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Partito Radicale Centro Radicale - 27 luglio 2000
Espulsione del PRT dall'ONU: articolo del Foglio

All'Onu come in Italia, il ruolo della provocazione radicale

LA RUSSIA CHIEDE L'ESPULSIONE DEL PARTITO DALLE NAZIONI UNITE. LA COLPA? AVER DATO LA PAROLA A UN LEADER CECENO

Il Foglio 27 Luglio 2000

Un ufficetto in fermento a Manhattan. Le volenterose battaglie contro Mosca, ma anche contro Pechino, per il rispetto dei diritti umani. La travagliata strada di Pannella e dei suoi epigoni in giro per il mondo. Gli omicidi dimenticati. La politica proibizionista del Palazzo di Vetro

New York. La vicenda della grande Russia che pretende l'espulsione dall'Onu del minuscolo Partito radicale transnazionale ha senza dubbio degli aspetti un po' strani ma propone anche temi seri di riflessione. Innnazitutto le accuse di Mosca ai radicali: aver fatto parlare in aprile il dirigente ceceno Akhiad Idigov alla Commissione Onu per i diritti umani di Ginevra, e aver incassato soldi da trafficanti di droga e di armi. Quest'ultima appare un'accusa poco credibile per un partito dichiaratamente anti-proibizionista e non violento. Comunque è la prima volta, in più di mezzo secolo di vita dell'Onu, che uno Stato attacca così a fondo un'Organizzazione non governativa. Non accadde nemmeno ai tempi della Guerra fredda. Le Monde, venerdi' scorso, liquidava la questione con questo titolo: "La Russia cerca di soffocare le voci di dissenso sulla Cecenia". Per molti aspetti il ruolo conquistato dai radicali negli ultimi cinque anni nel prestigioso consesso di New York è lo stesso giocato da quarant'anni in Italia:

quello dei rigorosi, strenui, provocatori, "rompiballe". Nel 1995 il partito ha ottenuto lo status di Ong di prima categoria: il più importante, concesso soltanto a una sessantina di organismi al livello di Croce rossa, Caritas e Lega islamica. La seconda categoria è invece quella delle organizzazioni che hanno competenza in aree specifiche (come Amnesty International per i diritti umani, o Greenpeace nell'ecologia). In cambio, il Pr si è impegnato a non presentarsi più alle elezioni italiane, sostituito dalle liste Pannella e Bonino. E' comunque la prima volta che un partito si tramuta in Ong e continua ad agire come una forza politica, anche se in un nuovo contesto istituzionale e internazionale, l'Onu. E questo costituisce probabilmente un elemento di una qualche debolezza per i radicali.

Il diritto di tribuna

Il debutto radicale all'Onu, il primo agosto 1995, nella "Sottocommissione per la prevenzione della discriminazione e la protezione delle minoranze", avviene regalando la parola a Isak Chishi Swu, presidente dei Naga, un popolo perseguitato di tre milioni di persone al confine fra Cina, India e Birmania, ai quali nel 1947 Gandhi aveva promesso l'indipendenza. Da allora i radicali sono riusciti a fare qualche utile provocazione nelle sale delle Nazioni Unite. Hanno installato un loro ufficetto a Manhattan, proprio di fronte al Palazzo di Vetro. E hanno offerto la parola ai dissidenti di tutto il mondo, senza sottilizzare troppo sulle buone ragioni di ciascuno: una specie di "diritto di tribuna", un po' come faceva Marco Pannella trent'anni fa quando firmava i giornali extraparlamentari, da Lotta Continua a Re Nudo, permettendone in questo modo la pubblicazione pur non condividendone i contenuti. Per questa difesa "a priori" delle minoranze, la vedova russa del Nobel Andrej Sacharov, Elena Bonner, oggi appoggi

a i radicali. Dall'Iraq al Sudan, dall'Indonesia (per Timor Est) all'Ucraina (tatari di Crimea), decine di Stati del Terzo Mondo - ma anche del secondo e del primo - in deficit di democrazia, si sono sentiti accusare pubblicamente, con toni raramente utilizzati in precedenza. Nel mirino dei radicali sono finite in particolare la Cina e la Russia, la prima per la repressione dei dissidenti e dei tibetani, la seconda a causa della guerra in Cecenia. La campagna a favore del Tibet e del Dalai Lama è stata una delle quattro priorità del partito transnazionale dal 1995 a oggi, assieme a quelle contro la pena di morte Nessuno tocchi Caino"), per la nascita del Tribunale penale Onu ("Non c'è pace senza giustizia") e per il Kosovo. Fino all'anno scorso l'uomo dei radicali all'Onu è stato il triestino Marino Busdachin (oggi c'è Marco Perduca), che i russi conoscono bene: prima di trasferirsi a New York, infatti, Busdachin è stato per anni rappresentante radicale in Russia, fin dai tempi dell'Unione Sovietica. I rappo

rti fra il Partito radicale e i governi di Mosca (comunisti o democratici che fossero) non sono mai stati distesi. Perfino ai tempi del Vietnam, infatti, gli antimilitaristi radicali finivano nelle galere italiane come obiettori di coscienza, ma di fronte ai vietcong comunisti tenevano a distinguersi dal resto del Movimento della pace, egemonizzato dal Pci e dai gruppuscoli marxisti: si limitavano ad appoggiare i bonzi che si bruciavano a Saigon, invocando inutilmente una "terza via" neutrale fra gli Stati Uniti e Hanoi. Nel '68, dopo l'invasione della Cecoslovacchia, Pannella corse farsi arrestare a Sofia (Bulgaria), assieme agli aderenti della War resisters international di Bertrand Russell. E anche dal '79 all'85, in piena bagarre pacifista contro missili nucleari di Comiso (Ragusa), i radicali si tennero fuori dai cortei che chiudevano gli occhi sugli SS20 filosovietici. Un anticomunismo "da sinistra", insomma, che culminò nello slogan pannelliano dell'84: "Mosca delenda est!" (mentre Washington era solt

anto "mutanda"). Cosi' nel '90, appena la perestrojka gorbacioviana lo permise, il Pr già "transnazionale" (e con il nuovo simbolo di Gandhi che aveva rimpiazzato la rosa nel pugno) apri' subito una sede a Mosca, che divento' la base degli obiettori di coscienza russi. L'impegno radicale in Russia culmino' nel '95 con un congresso internazionale antimilitarista a Mosca, organizzato assieme all'Associazione delle madri dei soldati (diciottenni di leva scaraventati a morire in Cecenia) e finanziato dalla Fondazione Soros. Scopo: legalizzare il servizio civile. Davanti a centinaia di partecipanti, il radicale russo Nikolaj Kramov (obiettore con anni di carcere sulle spalle) disse, per qualche verso buon profeta: "La guerra in Cecenia, in corso dal '91, andrà avanti e si moltiplicherà fino quando i veri padroni del nostro paese rimarranno i militari".

Assassini a piede libero

In Russia, tra l'altro, sei anni fa, il dirigente radicale italiano Andrea Tamburi stato colpito a morte da sconosciuti a meno di cento metri dal commissariato centrale di Mosca, ed è deceduto tre giorni dopo in un ospedale, registrato sotto altro nome. L'anno dopo è stato aggredito e ferito alla testa Kramov, poi Sergej Vorontsov, iscritto radicale russo. Infine, trauma cranico fratture multiple per l'anziano scrittore Valentin Oskotskij, membro della Commissione per la Grazia alla presidenza della Federazione russa, dell'associazione "Nessuno tocchi Caino", nonché direttore della rivista "Literaturnye Vesti" e docente alla facoltà di giornalismo dell'Università di Mosca. Nessuno degli aggressori è mai stato arrestato, e questo ha destato qualche sospetto. L'altro obiettivo degli attacchi dei radicali all'Onu, oltre alla Serbia di Slobodan Milosevic, è la Cina. Ospite del Partito radicale, il massimo dissidente cinese Wei Jingsheng ha preso la parola più volte per accusare il governo di Pechino: l'ultima vo

lta lo scorso 17 aprile a Ginevra, alla Commissione dei diritti umani. Il 4 giugno i radicali sono stati tra i pochi in Italia a ricordare il decimo anniversario della strage di Tien An Men, con una protesta di fronte all'ambasciata cinese a Roma. E notevole imbarazzo hanno sempre causato gli incontri ufficiali "strappati" dai radicali a Palazzo Chigi e al Quirinale per il Dalai Lama. Sfortunatamente per il Partito radicale, la Cina è attualmente uno dei cinquantaquattro membri (a rotazione triennale) dell'Ecosoc, il Consiglio economico e sociale dell'Onu nel cui ambito lavorano le Ong. E quindi si schiererà sicuramente contro i radicali, assieme a Bielorussia, Cuba, India, Indonesia, Vietnam e Sudan, oltre ovviamente alla Russia. Ma all'Onu votare non è la prassi preferita, si preferiscono sempre le decisioni prese "per consenso". Il Partito radicale puo' contare sul prestigio personale di Emma Bonino, che frequenta l'Onu dal '79. Da quando, cioè, inizio' la crociata di Pannella contro la fame nel mondo. La

Bonino ormai, dopo vent'anni nell'Europarlamento e quattro da commissario dell'Unione europea per gli aiuti umanitari, dà del tu a Henry Kissinger e dialoga con il gotha della diplomazia internazionale. Anche grazie al suo impegno è nato il Tribunale delle Nazioni Unite per i crimini in Jugoslavia, e si sono poste le basi per quello "permanente".

Narcodollari e narcoproteste

C'è un altro italiano, poi, che ha il grado di direttore generale, oggi all'Onu: è il sociologo Pino Arlacchi, già senatore ulivista (lascio' il suo posto ad Antonio Di Pietro), che guida dal '97 l'Ufficio per il controllo della droga a Vienna. Cioè proprio l'organismo contestato più di ogni altro dai radicali, che non condividono il proibizionismo adottato dall'Onu in materia. Ogni volta che a Vienna c'è un dibattito sulla droga, i radicali prendono la parola per contestare Arlacchi: "Dal '97 la produzione di droga nel mondo è aumentata - constatano - e nell'Afghanistan dei talebani da lui lautamente finanziati è addirittura raddoppiata: oggi Kabul fornisce il 75 per cento dell'oppio mondiale". In effetti, la strategia Onu di offrire ai coltivatori di oppio e coca incentivi finanziari per cambiare produzione ha funzionato soltanto in Perù e Bolivia ("ma narcotizzando il mercato, che crollerebbe appena l'Onu non pagasse più", obiettano i radicali), e non in Birmania e Colombia. Questo spiega la seconda, inve

rosimile accusa lanciata dai russi (presenti nello staff di Arlacchi) contro i radicali: quella di essere finanziati dai grandi spacciatori di droga. Finora Mosca non ha spiegato in dettaglio le sue contestazioni. Ma è facile immaginare che si riferisca anche all'appoggio dato dal segretario del Partito radicale, il belga Olivier Dupuis (eletto europarlamentare un anno fa nella Lista Bonino), ad alcuni membri del "Consiglio andino dei produttori di coca". Maruja Machaca, Evo Morales e Roger Rumrill erano infatti finiti in prigione in Bolivia nel '95, dopo un tour europeo in cui avevano proposto la depenalizzazione della coltivazione della coca come alternativa allo sradicamento coatto effettuato dai raid militari. Dupuis scrisse al presidente boliviano Gonzalo Sanchez de Lozada, chiedendone la loro scarcerazione. Si trattava, pero', di un'iniziativa interamente alla luce del sole. Ed è da trent'anni che i radicali contestano in ogni sede il proibizionismo sulle droghe. Lo sapeva bene anche la Russia, quando

nel '95 voto' sì all'ammissione del Partito radicale alle Nazioni Unite.

 
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