di Adelaide Aglietta(radicale, deputata al Parlamento europeo nel Gruppo verde)
SOMMARIO: La dissoluzione dei regimi autoritari e illiberali dell'Est e del centro Europa rischia di umiliare gli ideali della pace e della giustizia tra i popoli. Rilanciare il progetto federalista europeo di Spinelli, per rendere l'Europa polo di governo sovranazionale capace di federare popoli ed etnie in democrazia, ed evitare all'Est i rischi connessi all'acritico adeguamento ai modelli di produzione e sviluppo occidentali.
("METAFORA VERDE", Roma, luglio-agosto 1990)
I mesi che ci stanno alle spalle ci hanno regalato emozioni, pensieri, entusiasmi, speranze, nuovi e fino a ieri inimmaginabili. Le centinaia di migliaia di persone che nell'Est e nel Centro Europa in nome della libertà e della democrazia hanno sconfitto regimi autoritari e illiberali, hanno rimesso in marcia, per tutti, le grandi utopie della pace tra i popoli e della giustizia sociale.
Abbiamo oggi la grande responsabilità di immaginare e costruire una politica per l'Europa e dell'Europa in un quadro in cui gli avvenimenti di cui siamo stati testimoni ci ripropongono con forza le grandi contraddizioni e le grandi sfide del nostro tempo: ambiente e sviluppo, Nord e Sud, la ricerca della pace in un mondo in cui i focolai di guerra, di violenza e di emarginazione sono ogni giorno piu' esplosivi, la democrazia come alveo necessario nel quale comporre i contrasti, confrontare le differenze, concepire il nuovo.
E' evidente quanto l'Europa, innanzitutto quella occidentale, possa e debba giocare un ruolo in tale senso. Questo pero' potrà essere vero se sapremo cogliere, noi occidentali, la potenzialità di cambiamento insita negli avvenimenti che dall'Est hanno investito la nostra vita di Europa sviluppata e consumista, gravata da latenti contrapposizioni e rivendicazioni nazionali, egoista e poco solidale, un'Europa inadeguata a dare risposte politiche rapide ed efficaci alla scommessa di ridefinire se stessa dall'Atlantico agli Urali, immaginando nuovi valori di riferimento, nuovi assetti istituzionali, un nuovo sistema di sicurezza, riscoprendo la sua cultura, concependo un comune modello di sviluppo, costruendo giustizia e pace tra gli uomini e tra questi e la natura.
E' quindi evidente che per tutti coloro che in questi anni sono stati impegnati a concepire una riconversione ecologica delle strutture produttive, una riallocazione delle risorse e delle priorità di investimento, un mutamento dei modelli di vivere e consumare secondo criteri socialmente ed ecologicamente compatibili, questa scommessa non puo' essere fatta cadere.
Due sono i terreni su cui sviluppare questa politica: quelloambientale e quello politico-istituzionale.
Le poche informazioni sulla situazione ambientale dell'Est sono allarmanti non solo per i tassi elevati di inquinamento, per le legislazioni inadeguate o inapplicate, per l'arretratezza tecnologica, ma anche per l'assenza di dati certi e scientifici e per la marginalità della questione ambientale sia fra l'opinione pubblica che tra le autorità di governo. A questo bisogna aggiungere una corsa acritica verso l'adeguamento al sistema economico occidentale, visto come una meta da raggiungere e non come un'esperienza da cui partire per concepire un percorso autonomo (o comune europeo) verso un nuovo modello di sviluppo capace di rispettare i limiti di compatibilità ambientali e i principi di equità sociale.
I recenti risultati delle prime consultazioni elettorali nell'Est europeo sembrano essere una conferma di questa visione idilliaca dell'Occidente. La necessità di dare risposte ai bisogni primari non garantiti dall'economia centralizzata, l'aspirazione ad un benessere economico identificato nel livello di vita occidentale hanno prodotto un'accettazione ed un'enfatizzazione di tutti i modelli occidentali e l'identificazione del nostro sistema di produzione e di sviluppo come l'unico in grado di garantire quegli obiettivi. Questa tendenza, che ha certamente influenzato i risultati elettorali, interagisce con un Occidente alla ricerca di nuovi mercati, di forza lavoro e di strutture produttive libere dai vincoli di tutela ambientale e sociale giudicati troppo onerosi.
Per contrastare questa tendenza, i cui prevedibili sbocchi sarebbero ecologicamente incompatibili per l'Europa intera, bisogna creare con le forze e gli uomini che anche nell'Est ragionano su queste cose uno scambio di conoscenze scientifiche, di strumenti, di legislazioni che consentano innanzitutto di formarsi di un sapere comune e quindi di una progettualità politica unica in direzione di tutte le istituzioni e di tutte le sedi in cui è in discussione il futuro assetto politico, economico e sociale dell'Europa. La politica ambientale come un filo rosso per la ridefinizione del modello di produrre, vivere e consumare, delle garanzie sociali, dei diritti umani e politici; una politica di modifiche istituzionali per una riaggregazione dell'Europa al di là degli interessi nazionali risorgenti, dei confini ancora esistenti e del rinascere di conflitti etnici.
A me pare che questa sia una necessità immediata, perché se è vero che la Comunità europea è inadeguata a dare risposte politiche alla posta in gioco, incapace com'è di concepire una propria realtà politica e democratica in tempi brevi, è certo che l'Europa esistente, quella degli affari, dei mercanti, delle multinazionali, degli oligopoli, degli imperi finanziari, le sue proposte in chiave di nuovi profitti, di nuovi affari, di occupazione di nuovi mercati le sta già dando in assenza di controllo politico, al di fuori di qualsiasi vincolo di tutela sociale e ambientale adeguato.
In questo quadro le trasformazioni dell'Est, che potrebberogiocare un ruolo positivo nel processo di integrazione politica europea, rischiano di trasformarsi in spinte disgregatrici del disegno politico federalista. E' quindi evidente che il secondo problema che avevo indicato diventa un nodo centrale: o si rilancia il disegno federalista europeo, antistatalista, capace di federare popoli ed etnie e lo si accelera, o la scommessa di un'Europa polo di governo sovrannazionale in grado di incidere sulle grandi sfide del Duemila, è già persa. Dare contenuti a questo disegno significa collegare le esigenze immediate della gente con una prospettiva istituzionale e democratica, significa aiutare la gente a riconoscere nell'Europa federata una risposta non solo in termini economici, ma anche sociali e democratici.
Ora questo disegno istituzionale, i cui principi sono già scritti nel trattato del 1984, anche se non riescono a diventare realtà, è una scommessa che si gioca soprattutto ad Ovest: questa spinta di accelerazione che ci viene dall'Est infatti puo' andare nel senso di un democratizzazione della Comunità, con i governi che restituiscono ai cittadini tramite il Parlamento i poteri confiscati nell'attuale assetto istituzionale e pongono le premesse di una Comunità che riesce ad immaginare livelli sempre piu' diffusi di esercizio del potere, aperta alle nuove adesioni, disponibile a rivedersi in un quadro allargato e diverso, o invece puo' incrementare una polarizzazione delle conflittualità nazionali giocate sulle nuove potenzialità produttive apertesi ad Est con un ulteriore rafforzamento del Consiglio (e cioè dei governi) a scapito di ogni evoluzione democratica. Tutto questo è già in moto e si svilupperà in tempi brevi: il tavolo delle modifiche istituzionali è già aperto, a dicembre si formalizzerà nella Con
ferenza intergovernativa: a quel punto i giochi saranno fatti. Non solo i giochi della Comunità, ma quelli dello sviluppo futuro dell'Europa.
Credo quindi che stia a tutti noi capire quanto il bisogno di Europa che emerge dai popoli, dalle regioni, dalle etnie di questo nostro continente sia un'occasione da non perdere per riprendere e far nostro, con coraggio, entusiasmo e senso della necessità il patrimonio e il disegno federalista di Spinelli (*), consapevoli di quanta forza di attrazione oggi possa avere per l'Europa tutta, di quale alternativa possa essere al sistema dei blocchi o al risorgere dei vecchi nazionalismi o delle illusioni etniche e di quale barriera rappresenti per i rischi di balcanizzazione e di instabilità presenti nella situazione europea, di quanto ci sia necessario per poter proporre e sostenere una riconversione ecologica dei nostri modelli di produrre, vivere e consumare.
C'è di che lavorare per tutti.
(*) Altiero Spinelli: Incarcerato sotto il fascismo (dal 1929 al 1942) per le sue attività antifasciste. Nel 1942 scrive con Ernesto Rossi, uno dei fondatori del Partito radicale, il Manifesto federalista di Ventotene, nel quale essi affermano che solo un'Europa federale potrà scongiurare definitivamente i pericoli di un ritorno delle guerre fratricide sul continente europeo. Alla fine della guerra è tra i fondatori del Movimento federalista europeo. In seguito diventa membro della Commissione Europea. Nel 1979 è eletto deputato al Parlamento europeo, dovediventa la mente pensante del progetto di trattato poi adottato dal Parlamento europeo nel 1984 e meglio conosciuto come "Progetto Spinelli".