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Partito Radicale Centro Radicale - 20 marzo 1999
DEMOCRAZIA PER LA CINA/LIBERTA' PER IL TIBET-FAX N.75

Bollettino di informazione sulle campagne del Partito Radicale transnazionale per la libertà del Tibet e per la democrazia in Cina.

Numero 75 del 15 marzo 1999 (Anno IV)

Redazione: Massimo Lensi

Mailto: tibet.fax@agora.it

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"I truly believe that individuals can make a difference in society. Since periods of great change such as the present one come so rarely in human history, it is up to each of us to make the best use of our time to help create a happier world".

Tenzin GYATSO, the Fourteenth Dalai Lama, 1992

Pubblicato in inglese, francese, spagnolo e italiano.

UNO STRANO 10 MARZO

Quarant'anni sono trascorsi dai terribili giorni che videro le truppe dell'Esercito di Liberazione del Popolo mettere a ferro e fuoco Lhasa. E quarant'anni sono trascorsi senza che ancora si intraveda una conclusione alla tragedia tibetana, nonostante i timidi tentativi di dialogo aperti tra Pechino e Dharamsala alla fine dell'anno scorso.

Lo stesso Dalai Lama nel suo consueto intervento per l'anniversario del 10 marzo (*) fa intendere che nonostante la buona volontà delle istituzioni tibetane, le trattative segrete si sono arenate. Non sappiamo esattamente perché e su quale dei numerosi punti difficili, Pechino o Dharamsala si siano tirati indietro. Forse sulla spinosa questione del Panchen Lama o su quella della definizione dell'entità territoriale tibetana o su quella del rientro dei tibetani della diaspora o semplicemente perché Pechino utilizza la questione tibetana, cosi' come Taiwan, il Turchestan, le "Economic Zone" sull'altro difficile tavolo: quello delle trattative per accedere come paese in via di sviluppo nella WTO (World Trade Organization). Oppure perché a Pechino è assente, dalla morte di Deng, una vera leadership capace di decidere sulle numerose questioni aperte. I "3 grandi", Jang Zemin, Li Peng e il Premier Zhu Ronji, hanno ancora da definire i precari confini interni di potere. La dissidenza interna cinese subisce come nel

1977 e nel 1978 i primi forti colpi di una repressione più volte annunciata. Rimane sempre aperto il problema Taiwan e quello della tenuta degli investimenti stranieri nelle tanto famigerate Economic Zone, vicine al fallimento.

Ci permettiamo di sottolineare il doppio approccio che il Dalai Lama ha avuto il coraggio di rendere pubblico nel suo intervento: dialogo (segreto) e poi negoziati. Probabilmente il Kashag (1) ha avuto le sue buone e opportune ragioni per operare in questa forma. Non né dubitiamo. Anche se i ricatti subiti dai tibetani in questo periodo - ma anche negli anni passati - hanno sempre dimostrato che la componente che puo' far pareggiare le forze in campo non puo' passare attraverso i bui corridoi dei palazzi di Pechino, pur con la buona opera di intermediari non ufficiali. Solo attraverso il coraggio della denuncia, la forza del dialogo aperto, un movimento di sostegno capace di mobilitare centinaie di migliaia di persone, è possibile aprire i negoziati. E noi sosteniamo, ormai da 4 anni, che deve essere il Segretario Generale delle Nazioni Unite il garante di negoziati di tale portata storica.

Il Dalai Lama, il suo Kashag, devono esprimersi su Taiwan, sulla dissidenza cinese del Partito Democratico arrestata, sulla Corea del Nord, sulla Mongolia interna, su questi ed altri importanti punti della vita democratica di un continente in bilico tra esplosioni demografiche, implosioni economiche e guerre locali. Non solo quindi il naturale sostegno alla democratica India, ma ingerenza nonviolenta sulle più importanti questioni politiche del governo di questo difficile continente. Negli anni passati la politica dello struzzo non ha mai pagato per il Tibet.

Taiwan è un paradosso politico. Lo abbiamo sempre sostenuto. Il ricatto cinese di chiedere una dichiarazione del Dalai Lama di unità territoriale della grande Cina lo dimostra. Ci auguriamo che dal Kashag arrivi la risposta, ma non quella, ovviamente, desiderata da Pechino, da Jiang Zemin in persona.

Quest'anno non ci non state tante manifestazioni per il 10 marzo. A Dharamsala hanno sfilato cinquemila persone; in poche altre città del mondo, pattuglie di sostenitori del Tibet hanno inscenato dimostrazioni. E tutte tra vecchi ed antichi slogan, ci dispiace dirlo. Il "Go back red Chinese" puo' essere un utile stimolo, ma non è certo sufficiente. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di coinvolgere le cancellerie occidentali e le istituzioni internazionali, le uniche a poter contare e far contare il Kashag, nella fase di risoluzione definitiva e pacifica della questione del Tetto del Mondo.

Per quell'obiettivo, pur tra mille nostre difficoltà, continueremo a lottare. Ma un'altra scadenza importante si avvicina: il decennale di Piazza Tiennamen. Il 1999 è l'anno dei "Tre Nove" ed in Cina assume il superstizioso significato di grande sciagura o grande fortuna...

Buon anno a tutti voi!

ML

(*) L'intervento del Dalai lama in occasione del 40.mo anniversario del "Tibetan Uprising day" è stato inserito nella pagina Web del Partito Radicale Transnazionale: www.radicalparty.org

(1) Governo tibetano in esilio.

QUARTO DECENNIO DI OCCUPAZIONE SANGUINARIA, DI GENOCIDIO NEI CONFRONTI DI UN POPOLO, QUELLO TIBETANO, CHE COME QUELLO CINESE E' OPPRESSO DALLA STESSA ARISTOCRAZIA COMUNISTA. MENTRE STA PER ARRIVARE A ROMA IL LEADER CINESE JANG ZEMIN.

Dichiarazione di Olivier Dupuis, Segretario del PR e deputato al Parlamento europeo:

"Si è concluso un altro decennio, il quarto, dal massacro di Lhasa, capitale di un paese, il Tibet, occupato da mezzo secolo. I tibetani, come tutti gli abitanti del più popoloso paese del mondo, continuano ad essere sotto il dominio della aristocrazia dispotica e assassina, di quei 50 milioni di comunisti cinesi che dominano tutta la Cina. Una classe, un ceto che risponde con puntualità ad ogni apertura dell'Occidente con l'inasprimento della repressione, con gli arresti di democratici e dissidenti, le esecuzioni capitali a grappoli e talvolta di massa. Con i Laogai - parola che in lingua tedesca si traduce esattamente con lager, e in lingua russa con gulag. La Cina, anche se forte solo in apparenza, c'è; l'Europa non c'è.

I paesi dell'Unione Europea sono in corsa tra loro, in gara per assicurarsi la fetta più succulenta del vastissimo mercato cinese, ignorando l'estrema pericolosità di un mercato non accompagnato dallo stato di diritto e dalla democrazia.

Il 40. anniversario del massacro di Lhasa e dell'esilio del Dalai Lama saluta una Europa senza politica comune, un nano politico i cui paesi membri fanno la fila a Pechino con il cappello in mano o a Roma, come avverrà nelle prossime settimane quando Jang Zemin, il leader cinese, verrà in Italia; in una data a metà tra l'anniversario del massacro di Lhasa e quello della Tienanmen..."

CINA TIBET TELEX

PE/COMMISSIONE ONU PER I DIRITTI UMANI

Il Parlamento europeo ha adottato l'11 marzo una risoluzione sulla prossima sessione della Commissione per i diritti umani a Ginevra. La risoluzione chiede al Consiglio e alla Commissione europea iniziative concrete sulla questione dei diritti umani, sull'istituzione di una moratoria universale delle esecuzioni capitali e sulla ratifica dello Statuto del Tribunale Penale Permanente. A questo proposito la Segreteria del Partito Radicale ha rilasciato il seguente comunicato.

"Una volta tanto il PE è riuscito a scongiurare i rischi dei pii voti e delle considerazioni retoriche focalizzando la sua risoluzione su delle iniziative concrete. In particolare chiede al Consiglio e agli Stati membri di impegnarsi su tre questioni di prima importanza in materia di promozione del Diritto e dei diritti fondamentali a livello internazionale:

1. la presentazione e la sponsorizzazione di una risoluzione sulle costanti e sistematiche violazioni dei diritti umani nella Repubblica Popolare di Cina;

2. la presentazione e la sponsorizzazione di una risoluzione sull'istituzione di una moratoria universale sulle esecuzioni capitali, ultima tappa prima dell'iscrizione, a giugno, della questione dell'istituzione della moratoria universale all'ordine del giorno della prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite;

3. la presentazione e la sponsorizzazione di una risoluzione che chieda a tutti gli Stati membri della Comunità internazionale di firmare e/o ratificare lo Statuto del Tribunale Penale Internazionale."

PE/INDIA/PARTENARIATO UE-INDIA

Il PE ha adottato l'11 marzo il Rapporto di Anne André Léonard per un partenariato rafforzato tra l'Unione europea e l'India. Il rapporto, sottolineando il fatto che l'India è uno dei "rari esempi di paesi democratici nella regione" e che "rappresenta un fattore di prima importanza di stabilità e d'incitamento allo sviluppo democratico per l'intero continente asiatico" riconosce "che esiste un potenziale considerevole per delle relazioni bilaterali su tutti i piani tra l'Unione europea e l'India, in ragione dei valori indiani di democrazia, di pluralismo culturale e di deciso spirito d'impresa", ritiene " che l'India debba diventare un partner privilegiato dell'Unione europea e dei suoi Stati membri, sia da un punto di vista politico che dal punto di vista economico" ed "invita di conseguenza l'Unione a fare dell'approfondimento dei suoi rapporti con l'India una priorità della politica estera e di sicurezza comune".

Dichiarazione di Olivier Dupuis, segretario del Partito Radicale e deputato europeo:

"Tra, da un lato, un miliardo di cittadini e, dall'altro, un miliardo e duecento milioni di sudditi o ostaggi dei laogai, tra un'economia di mercato fondata su uno Stato di Diritto e sempre più aperta sul mondo e un'economia tutt'ora essenzialmente controllata dalla burocrazia comunista o ... dall'esercito, tra un sistema fondato su delle istituzioni democraticamente elette e un sistema retto da una casta aristocratica comunista che non deve rispondere a nessuno, tra una società libera di esprimersi, di votare, di produrre, di spostarsi e un sistema che opprime persone e popoli, il PE ha finalmente iniziato a fare delle scelte rimettendo in causa le certezze non prive di sufficienza dei Brittan e altri simpatizzanti dei tappeti rossi pechinesi e proponendo, anche se in maniera ancora troppo timida, di "puntare" strategicamente sull'Asia democratica, sull'Asia dell'Economia di mercato invece e al posto del sostegno incondizionato all'Asia dittatoriale, imperialista, burocratica, l'Asia dei laogai e dei proces

si farsa."

 
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