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Pannella Marco, Szallay Hanna - 22 marzo 1990
L'Ungheria puo' essere un catalizzatore
Intervista a Marco Pannella a cura di Hanna Szallay

SOMMARIO: Marco Pannella parla della proposta avanzata dal Partito Radicale dell'adesione dell'Ungheria alla Comunità europea, analizzando le ragioni che hanno portato il Partito radicale alla battaglia per gli Stati Uniti d'Europa.

(Magyar Hirlap - Budapest, 30 marzo 1990)

1. Perché il Partito radicale transnazionale vuole fare entrare l'Ungheria nella Comunità europea il più presto possibile?

Perché vogliamo gli Stati Uniti d'Europa. Vede, abbiamo questo piccolo diffetto di voler essere realisti, conseguentemente, coerentemente con quanto predicano senza sosta da quarant'anni scienziati eminenti, uomini politici prestigiosi, di "destra" come di "sinistra", dell'"Ovest" ma anche dell'"Est" e del "Centro" dell'Europa. Cioè che non è più possibile dare delle risposte soddisfacenti alle grandi questioni politiche, sociali, economiche, alle questioni della difesa del nostro ambiente, della nostra società, dei nostri valori nel quadro stretto delle nostre frontiere nazionali. Questo fu riconosciuto nel principio (e non solo nel principio) dalla Germania, dalla Francia, dall'Italia, da parte quindi di Paesi di una certa dimensione, sin dagli anni cinquanta. La Gran Bretagna che credette un tempo di poter fare a meno di questa verità ormai accecante, finì, come sa, per arrendersi all'evidenza.

E' quindi chiaro che nel momento in cui l'Ungheria rompe con un'eredità, con delle tradizioni e delle pratiche di cui alcune, come l'appartenenza al Comecon, hanno da molto tempo dimostrato agli occhi stessi dei "tenants de l'Ancien Régime" il loro completo fallimento, che nel momento in cui l'Ungheria riprende i rapporti con l'economia di mercato, sarebbe antirealistico ed inconseguente, oltre che suicida, credere (o far credere) che esista una via ungherese, nazionale alla perestroika ungherese. Ecco perché, in tutta semplicità e logicamente, pensiamo che occorra che l'Ungheria, e non solo l'Ungheria del resto, aderisca il più presto possibile alla Comunità europea.

2. Che cosa significa il più rapidamente possibile?

Significa prima di tutto la scelta di un metodo. La C.E. deve diventare immediatamente ed unilateralmente il quadro di riferimento dell'insieme delle riforme, delle leggi, delle misure, dei regolamenti che aspettano il prossimo governo ungherese. Al contrario di coloro che credono che l'adesione alla C.E. possa essere, al limite, la conclusione di un lungo processo di riforma, noi pensiamo che ne deve essere uno strumento fondamentale, centrale, costitutivo. E se è questo metodo che viene scelto, la richiesta ufficiale di adesione diventa in modo del tutto naturale la prima manifestazione di questa scelta. La seconda, se si decidesse di rafforzare questa scelta agli occhi dei cittadini ungheresi come di quelli della C.E. sottoponendolo a referendum.

3. Si sa che esistono molte incompatibilità economiche tra l'Ungheria e la C.E., incompatibilità invocate dai "comunitari" per dire no all'adesione dei Paesi dell'Est. Secondo lei le idee di confederazione del Sig. Mitterrand o quelle di federazione del Sig. Delors rappresentano un cambiamento in questo atteggiamento negativo?

E' sicuro che esistono, come ciascuno ripete a non finire, delle grandi differenze tra le economie dei Paesi della C.E. e l'economia ungherese. E non dubito che, nell'ipotesi di negoziati per l'adesione, gli esperti ed i responsabili politici avranno un lavoro serio da fornire. Ma gli esperti esistono e la storia dimostra che quando esiste la volontà politica difficoltà di questo tipo possono essere risolte.

Quanto a Jacques Delors, la sua posizione attuale rappresenta incontestabilmente un cambiamento. Dice, e credo di essere fedele alle parole che ha pronunciato, che di fronte agli incredibili avvenimenti avvenuti in Europa Centrale ed Orientale, la Comunità europea così come esiste oggi è incapace di dare delle risposte soddisfacenti. Occorre quindi che si rafforzi, che si trasformi in vera federazione politica. E', da parte sua, l'affermazione ultima, senza appello, del fatto che la costruzione europea fondata sull'integrazione economica ha fatto il suo tempo. E se dice ancora oggi che la Comunità deve, prima di allargarsi, rafforzarsi, credo che occorrerebbero poche, molte poche cose, perché si convinca che l'adesione dell'Ungheria, e probabilmente della Cecoslovacchia e della Yugoslavia, potrebbe costituire proprio l'indispensabile catalizzatore al rafforzamento della Comunità, il fattore "x" che provocherebbe la decisione da parte degli Stati membri di passare alla fase costituente degli Stati Uniti d'Eur

opa.

Ma il problema non è soltanto "comunitario" come troppo spesso si tende a voler far credere. Constato in effetti che in Europa Centrale si sta cercando di ricostituire a livello politico ed istituzionale degli Stati nazionali democratici. Ciò è, sia a livello dell'istinto, sia a quello storico del diritto e della libertà, suicida. Sono in effetti stupito dall'ideologia partitica, dall'introversione nazionale di quelli che si apprestano oggi a raccogliere in Europa Centrale ed Orientale l'eredità dei regimi cosiddetti socialisti. Con il loro rifiuto di vedere che alle figure della democrazia la storia ha aggiunto la partitocrazia, una forma di democrazia che rischia di diventare ciò che il socialismo reale è stato nei confronti degli ideali dell'umanesimo socialista e liberale. In Italia, il Partito radicale ha spesso denunciato che gli eredi post-fascisti "antifascisti" sono stati in realtà gli eredi del fascismo e non dell'antifascismo. Ha denunciato e documentato il fascismo di quegli antifascisti.

Ed oggi, nel momento in cui Delors dice - cosa che nessuno scrive - che a maggio la Comunità rischia, per mancanza di coscienza e di volontà federalista, di conoscere la più grave crisi che abbia mai conosciuto, siamo molto più toccati dall'ostilità nei nostri confronti, dalla "rimozione", dalla censura della nostra esistenza da parte dei nuovi soggetti del potere o sul punto di diventarlo, che lo eravamo quando eravamo totalmente proibiti, denunciati, combattuti dai regimi precedenti.

4. Qual è il retroterra internazionale o inter-europeo del suo ragionamento?

Non c'è retroterra. C'è ciò che vediamo tutti giorni. La tensione crescente tra Romeni ed Ungheresi, tra Ungheresi e Slovacchi, tra Tedeschi e Polacchi, tra Bulgari ortodossi e Bulgari musulmani, tra Sloveni e Serbi, tra Serbi ed Albanesi del Kosovo, tra Inglesi ed Irlandesi, tra Baschi e Spagnoli, ecc. C'è l'Africa, il Terzo-mondo nei confronti del quale siamo incapaci di agire in modo responsabile. C'è la vita del nostro pianeta che è in pericolo di morte, c'è il flagello proibizionista sulle droghe, con il suo corteo di mali che minano la gente, gli Stati, le leggi e che se ne fregano delle frontiere, ... La sceltà è chiara. O optiamo per il frazionalismo, per una nuova Versailles, con tutti i rischi e tutte le impotenze che questo comporta, oppure tentiamo di inventare qualcosa di nuovo, in grado di rispondere alle sfide del nostro tempo: gli Stati Uniti dei cittadini d'Europa.

5. Esiste sulla proposta di adesione dell'Ungheria un'intesa tra Lei ed altri uomini politici della C.E.? Con chi?

Sono convinto che esiste nella C.E. una potenzialità di compresione e di adesione ad una proposta del genere veramente enorme, chiara. Nell'opinione pubblica come nel mondo politico. Occorre, come ogni volta che si tratta di una scommessa importante, di qualcosa che può implicare anche certi sacrifici e quindi trasformare la nostra vita di tutti giorni, che la gente sappia, che la gente sia informata. E vi ringrazio di dare questa possibilità ai lettori del Magyar Hirlap.

Ma poiché credo di capire che Lei mi chiede dei nomi, penso di poterLe dire, senza rischiare molto, che degli uomini e delle donne come Giulio Andreotti, Valery Giscard d'Estaing, Helmut Schmidt, Felipe Gonzalez, Geoffrey Howe, Otto Habsburg, Mark Eyskens, Simone Veil, Oskar Lafontaine, Achille Ochetto, Michel Noir, ... Francois Mitterrand chi sa, Jacques Delors sicuramente, possono sin d'ora, cogliere l'importanza di un tale obiettivo.

6. L'unificazione della Germania riveste un ruolo motore nell'elaborazione delle sue proposte attuali?

Abbiamo cominciato a parlare di adesione dell'Ungheria alla C.E. ben prima del risorgimento del mostro sacro dell'unità tedesca. Per quanto riguarda la Yugoslavia, gli annali del P.E. sono lì per testimoniare che si tratta di una questione che tento di mettere all'ordine del giorno della C.E. da dieci anni. Che altri abbiano pensato che il muro sarebbe stato se non eterno quanto meno duro (molto più duro) a morire, è incontestabile. Che abbiano auspicato "à leur coeur défendant" che cosi fosse, è anche probabile. Questo spiega probabilmente il fatto che il problema li ha presi un po' di sorpresa lasciandoli molto impreparati. Per quanto mi riguarda credo che solo una rapida creazione degli Stati Uniti d'Europa possa rappresentare una risposta forte e credibile di fronte al rischio enorme costituito da questo risorgimento delle tendenze nazionali-democratiche, che siano esse tedesche od ungheresi.

Ma per questo bisogna creare d'urgenza dei soggetti politici che non siano nazionali, che non siano delle internazionali di partiti. E costato che oggi il Partito radicale è l'unica realtà che agisce e che pensa in questo senso. Nel Consiglio federale che presiedo ci sono radicali di 14 Paesi, di tutte le famiglie politiche. Per quanto riguarda i membri italiani, per esempio, abbiamo deputati, senatori, leaders dei Partiti Socialdemocratico, Liberale, Verde, Comunista, ... Il Partito radicale è l'unica internazionale federalista, europea, ad adesione diretta, individuale. L'unica organizzazione nonviolenta, gandhiana, che da cinquant'anni fa fronte a ciò che qui si sembra drammaticamente ignorare. Un'organizzazione che "costa" a quelli che ne sono membri due fiorini al giorno, il quarto di un biglietto di metropolitana; un'organizzazione che, a Budapest, ha la sua sede in Tanacs Krt 11.

 
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