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Dell'Alba Gianfranco - 1 aprile 1989
L'Europa che non vogliono
di Gianfranco Dell'Alba

SOMMARIO: Non c'è solo la signora Thatcher contro l'Unione politica europea. Il primo ministro inglese ha almeno il "merito" di parlar chiaro. Gli altri, la maggioranza dei governi europei vuole l'Unione europea solo a parole. Nei fatti gli egoismi e gli interessi delle burocrazie nazionali non perdono occasione per creare sbarramenti sulla strada che porta alla costruzione degli Stati Uniti d'Europa. Solo l'opinione pubblica europea, che a maggioranza, anche in Inghilterra, si esprime a favore di un trasferimento più esteso delle competenze nazionali ad un governo europeo, e la quasi totalità dei membri del Parlamento europeo, possono avere la forza d'imporre la ragionevole scelta dell'unione politica. ("Numero unico" per il 35· Congresso del Partito Radicale - Budapest 22-26 aprile 1989 - Edizioni in Inglese, Ungherese e Serbocroato)

Il leader politico europeo che più si occupa di Europa e di Comunità europea è senza dubbio il Primo ministro di Sua maestà britannica, Margaret Thatcher. Naturalmente lo fa alla sua maniera, non perdendo occasione per ribadire il suo convincimento contrario ad ogni sviluppo sovranazionale della Comunità, ad ogni rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo ad ogni passo avanti verso una maggiore integrazione politica dei 12 Stati membri: per Margaret Thatcher »Quest' Europa non s'ha da fare . Isolata nel Consiglio dei capi di Stato e di governo sulla proposta di istituire una commissione di esperti per studiare la realizzazione in tempi brevi di un'unione monetaria e di un'unica banca centrale europea, incassa e subisce. Ma subito definisce »ridicola l'idea, e aggiunge che per costituire una Banca europea bisognerebbe prima sciogliere la Camera dei Comuni. I due rappresentanti britannici nella Commissione esecutiva di Bruxelles (un conservatore e un laburista) sono troppo europeisti? Li licenzia e li so

stituisce con due più docili seguaci dell'ortodossia thatcheriana. La maggioranza dei deputati europei del suo partito sottoscrivono una dichiarazione solenne per la convocazione nel 1989 degli »Stati Generali d'Europa e l'accelerazione del processo di unità politica? Lei risponde proponendo una più stretta intesa fra i governi e l'istituzione di un segretariato intergovernativo che svuoterebbe di ogni funzione le istituzioni comunitarie. Insomma, il generale De Gaulle ha trovato un degno erede proprio nel Primo ministro di quel Regno Unito di cui per ben due volte respinse con sdegno negli anni sessanta la richiesta di ingresso nella Cee. Nessuno statista meglio di Margaret Thatcher interpreta e difende la politica della »Europa delle patrie : una politica che è disposta a consentire solo un grande mercato europeo, ma non leggi, non regole, non poteri comuni e sovranazionali. Questa politica può piacere o non piacere, ma è una politica, che ha il merito di proclamare con chiarezza ciò che vuole e di perseg

uirlo con coerenza. Non ha tutti i torti la Lady di ferro nel disprezzare quegli statisti europei che parlano di unità europea, ma si guardano bene dal volerla davvero, e di contrapporle una politica altrettanto chiara e coerente. I governi tedesco, francese, olandese, belga, spagnolo fanno a gara nel proclamare la necessità dell'Europa e di una sua maggiore integrazione, in primo luogo politica, e nello smentire poi, nei comportamenti pratici, queste dichiarazioni di volontà. Il Presidente Mitterrand è un po' diventato il simbolo di questo che rischia di diventare »l'europeismo delle parole . Durante le elezioni presidenziali contrappose il suo europeismo al nazionalismo di Chirac, proclamando: »La France est nôtre Patrie, l'Europe est nôtre avenir . Ora il suo primo ministro, appena insediato, ha chiesto la revisione delle decisioni appena assunte in materia fiscale, in applicazione dell'Atto Unico adottato da tutti e 12 i governi. Una serie di episodi analoghi di questa politica contraddittoria potrebbero

essere beninteso citati per i governi degli altri paesi: si tratti di Kolh o di Gonzales, dei governi di Bruxelles o dell'Aja, o dello stesso governo italiano. Questo immobilismo dei governi non solo non trova alcun contrappeso, ma viene favorito e incoraggiato dalle grandi forze politiche democristiane, socialiste, liberali che nel passato, grazie alle convinzioni di alcune grandi personalità (Adenauer, De Gasperi, Schumann, Spaak, Monnet, Mansholt, La Malfa, Einaudi) dettero un contributo determinante all'avvio del processo di integrazione comunitaria e ai Trattati di Roma. Oggi le internazionali dei partiti cristiani e socialisti hanno una gestione burocratica che soffoca ogni grande disegno politico ed ideale, ed ogni rinnovamento europeo. Esse appaiono al rimorchio dell'Europa degli affari, unicamente interessata alla realizzazione di un grande mercato continentale senza regole, una autentica giungla del capitalismo contemporaneo che gli Stati nazionali sarebbero incapaci di governare come sono incapac

i di governare tutti i grandi fenomeni - transnazionali e sovranazionali - del nostro tempo. Naturalmente continuano ad esistere all'interno dei partiti che fanno capo alle internazionali democristiana, socialista e liberale tradizioni e orientamenti prevalenti che rimangono federalisti ed europeisti. Questo è uno dei motivi degli omaggi che i governi e le burocrazie partitiche continuano a rendere ad una politica di unità europea che non fanno nulla per perseguire. Per il resto queste maggioranze europeistiche e federaliste sono soffocate dalle concrete politiche governative, e come sono frustrate e soffocate le aspirazioni delle opinioni pubbliche europee che in ogni paese della Comunità - anche in quelli che passano come i più anticomunitari e antieuropei - si esprimono costantemente con consistenti maggioranze a favore di un rafforzamento delle istituzioni europee. E' singolare che proprio in Gran Bretagna i sondaggi periodici effettuati dal »Barometro europeo rivelino che il 64% degli interpellati sono

favorevoli a devolvere a un governo comunitario gli affari della sicurezza e della difesa, il 62% quelli della protezione e dell'ambiente, il 57% quelli dello sviluppo della ricerca e della tecnologia, il 52% le relazioni internazionali, il 50% gli investimenti destinati alla cooperazione allo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo. Questo nel paese della Signora Thatcher! L'unica voce di questa opinione pubblica è il Parlamento europeo: un Parlamento eletto direttamente dai popoli dei 12 paesi membri, ma privo di poteri legislativi, deliberativi e di controllo. Da questo Parlamento era venuto al termine della sua prima legislatura un progetto di Trattato che avrebbe costituito un primo, consistente passo verso l'unione politica. Quel progetto è stato bloccato dai governi nazionali. Ora il Parlamento europeo si è rivolto ai Parlamenti nazionali per chiedere la convocazione degli Stati generali d'Europa, una grande assise composta dal Parlamento europeo e dai 12 Parlamenti nazionali per chiedere la convocazione

degli Stati generali d'Europa, una grande assise composta dal Parlamento europeo e dai 12 Parlamenti europei. Se questa proposta fosse approvata, a due secoli esatti dalla Rivoluzione francese potrebbe essere dato l'avvio, nella terza legislatura del Parlamento europeo, a una stagione costituente della nuova Europa, con l'elezione diretta da parte degli Stati generali di un Presidente del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, l'elezione diretta per la prima volta del Presidente della Commissione esecutiva della Cee, l'affidamento al P.e. dei poteri costituenti dell'unione politica. Ma non si può contare sui governi nazionali, né sulle burocrazie dei partiti e delle loro internazionali. Da loro vengono, al contrario, le maggiori resistenze dei vecchi interessi e dei vecchi poteri. Solo l'opinione pubblica europea, solo le energie emergenti che guardano all'Europa e alla sua integrazione, solo i parlamentari senza mediazioni burocratiche e governative possono dare all'Europa ciò di cui hanno bisogn

o: la sua unità. Ma sono forze senza potere e senza voce. Occorre restituirglieli: con i referendum che chiamano i popoli a decidere in ciascuno dei 12 paesi, con l'attribuzione al Parlamento europeo dei poteri costituenti, con la convocazione degli Stati generali d'Europa.

 
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