di Sicurezza Comune. Quando il Trattato di Amsterdam entrerà in vigore, il Consiglio Europeo potrebbe nominare il nuovo Alto Rappresentante della PESC e il Presidente della Commissione a copresiedere una riedizione del comitato Delors sull'UEM. Il Comitato dovrebbe essere composto dai quindici capi di Stato maggiore, alti diplomatici dei paesi membri ed esperti indipendenti. Se il comitato scegliesse di seguire il modello del comitato Delors, potrebbe raccomandare un piano in più fasi e su diversi anni, per arrivare a un'Unione Diplomatica e Militare, o UDM. Come con l'UEM, la prima fase dovrebbe essere centrata sul rafforzamento della cooperazione diplomatica e militare, utilizzando gli strumenti già contenuti nel nuovo trattato UE - come la cellula di pianificazione politica e tempestivo allarme, forse in una configurazione di più alto livello di quella attualmente prevista. Nella seconda fase qualcosa di simile all'Is

tituto Monetario Europeo (il precursore della Banca Centrale Europea) potrebbe essere creato, sia in campo militare sia diplomatico. Finalmente nell'ultima e terza fase, l'UDM sarebbe compiuta e sia un esercito sia un corpo diplomatico europei vedrebbero la luce. Come per l'UEM, l'intero processo verrebbe supervisionato e deciso in ultima istanza dai governi degli stati membri. In questo senso, l'idea britannica di creare un Consiglio dei ministri della difesa è particolarmente utile, poiché non c'è una controparte militare del ruolo svolto dal Consiglio Ecofin nell'UEM.

L'idea sarà sicuramente accolta da un diluvio di scetticismo, ma la stessa cosa è accaduta all'UEM. E non anni fa, ma ancora qualche mese fa. Molti diranno che prima di imbarcarsi nell'UDM, è necessario che i paesi membri dell'UE interessati siano d'accordo su ogni singolo dettaglio della politica estera e di sicurezza che vogliono perseguire. Ma con l'UEM si è arrivati a creare la Banca Centrale Europea attorno a un solo obiettivo di politica monetaria: la stabilità dei prezzi. E la BCE, qualche settimana prima di rilevare le politiche monetarie nazionali degli undici paesi partecipanti, doveva ancora prendere diverse decisioni politiche cruciali. Per dissipare una preoccupazione britannica fondamentale, non è necessario che gli eserciti e i corpi diplomatici nazionali spariscano. Difatti, come nel caso delle relazioni tra banche centrali nazionali e BCE, si puo' arrivare a una divisione del lavoro e a delle sinergie. Ci sarà sicuramente molto da discutere sulla lunghezza del periodo per arrivare ad una pie

na UDM. Ma, dal Comitato Delors all'effettiva circolazione delle monete e banconote euro, ci saranno voluti ben quattordici anni all'Europa per arrivare a una piena UEM. Nel frattempo ci sono stati referendum e opt-out, ogni sorta di dubbi e ripensamenti. Riaccadrà di certo con l'UDM. Ma nonostante tutto cio', nessuno dubita che l'euro stia per decollare con successo.

Da ultimo, molti obietteranno che una volta che si ha un'unione diplomatica e militare cum unione economica e monetaria, voilà!, c'è l'Europa federale. Ho consapevolmente evitato il termine, poiché evoca una moltitudine di altri problemi: i poteri del Parlamento, il ruolo esecutivo della Commissione, e cosi' via su una lista infinita su cui tonnellate di pagine molto controverse sono state scritte. Tuttavia, comunque si voglia chiamare un'Europa del genere, due cose sono certe: avrebbe sulla scena mondiale quell'autorità che attualmente manca ai suoi singoli stati membri e cui Tony Blair giustamente aspira; nessuno potrebbe onestamente dire di essere stato spinto a precipitarsi in una tale Unione. Immaginiamo il 2015 come scadenza per una piena UDM: sarebbero 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Davvero nessuna precipitazione.

 
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