E' L'ORA DEI GOVERNI
Emma Bonino richiama l'Occidente alle proprie responsabilità
Colloquio con Emma Bonino
Di Giancarlo Loquenzi e Giuseppe Cruciani
Liberal, 15-22 aprile 1999
Emma Bonino, la guerra in corso in Kosovo ha indotto alcune cancellerie europee a invocare il Tribunale dell'Aja dove i crimini di Slobodan Milosevic possano alla fine essere giudicati. Lo considera un buon segno?
Magnifico. Dovrebbero però far seguire alle parole i fatti. Per esempio potrebbero ratificare lo statuto della Corte penale permanente approvata a Roma lo scorso luglio. Per far partire quel Tribunale occorrono per l'esattezza almeno sessanta ratifiche. Per ora gli unici Parlamenti che hanno adempiuto a questo impegno sono quelli del Senegal e di Trinidad e Tobago. Tutti gli altri, persino quelli dei Paesi promotori, come l'Italia e gli altri dell'Unione Europea, mancano ancora all'appello. Sarebbe una necessaria manifestazione di fiducia verso la giustizia internazionale.
Il Tribunale dell'Aja sui crimini nella ex Jugoslavia è però già operante. Potrebbe avvenire in quella sede un'eventuale incriminazione di Milosevic?
Intanto bisognerebbe ottenere che gli ispettori del Tribunale dell'Aja possano fare il loro lavoro. Altrimenti si tratta solo di dichiarazioni e di auspici di tipo politico. Una delle principali violazioni delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu è quella con cui Milosevic ha impedito l'ingresso in Kosovo gli investigatori del Tribunale ad hoc dell'Aja. Quella violazione gravissima, che impedì a Louise Harbour e agli altri di svolgere le loro indagini, passò del tutto inosservata e senza alcuna reazione. Poiché io penso che i tribunali abbiano una funzione giuridica e non politica, la prima cosa da ottenere, o la prima da fare quando il Kosovo sarà sotto controllo internazionale, è quella di dare il via libera alle indagini sul comportamento di Milosevic. Per questo tre investigatori del Tribunale sono già in Albania e in Macedonia per raccogliere prove e testimonianze al fine di costituire il dossier che può fare da base a un'eventuale incriminazione.
Il Tribunale dell'Aja non ha ancora dato grandi prove di efficacia, tanto che i governi si sono ricordati della sua esistenza solo a crisi più che avanzata...
Non è proprio così. Certo quel Tribunale, come tutte le istituzioni umane, ha avuto i suoi alti e bassi. Il suo momento peggiore è stato quando l'Unprofor si è rifiutata di arrestare Mladic e Karadzic su cui pendevano mandati di cattura emessi proprio da quel Tribunale. Ma in ogni caso è bene che quel Tribunale ci sia e che ora ci si ricordi della sua esistenza. Meglio sarebbe se gli Stati si affrettassero a ratificare lo statuto del Tribunale permanente e meglio ancora se qualcuno si decidesse a stanziare qualche soldo per finanziare fin d'ora il lavoro d'indagine.
Le sembra plausibile, come da qualche parte oggi si sostiene, che questa guerra si concluda con una incriminazione di Milosevic davanti a un Tribunale internazionale per i crimini di guerra?
Può essere uno degli elementi. Mi pare difficile che tutto possa risolversi in questo. Anche perché spero che il Tribunale non diventi mai un organo politico ma resti un'istituzione giuridica che prima di muoversi cerca e vaglia con serietà le prove disponibili. Mi auguro che i ministri o i capi di Stato che evocano questa incriminazione abbiano prove fotografiche, fonti di intelligence che finora non sono note. E se hanno queste prove di implicazione diretta spero che le consegnino al Tribunale ad hoc visto che lo statuto prevede che le prove possono essere raccolte dagli Stati membri, dalle organizzazioni non governative e dagli ispettori del Tribunale. Spero insomma che chi fa questi proclami politici abbia anche qualcosa di concreto da trasmette d'urgenza all'Aja. Perché mi pare che in queste materie la trasparenza sia essenziale.
Il Partito radicale transnazionale, di cui lei è una militante di primo piano, raccolse quasi duecentomila firme per l'incriminazione di Milosevic già l'anno scorso...
Fece benissimo, perché è giusto che anche l'opinione pubblica faccia sentire la sua pressione e il suo sdegno e anzi oggi il mio appello da radicale è proprio quello di sostenere finanziariamente il nostro tentativo di raccogliere nuove prove sul campo da fornire al Tribunale. Ma sarebbe grave confondere i due piani: uno è quello della giustizia che deve fare il suo corso, e poiché la giustizia internazionale è ai suoi primi passi sarebbe sbagliato minarne la credibilità caricandola di valutazioni politiche. L'altro è il piano politico su cui il Partito radicale di muove da dieci anni perché è chiarissimo che c'è un signore che ha un progetto sanguinoso e lo mette in opera con molta determinazione fin dal 1991. E un progetto che bisogna fermare con i mezzi della politica e se è necessario della forza. Ma non possiamo pensare che sia la giustizia internazionale a risolvere i nostri problemi con Milosevic.