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Partito Radicale Centro Radicale - 7 dicembre 2000
PRT/Tibet/Seminario di Bruxelles : intervento di Emma Bonino

III SEMINARIO EUROPEO SUL TIBET

PIENA AUTONOMIA PER IL TIBET ENTRO TRE ANNI O RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE DEL GOVERNO TIBETANO IN ESILIO

Parlamento europeo, Bruxelles, 7 e 8 dicembre 2000

Intervento telefonico di Emma BONINO

"Cari amici del Tibet e della democrazia in generale. Ho seguito in questi anni, ero anche a Berlino, l'evoluzione o la non-evoluzione della campagna per la democrazia e lo stato di diritto in Cina. Nell'intervento che avevo fatto a Berlino avevo cercato di mettere in guardia di fronte ad una situazione che mi pareva evidente, fatta di grande simpatia umana, un pò da per tutto nel mondo, per i tibetani, ma di scarsissima implicazione politica. Come se il Tibet fosse diventato appunto di moda, ma che poi non se ne traessero le consegenze politiche più serie.

Penso, allo stato attuale, a due cose sostanzialmente. La prima è che non solo per il Tibet, ma certo per il Tibet, dobbiamo abbandonare le campagne generiche sui diritti dell'uomo e sempre più avviarci a campagne più specifiche per lo stato di dirtto e per la democrazia, ovunque nel mondo. Questo vale non solo per il Tibet ma in generale. Le campagne generiche per la richiesta del rispetto dei diritti dell'uomo sono tanto più facilmente recuperabili quanto più ostentate e poco praticate. E sicché mi pare che il dato positivo di questo vostro incontro di lavoro è quello di porre il problema su un piano nettamente politico con una richiesta precisa: quella di arrivare ad una vera autonomia in tre anni, ponendo pero' anche l'alternativa. Chiedere cioè ai vari governi di riconoscere il governo tibetano in esilio, se questo percorso in 3 anni non avrà dato frutti. Questo significa intanto uscire da negoziati più o meno oscuri, chiedere un negoziato vero, sotto l'egida delle Nazioni unite, negoziato vero e limpid

o, duro quanto necessario, difficile quanto necessario, ma almeno limpido, cercando di porre l'obiettivo, che è quello dell'autonomia vera in tre anni. Ma cercando anche di trovare un'altra possibile soluzione, se questo non si avverasse. E proprio perché la questione ormai va posta sul piano nettamente politico, cercando di tradurre la simpatia in azione, è importante implicare i nostri paesi, soprattutto i nostri governi europei o extraeuropei.

Questa è una campagna fatta di mille cose. Credo ad esempio che la risoluzione passata dal Consiglio Regionale del Piemonte sull'esposizione permanente della bandiera tibetana a livello di autorità locale, sia un dato estremamente importante perché una campagna è normalmente fatta di obiettivi chiari, ma anche di metodologie che possono, anzi devono, essere più complesse, perché complessa è la realtà che si cerca di svegliare e che si cerca di implicare.

Io penso che questo discorso già abbozzato a Berlino e che è stato poi fatto proprio dal Parlamento europeo, anche se forse aveva suscitato un qualche sconcerto, rappresenti il salto di qualità assolutamente necessario. Altrimenti gli amici tibetani continueranno a ricevere tante pacche sulle spalle, tanti sorrisi, ma niente di concreto.

Nella mia vita politica ho ormai sperimentato che non c'è niente di più concreto delle idee. E questa idea e questo obiettivo: vera autonomia in tre anni, oppure, se non ci si riesce, riconoscimento del governo tibetano in esilio, ha la sua forza perché dà dei tempi e perché fissa degli obiettivi. E perché propone anche un metodo: quello del negoziato alla luce del sole. E credo che sia anche questo un elemento discriminante rispetto a, come dire, dialoghi più o meno da caffè o oscuri, che poi lasciano, quando poi falliscono, come spesso succede, solo ferite e irritazione.

Io mi auguro soprattutto che riusciate a focalizzarvi, quindi a fare delle scelte precise (scegliere una cosa, significa evidentemente non farne un'altra) perché credo che questo possa essere di esempio e soprattutto possa cominciare a stabilire la strada del mutamento da campagne generiche e slogan generici sul rispetto dei diritti dell'uomo, che non sono solo inutili, ma a volte persino controproducenti. Perché i diritti dell'uomo sono anzitutto i diritti civili della persona e dell'individuo (il diritto alla propria cultura e della propria espressione). Credo che sia un'errore che è stato fatto, quello sui diritti dell'uomo generici, anche in ex-Jugoslavia, dove non si è arrivato invece a porre il problema che era quello dei diritti civili di intere comunità e masse di individui. Anche questo credo non lo dobbiamo fare più. Probabilmente saremo all'inizio poco compresi. Credo invece che l'esperienza di impegno su questi temi ventennale, ci abbia ragionevolmente portati a dire che i diritti dell'uomo e i d

iritti civili non sono difendibili se non in situazione di stato di diritto e di democrazia. Se non riusciamo ad essere prima convinti e poi a porre esattamente questo problema rischiamo semplicemente di generare altri alibi e altre confusioni e credo anche altre illusioni.

Mi auguro che questi due giorni vi abbiano in qualche modo sintonizzati su questa nuova percezione e questo nuovo approccio alla questione dei diritti civili e dei diritti umani. Senza stato di diritto, senza stato di democrazia è impossibile difenderli, ovunque nel mondo.

Grazie e mi auguro si apra adesso una stagione di grande lavoro. Nei vostri Paesi, nei vostri parlamenti, in direzione dei vostri governi, delle istituzioni locali ovunque voi abitiate.

 
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