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Pannella Marco - 1 aprile 1989
I confini d'Israele possono essere i confini degli Stati Uniti d'Europa Marco Pannella

SOMMARIO: »La difesa e la sicurezza di Israele possono coincidere con quelle di altri trecento milioni di europei afferma Marco Pannella in un articolo apparso sui quotidiani israeliani ``Jerusalem Post'', ``Maariv'' e ``Yediot Ahronoth'' in occasione del Consiglio federale del Partito radicale tenuto a Gerusalemme nell'ottobre 1988. »Essere democratici significa comprendere che i nemici di Israele non temono tanto le sue armi quanto i suoi ideali e quelli di democrazia politica e sociale . ("Numero unico" per il 35· Congresso del Partito Radicale - Budapest 22-26 aprile 1989 - Edizioni in Inglese, Ungherese, Serbo Croato)

I confini di Israele possono essere i confini degli Stati Uniti d'Europa (e del Mediterraneo). I cittadini d'Israele possono essere i cittadini degli Stati Uniti d'Europa, della Comunità europea. La difesa, la sicurezza d'Israele possono coincidere con quelle di altri trecento milioni di persone, ed essere integrate nel sistema difensivo che gli Stati Uniti d'Europa possono darsi e si stanno in varie forme dando. In questo scenario la pace può essere trattata e affermata; i territori occupati possono strategicamente essere lasciati. Ma solo in questo scenario. Ogni altra soluzione non può essere che fallace e precaria. Alla vigilia del 2000 lottare per edificare o difendere uno Stato nazionale - tanto più se di minime dimensioni - è un non-senso, un errore strategico oltre che ideale e politico. Questa realtà, che è stata compresa da Stati come la Germania, come la Francia, come la Gran Bretagna o l'Italia, è vera anche per Israele, così come per coloro che lottano per uno Stato palestinese. Invece tutti i p

artiti - e il mondo intero - sembrano convinti del contrario. Così si sta vivendo una tragedia senza sbocchi e sempre più grave. L'esperienza dimostra che quasi ovunque nel mondo, in Africa, in America Latina, in Medio ed Estremo Oriente, le lotte cosiddette di ``liberazione nazionale'' si sono tradotte in catastrofi e in regimi dittatoriali. D'altra parte l'indipendenza, il non-allineamento, costituiscono un'illusione o una menzogna. Non si è ``indipendenti'', non si è liberi quando le dimensioni di un territorio e di un mercato sono minime e si dipende per tanta parte del proprio bilancio da altri Stati; non si è liberi, e la democrazia diviene senza rapporto effettivo con il potere reale di decisione, sul piano storico e politico. Il sionismo, con i suoi immensi valori, è stato concepito mentre nel mondo le lotte per la creazione degli Stati nazionali divenivano cultura di un'intera generazione intellettuale. Oggi quegli stessi valori e quelle stesse speranze esigono di essere riformati per restare o torn

are ad essere vivi e vitali. Occorrono soggetti politici, storici, capaci di guidare questa svolta. Occorrono partiti e forze politiche transnazionali, nuove, per affermare gli ideali di libertà, di giustizia, di pace, di tolleranza, per rispondere ai problemi reali dell'umanità e del pianeta, messi a sacco dal disordine stabilito e dominante ovunque. Occorre rompere anche con un pacifismo ``equidistante'', privo di proprio risposte positive, sia sul piano politico che su quello storico. Essere nonviolenti comporta essere sempre all'attacco, contro la violenza e i regimi violenti. Essere democratici significa comprendere che i nemici di Israele non temono tanto le sue armi, quanto i suoi ideali e quelli di democrazia politica e sociale. Questi ideali sono i nemici più temuti da tutti gli altri regimi del Medio Oriente, senza eccezione, perché sono i soli che possono rendere liberi i cittadini, gli abitanti. In Israele una vecchia classe dirigente sembra schiava del passato, ed è incapace di comprendere fino

in fondo che le armi migliori sono quelle di uno Stato di diritto, quelle dei diritti civili e umani per tutti; ma soprattutto si è rivelata incapace, sul piano delle idee e del governo, dell'amministrazione, di concepire in modo moderno ed efficace sia la prevenzione sia la repressione, muovendosi secondo una strategia vecchia di cinquant'anni, che isola Israele, tanto più che nel mondo predominano conformismo, demagogia, sottovalutazione del pericolo mortale che rappresentano i regimi totalitari, di destra o di sinistra che siano. Il Partito radicale intende lottare perché immediatamente la Comunità europea si apra alla partecipazione piena di Israele, obiettivo necessario per la difesa della democrazia e per la pace in Medio Oriente, passaggio necessario e obbligato per la liberazione democratica di tutti i popoli e di tutti gli individui che l'abitano. E' possibile che il Parlamento europeo si pronunci in tal senso, se questa battaglia sarà ingaggiata e sostenuta anche in e da Israele. Il Partito radical

e terrà il suo Consiglio federale dal 21 al 24 novembre a Gerusalemme presso l'hotel Intercontinental. Questo è necessario al Partito radicale, ed è necessario anche ad Israele. Il Partito radicale non è in concorrenza con nessun partito nazionale di nessuno Stato nazionale del mondo. Non si presenterà in quanto tale, mai, ad elezioni e in quanto tale non potrà mai far parte di alcun governo o opposizione ``nazionale''. Non è un partito di potere, ma un partito di obiettivi e di idee. Il Partito radicale necessita urgentemente dunque di iscrizioni, sottoscrizioni, militanza, per affermarsi, per non essere costretto al fallimento e alla propria chiusura. I refuznik sanno come e quanto sappiamo lottare per la loro causa, per i loro diritti, così come per i diritti di tutte le minoranze e di tutti gli individui oppressi e perseguitati. Ma se i refuznik, e le loro famiglie, gli israeliani che vogliono trovare una soluzione alla tragedia che li accerchia e che diventa sempre più intima e profonda, non daranno sub

ito anch'essi corpo, voce, mano al Partito radicale transnazionale, se non ``voteranno'' in questo modo per un avvenire e per idee e ideali diversi e nuovi per sé e per tutti, noi saremo travolti invece che travolgere le difficoltà immense del nostro tempo.

 
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