L'URSS, GLI STATI UNITI D'EUROPA E IL PROGETTO DEL PARTITO RADICALE PER IL 1991SOMMARIO: Gli autori propongono, come metodo per uscire dall'attuale crisi disintegratrice dell'URSS (difetto di regole sull'esercizio dei poteri dello Stato, scarsa rappresentatività dei parlamenti, questione delle nazionalità, inadeguatezza delle risposte del Cremlino alle richieste di riforme avanzate dalla società), la via di un'Europa della democrazia e del diritto che si estenda dall'atlantico agli Urali, delineando una possibile azione politica radicale in una dimensione transnazionale dei problemi, del diritto e delle Istituzioni parlamentari, per un Governo democratico della politica Europea.
1 - L'EUROPA CENTRO-ORIENTALE DOPO SEI ANNI DI PERESTROJKA
Mentre stanno per compiersi i primi sei anni di quel complesso e contraddittorio processo conosciuto schematicamente con il nome di "perestrojka", abbiamo di fronte uno scenario profondamente mutato e tutt'altro che omogeneo dell'Europa centro-orientale, con l'estinzione della Repubblica Democratica Tedesca, la riunificazione della Germania, il passaggio fra gli Stati di democrazia politica della Cecoslovacchia, dell'Ungheria e della Polonia, l'apertura di una controversa fase di transizione in Romania ed in Bulgaria, la rottura dell'immobilismo stalinista in Albania, il caos che bussa alle porte della Jugoslavia. I primi sei Paesi, membri di un Patto di Varsavia ora virtualmente dissolto, costituivano la fascia di separazione fra l'Unione Sovietica e l'area politica europea di tradizione democratica occidentale; la loro uscita dal ruolo di "satelliti" dell'URSS, in termini non tanto militari quanto politici, rappresenta lo sgretolamento di quello che alcuni hanno definito "l'impero esterno" sovietico, priva
l'URSS della possibilità di costituire un blocco automatico di voti in sedi di organizzazioni e di conferenze internazionali, rende formale il già sostanziale fallimento della struttura del COMECON, scardina il muro delle complicità e delle disinformazioni delle cittadinanze e dell'opinione pubblica internazionale su una serie di problematiche (dalle reti spionistiche all'addestramento, al finanziamento ed alla direzione del terrorismo), dimostra la possibilità pratica dell'autentico cambiamento per i Paesi soffocati per decenni dal totalitarismo comunista. A tutto questo - che ha le sue radici nella resistenza di intere popolazioni al sistema stalinista e brezneviano, nella rivolta ungherese del 1956, nella Primavera di Praga del '68, negli anni di Solidarnosc, nel movimento del dissenso in Unione Sovietica, nel rifiuto di milioni di persone di restare sudditi di quel sistema rischiando la propria vita per oltrepassare il Muro e la cortina, nel quadro di riferimenti ideali rappresentato dagli Accordi di He
lsinki, nel crollo economico e nella necessità conseguente per i regimi comunisti di fare una serie di concessioni all'internoe nei rapporti con gli Stati occidentali - ha corrisposto finora in misura del tutto insoddisfacente il processo di riforma entro i confini stessi dell'Unione Sovietica, o di quello che alcuni definiscono "l'impero interno" sovietico.
2 - DEMOCRAZIA, STRUTTURA IMPERIALE, FEDERALISMO
Per comprendere come il Partito Radicale possa operare concretamente in Unione Sovietica è necessario tracciare una panoramica di alcuni elementi del quadro istituzionale al quale ci troviamo di fronte. A che punto è il processo di democratizzazione? Che tipo di interlocutori sono i Parlamenti -soviet-, ai vari livelli? Fino a che punto il peso delle questioni nazionali distoglie l'attenzione dalle riforme? Quanto sono realistiche le tesi ufficiali oggi prevalenti sull'assetto complessivo dell'Unione Sovietica? Non necessariamente il pluripartitismo garantisce da solo lo Stato di diritto e la democrazia effettiva, classica. Se da una parte vi sono oggi in URSS centinaia di partiti, dall'altra non esiste una precisa separazione formale e sostanziale fra i poteri dello Stato. Esistono elezioni, ma non tutti i partiti possono parteciparvi. Il PCUS non è più definito partito-guida, ma gli altri partiti non hanno gli stessi diritti. Non esistono leggi che regolino l'attività politica dei partiti; e sappiamo che
in mancanza di regole democraticamente stabilite esiste solo la legge della giungla, che privilegia il più forte. L'URSS oggi è in crisi per molteplici ragioni, ed una di queste è che alle vecchie disposizioni leniniste non si sono sostituite normative democratiche. Servono grandi leggi di riforma dello Stato, che disciplinino la materia elettorale, che definiscano i poteri dei diversi organi. Il problema non è tanto quanto potere abbia Gorbaciov, ma entro quali leggi e regolamenti viene esercitato e controllato. Non in tutte le Repubbliche vi sono Parlamenti eletti davvero liberamente; nello stesso Soviet Supremo dell'URSS, ancora oggi meno di un terzo dei seggi è occupato da deputati scelti fra candidati alternativi. Le decisioni dei Parlamenti repubblicani -si vedano i casi attuali più tragici, quelli della Lituania e della Lettonia- possono essere arbitrariamente dichiarate "illegali" (su pressione di questo o quel settore conservatore dell'apparato militare, del KGB o del PCUS) da Gorbaciov, con o senza
il voto formale di alcuni degli organi collegiali sovietici con maggioranza pregarantita. Laddove esistano Parlamenti democratici per elezione e struttura, la loro massima funzione sembra consistere nel rappresentare visivamente una metafora della democrazia, e nel fornire una cassa di risonanza a idee e proposte di governo diverse da quelle del potere reale, influendo sulla neonata opinione pubblica. E' anche grazie alla sua carica di presidente della Repubblica russa che Boris Eltsin si è attestato come il leader, forse più nell'immaginario collettivo che nella realtà, dell'arcipelago riformista radicale. In un tale arcipelago pensano, scrivono ed agiscono ormai vasti settori dell'intellighenzia russa e sovietica: fra loro spiccano i nomi dello storico Jury Afanasiev o dell'economista Gavril Popov, ora sindaco di Mosca, ma anche dei responsabili di pubblicazioni ad altissima tiratura. Né si può escludere un prossimo ruolo propositivo, sulla scena politica interna, di uno Shevarnadze al quale vanno ricondo
tti molti dei meriti autentici dell'era gorbacioviana, quelli cioè nel campodella politica internazionale. Si configura, insomma, nelle assemblee parlamentari, su alcuni mass-media, negli ambienti accademici una potenziale alternativa al regime; ma di quanto tempo un tale movimento avrà bisogno per organizzarsi costruttivamente, in quali errori potrà essere indotto a cadere, quali passi falsi e salti in avanti saprà evitare sono alcuni degli interrogativi su cui si gioca il futuro nel medio termine di ciò che ancora chiamiamo Unione Sovietica, e che nessuno, da un punto di vista costituzionale e strutturale, è in realtà oggi in grado di definire univocamente. Intanto, la questione delle nazionalità non può essere considerata come una giustificazione per il blocco delle pur lente e parziali riforme in senso democratico; è, piuttosto, uno dei più difficili banchi di prova per il sistema sovietico nel suo insieme. La trasformazione da impero ad unione federalista -sostanzialmente, e non solo a parole- dell'Unio
ne Sovietica non può essere imposta con i carri armati, né con ipotesi di plebisciti bonapartisti più o meno palesemente truccati. Il voto espresso liberamente dalla quasi totalità dei cittadini degli Stati baltici, rappresentati da istituzioni parlamentari elette lì infine democraticamente, richiede attenzione seria e risposte articolate e non rigide; senza dimenticare che non è privo di significato che a livello internazionale gli Stati Uniti, la Gran Bretagna ed altri Stati abbiano sempre sostenuto esplicitamente di non riconoscere la loro annessione. Di più: il cosiddetto "nazionalismo" dei popoli baltici potrebbe invece in modo solo apparentemente paradossale essere definito "federalismo", poiché fortissime sono le spinte verso ipotesi federative, fra gli Stati baltici stessi e magari con i Paesi scandinavi: un federalismo, cioè, elettivo ed assai più logico che verso un'entità statuale-imperiale che pretenda di prorogare in eterno le conquiste militari staliniste con i carri armati. Allo stesso modo, l
a risposta finora data dal Cremlino non è stata certo federalista, ma quella paradigmatica di un autentico imperialismo che costituisce, malgrado ogni giustificazione formalistica, la forma estrema del nazionalismo. Diverso è il caso di altre Repubbliche, la cui situazione di crisi nei rapporti reciproci e verso il Cremlino concorre tuttavia a rendere necessaria un'amplissima ridefinizione dell'assetto costituzionale dell'URSS (cosa richiesta, del resto, dalla stessa Repubblica russa).
3 - COSTRUIRE LA DEMOCRAZIA O DISTRUGGERE L'IMPERO?
E' opinione comune, dentro e fuori l'URSS, che l'ultimo impero moderno debba essere distrutto. Su questo vanno d'accordo sia gli ambienti dell'emigrazione e dell'esilio sovietici in Occidente sia gli oppositori e i riformatori interni ai soviet. Sembra non vi sia altra soluzione che quella di una disintegrazione dello Stato sovietico, costi quel che costi. Sembra che solo lo smembramento in decine di piccoli Stati indipendenti possa garantire la speranza in un futuro felice e democratico. Davvero, non abbiamo altre soluzioni, qualcosa che vada al di là di una politica del "tanto peggio - tanto meglio"? Dovremo sempre rispondere a queste domande: Siamo a favore o contro la distruzione dell'impero sovietico? Siamo a favore o contro Gorbaciov? E ci toccherà rispondere che non ci sembra questo il problema più importante, più urgente; che nello sfascio del sistema sovietico è urgente guadagnare leggi, regolamenti,governi che costruiscano lo Stato di diritto, che difendano i diritti della persona, che governino il
passaggio da una società e da un'economia militarizzata e ideologizzata ad una società civile e democratica e ad un'economia civile e di mercato. In buona sostanza, il problema che dobbiamo porci non è tanto quello di come distruggere l'impero ma di cosa costruire in sostituzione dello stesso. La lotta per l'indipendenza nazionale e per la difesa dell'etnia è automaticamente lotta per la libertà e la democrazia? C'è, ci può essere una via d'uscita democratica e non violenta agli inarrestabili processi di separazione delle Repubbliche baltiche o di quelle caucasiche dall'Unione Sovietica? Può crescere una coscienza civile e democratica di rispetto dei diritti delle minoranze etniche, linguistiche e religiose in un mondo dove queste non hanno mai avuto il diritto all'esistenza, all'autonomia, all'autodecisione? Noi radicali affermiamo da anni che i problemi delle minoranze non possono essere risolti all'interno dei singoli Stati. Debbono invece essere affrontati in organismi democratici sovranazionali che abb
iano il potere di far rispettare le leggi che emanano. E' indubbio che ad oggi questi organismi e questa grande e democratica Federazione Europea ancora non esistono. Ma non per questo viene meno la necessità di farli esistere. L'Europa che uscì dalla prima guerra mondiale ne prefigurò la seconda. Gli Stati che si formarono secondo i desideri e le ragioni politiche degli Stati vincitori e dominanti finirono, dopo una breve e debole parentesi "democratica", per diventare nazionalisti, autoritari e militaristi alimentando la crescita del fascismo e di avventure guerrafondaie. Oggi, in quasi tutti i Paesi del centro-est Europa usciti dal comunismo si sono affermati politiche e governi democratico-nazionali o di risorgimento nazionale, con elementi di già partitocratici. La dipendenza economica, le questioni nazionali e l'oligarchia dei partiti ovunque rallentano il passo della democrazia. Il problema non è quello di creare tanti piccoli e ridicoli eserciti nazionali dove sperperare quei soldi che già mancano, c
ontinuando così ad affamare la gente, bensì di arrivare ad eliminare eserciti e confini nazionali per realizzare quella politica di sicurezza europea che è preliminare al processo di integrazione Est-Ovest. La Carta dei Diritti dell'Uomo sancisce il diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza dei popoli. Come questo possa avvenire in termini di accordo, di dialogo e in maniera non violenta fra l'URSS e le singole Repubbliche secessioniste non è chiaro. Certo, c'è bisogno di maggior informazione, di più libertà di circolazione di idee e di persone, di coinvolgimenti internazionali, di invito al dialogo per evitare quanto è successo nelle Repubbliche asiatiche, in Georgia o in Azerbaijan. I massacri, le repressioni in un regime di maggiore democrazia e di maggiore informazione forse non sarebbero accaduti. E per noi radicali la lotta per i diritti della persona viene prima della lotta per i diritti dell'etnia.
4 - USCIRE DALL'ISOLAMENTO, ENTRARE IN EUROPA
Le nazionalità, le etnie, i popoli oggi compresi in ciò che chiamiamo Unione Sovietica sono stati finora molto lontani dalla prassi di democrazia politica, di complessità e di ricchezza sociale, di interscambio culturale oltre che economico che ha caratterizzato, pur con ostacoli e limitazioni che i radicalihanno sempre denunciato, l'Europa occidentale. La frattura fra i blocchi dell'Est e dell'Ovest, oggi in via di ricomposizione per ciò che riguarda i Paesi dell'Europa centro-orientale -alcuni dei quali hanno espresso ufficialmente in varie sedi la volontà di inserirsi a pieno titolo nel processo di integrazione europea-, rischia di essere soltanto spostata verso Est: verso i confini sovietici. Ciò che rimane della struttura di un impero bicontinentale da un lato, e dall'altro -almeno nell'immediato- le aspirazioni ed i movimenti indipendentisti sono estranei all'idea dell'integrazione in un'Europa della democrazia e del diritto estesa dall'Atlantico agli Urali: il che è molto diverso da un coacervo
di Stati di confermata, ritrovata o per la prima volta acquisita sovranità, ma anche dalla bandiera, ormai già ripiegata come si conveniva, di una "casa comune" che sia il semplice mantenimento di rapporti appena accettabili fra le varie parti di un'Europa sostanzialmente cristallizzata. Quella "casa comune" non sarebbe che una fase aggiornata e certamente più presentabile della decrepita "coesistenza pacifica" fra aree composte da Stati, a sovranità più o meno limitata, retti da diversi sistemi politici, economici, sociali. A noi non basta: occorre un'Europa del diritto e dei diritti, della democrazia politica sostanziale e non della realdemocrazia, della davvero libera circolazione delle persone come delle idee. Se ancora può sembrare una follia il pensare che anche soltanto i dodici membri attuali della Comunità Europea possano in tempi politici e non storici costituirsi in Stati Uniti d'Europa, noi riteniamo che questo processo potrà essere tanto più veloce quanto più numerosi saranno i popoli, i cittadi
ni europei a prendervi parte. Per respirare al passo con la storia non solamente i cittadini di Mosca, di Tallinn o di Kiev hanno bisogno di essere uniti all'Europa; né basta ormai, come iniziò a capire Pietro il Grande e come fu negato dal totalitarismo comunista, che dalle terre dell'Est si guardi verso Occidente; ma è la stessa Europa che ha bisogno della Russia come della Germania, dell'Ucraina come della Boemia, della Lettonia come della Slovenia. Le centinaia di minoranze che oggi, spesso intrecciate violentemente da invasioni e da deportazioni, contribuiscono con agitazioni a lungo represse al gigantesco scricchiolio dell'Unione Sovietica non potranno trovare in alcuno Stato nazionale né sicurezza, né prosperità, né libertà. I tartari della Crimea come gli albanesi del Kossovo, i russi dell'Estonia come i turchi della Bulgaria, ma anche i baschi o gli ungheresi della Transilvania non vedranno mai pienamente risolte le questioni della loro autonomia e del rispetto delle loro peculiarità culturali, ling
uistiche, etniche ad opera di uno Stato nazionale. Anche rispetto alle minoranze, dunque, la chiave è quella del federalismo europeo.
L'URSS, GLI STATI UNITI D'EUROPA, IL PROGETTO DEL PARTITO RADICALE DEL '91
Per un'azione politica radicale in una dimensione transnazionale dei problemi, del diritto e delle Istituzioni Parlamentari per un Governo democratico della politica Europea.
Preliminare ad ogni altro ragionamento sull'attivita' radicale in Unione Sovietica e' la considerazione della diversita' strutturale fra l'ottica transnazionale del PR e quella delleforze politiche che lottano per la trasformazione democratica in chiave esasperatamente nazionale. Ma e' forse proprio questa assenza di attenzione verso i problemi delle interdipendenze internazionali che rende ancora piu' necessario ed urgente il messaggio radicale del principio del diritto all'ingerenza e dell'azione nonviolenta per il diritto. E se gia' oggi il Partito radicale e' oggetto di una modesta curiosita' ed attenzione da parte dell'establishement politico sovietico lo si deve alla peculiarita' del suo carattere e alla politica delle idee e dei valori che persegue. Attenzione che e' cresciuta dopo alcuni articoli e interviste pubblicati dalla Pravda, dalla Literaturnaja Gazeta, da Novoje Vrieme e da un paio di apparizioni televisive che hanno comunicato ad alcuni milioni di persone l'esistenza del Partito in URSS. E
quello che segue e' il tentativo di configurare un caso di concreta applicazione di questo unico progetto radicale in un contesto particolare e di estreme complessita' e drammaticita'. Sui diversi settori del potere ufficiale (che include la dirigenza delle forze armate, del KGB, del PCUS e quei diversi esponenti delle sfere governative che non facciano parte formalmente delle prime tre categorie) possono avere, ora come in passato, un'influenza notevole le pressioni internazionali, soprattutto se ben coordinate e legate alla concessione di benefici finanziari. Su questi ambienti, come su quelli dell'opposizione che dobbiamo sperare sempre piu' matura, vanno rivolte pero' anche direttamente le proposte di approcci nuovi e concreti a temi specifici, che a grandi linee vanno ricondotti ad alcuni elementi fondamentali di cio' che attiene "il diritto alla vita e la vita del diritto". Questo - attraverso un'uso dello strumento nuovo e principale che vogliamo darci, degli interventi guidati da alcuni capifila nell
e istituzioni parlamentari centrali e periferiche, degli spazi dei quali potremmo disporre su alcuni mass-media, delle manovre in sede di istituzioni comunitarie europee e di parlamenti extrasovietici che si possa tentare in forma di pressioni e di incoraggiamenti sui singoli temi - puo' definire il ruolo del Partito radicale in Unione Sovietica.
PREPARARE LE CONDIZIONI PER L'AVVIO DEL PROGETTO
Gia' in una prima fase di avvio dell'operazione editoriale vanno delineati con precisione i temi su cui coinvolgere una serie di uomini politici e di opinion maker, dentro e fuori l'Urss, mediante il lancio di una iniziativa di pubblicizzazione mirata a creare una domanda. La pubblicazione di un Numero Zero che si rivolga a un gruppo consistente di giornalisti selezionati, ad alcuni gruppi e movimenti di impegno civile, ai club liberali di cui fa parte il nostro iscritto e deputato Alexander Kalinin, ai 400 intelettuali della Tribuna Moscovita e alla pubblicazione su alcuni giornali di un appello di uomini di cultura e delle scienze con cui abbiamo relazioni e contatti puo' essere un primo importante passo per far crescere l'iniziativa. L'ulteriore possibilita' di utilizzazione di 15.000 indirizzi selezionati e l'eventuale invio all'indirizzario dell'Accademia delle scienze, dei giornalisti e delle imprese cooperative permetterebbe di raggiungere i settori piu' informati ed attivi dell'opinione pubblica sovi
etica. La contemporanea pubblicazione del Numero Unico sul Partito radicale e lo svolgimento di un convegno a Mosca che coinvolga il mondo dell'emigrazione e i democraticiattivi ora sarebbero il complemento per preparare la strada al progetto.
I TEMI CENTRALI DEL CONFRONTO
Il ritorno all'isolamento o l'integrazione europea.
L'evoluzione verso la democrazia pone questo Paese per l'ennesima volta di fronte alle due grandi opzioni storiche della Russia moderna. Ancora una volta la scelta fra lo spiritualismo panslavista e nazionalista dell'isolamento e l'apertura alla coscienza europea e alla societa' aperta taglia in maniera trasversale la cultura e i il mondo della politica. Cio' a cui assistiamo oggi e' una lotta per l'identita', una Kulturkampf dopo 70 anni di comunismo! Ma se da una parte questa riappropriazione delle identita' e' vitale e indispensabile dall'altra vanifica e disgrega ogni tentativo dell'opposizione democratica di darsi una politica di governo e di trovare una sua unita'. Le analisi, il patrimonio politico di anni di lavoro al Parlamento europeo e ovunque che il Partito radicale ha costruito sulle iniziative per la realizzazione degli Stati Uniti d'Europa possono essere il nodo politico, la discriminante che il Partito puo' e deve offrire agli Afanasev, ai Sobchak e agli altri democratici per confrontarsi nel
dialogo con Gorbaciov e con le altre, diverse, tentazioni isolazionistiche, nazionalistiche o militari. La scelta, paradossalmente, ritorna: o l'illuminismo assolutista di Pietro il Grande o l'arcipelago dei Gulag di Stalin.
Il pensiero liberaldemocratico e la societa' aperta di Dahrendorf come percorso per uscire dal comunismo.
Le analisi, le prospettive radicali per un'alternativa alla partitocrazia o monocrazia, alla democrazia reale come al socialismo reale, quelle, per intenderci, che ci portano qui, in questo congresso, a operare per una Costituente democratica possono diventare le fondamenta di quel grande movimento di riforma democratica di cui l'Unione Sovietica ha bisogno. Quella Costituente democratica che Afanasev, Sacharov, Eltsin sembrava potessero costituire prima con il Gruppo interregionale dei radicali e poi con il movimento dell'"Azione Civile" non si e' affermata. Non e' riuscito l' essere alternativa di governo attraverso un duro dialogo politico con Gorbaciov e i comunisti. La scomparsa di Sacharov, dell'uomo e del simbolo, del suo essere momento di unita' per tutti e' stata determinante. E a chi come Yuri Afanasev ha tentato e ancora tenta di perseguire l'unita' dei democratici va offerto e va chiesto tutto l'impegno possibile, in Russia e in Europa, nella dimensione internazionale cui compete, a perseguire un
via "liberale" verso la democrazia e la realizzazione politica dell'Europa che esca dalle vie obbligate della partitocrazia socialdemocratica o del ritorno al totalitarismo burocratico di una societa' militarizzata che rappresenta la pratica del Socialismo reale.
IL MONDO DELL'EMIGRAZIONE. BUKOWSKY, MAKSIMOV, SHARANSKY E I DEMOCRATICI IN ESILIO
L'Unione Sovietica, più ancora dei Paesi che per decenni sono stati nella sua orbita, ha conosciuto non soltanto una frattura rispetto al resto dell'Europa, ma anche rispetto a quella parte della sua cultura, del suo pensiero politico più qualificato, della sua intelligenza creativa che è stata costretta ad affrontare la strada dell'emigrazione o dell'esilio. A più riprese: subito dopo la rivoluzione del 1917, negli anni dello stalinismo, nell'era brezneviana. E' soprattutto quest'ultima ondata di emigrati che è stata, nel quindicennio successivo all'Atto Finale di Helsinki, il punto di riferimento in Occidente e dall'Occidente per la cultura della Russia, dell'Ucraina, dei cento popoli costretti nella propria terra alla scelta fra la dottrina e la propaganda di regime e la libertà di pensiero nel carcere, nel lager, nell'ospedale psichiatrico. Alcuni dei più noti intellettuali in esilio, come Aleksander Soljenitsin, Vladimir Bukowsky, Andrey Siniavsky, Anatoly Sharansky, Yury Orlov, Leonid Pliusc, Natalja G
orbanevskaja, sono passati anche da quella strada; uscendone, spesso in seguito a campagne internazionali di cui anche il Partito Radicale è stato parte, prima che gli anni della glasnost e della perestrojka offrissero la possibilità per un ex internato di lavorare e lottare all'interno dell'Unione Sovietica. Altri, come Vladimir Maksimov, Aleksander Zinoviev o Michail Voslensky, nello scegliere di emigrare per meglio svolgere il proprio ruolo hanno rifiutato i privilegi e gli onori ufficiali che lo Stato brezneviano avrebbe loro assicurato. Tutti avevano perso la cittadinanza e la possibilità di rientrare nel loro Paese, e solo da pochi mesi l'hanno riottenuta: qualcuno utilizzandola subito per rientrare per brevi periodi, altri attendendo condizioni di sviluppo democratico più adeguate, tutti per avvalersi dei veicoli di informazione e di dibattito, finalmente non più clandestini e capaci di raggiungere un pubblico vastissimo, che i tempi consentono. Con molti fra loro il Partito Radicale ha costruito e ma
ntenuto negli ultimi anni un rapporto di scambio, di dibattito, di collaborazione. E nell'ottobre dello scorso anno, a Roma, nella sede del partito si è riusciti a riunire intorno allo stesso tavolo tanto i Maksimov, i Bukowsky, i Pliusc, le Gorbanewskaja quanto membri del Soviet Supremo dell'URSS, collaboratori diretti di Gorbaciov, direttori di grandi giornali come Vladislav Fronin della Komsomolskaja Pravda, Andrey Dementjev di Junost, Sergey Zaligin di Novy Mir.
QUATTRO GRANDI TEMI PER UNA POLITICA DEI VALORI IN URSS
- "Tribunale Sacharov" -
In difesa del diritto per un nuovo diritto internazionale. Una battaglia per la riforma dell'ONU, per un organismo sovranazionale europeo con poteri d'intervento fondato sui trattati fra gli Stati in difesa dei diritti umani, per la costituzione di un Tribunale mondiale permanente contro i crimini di guerra, i crimini politici, della distruzione dell'ambiente e dei diritti umani che inizi a operare come un nuovo "Tribunale di Norimberga" a partire dall'invasione del Kuwait e delle responsabilita' degli Stati europei e dell'Unione Sovietica nell'aver armato l'IRAK. Possiamo pensare sin d'ora all'ipotesi di promuovere una lobby transparlamentare fra deputati sovieticied europei che fondi o rifondi un "Tribunale Sacharov" che trasformi i suoi atti di accusa in progetti di legge che impegnino i Governi a realizzare nuovi trattati sovranazionali.
- Per l'abolizione della pena di morte -
E' necessario far crescere il Comitato per l'abolizione della pena di morte in URSS, che il Partito radicale ha contribuito a fondare, dandogli la dimensione transnazionale che viene delineata nel progetto radicale. La cancellazione di questa pena porterebbe inevitabilmente a una profonda riforma del Sistema giudiziario comunista. Ma per dare forza a questi propositi e' necessario impegnarsi ad abolire questa pena che esiste ancora in molti Stati americani e in buona parte del mondo.
- Arrivare alla legge sul Servizio Civile per l'affermazione di coscienza -
Cosa si saranno chiesti i 7 milioni di lettori della Pravda quando hanno letto nello scorso novembre che il Partito radicale transnazionale ha organizzato un picchetto nonviolento di fronte al distretto militare moscovita a cui hanno partecipato oltre mille persone? Non si trattava di un buon articolo. I radicali e i partecipanti alla manifestazione erano definiti provocatori, pederasti, vecchiette isteriche, teppisti prezzolati... Deja vu, come alle marce antimilitariste degli anni settanta. Il linguaggio e' lo stesso. La storia si ripete. Oggi in Unione sovietica il Partito radicale e' conosciuto per aver presentato un progetto di legge sull'affermazione di coscienza al Soviet della Repubblica Russa e dal deputato Michail Zolotuhin al Soviet Supremo dell'URSS. E dopo 30 minuti di televisione nel seguitissimo programma VZGLIAD si conoscono anche le facce del Deputato radicale di Mosca Alexander Kalinin e dell'obiettore Sasha Pronozin. La battaglia ora e' per arrivare alla discussione delle proposte nei parl
amenti. Ed e' in questa fase che il progetto radicale del 91 puo' essere determinante.
- La battaglia antiproibizionista -
Senza volere illustrare qui il tema ci si consenta di indicare a titolo di esempio una iniziativa svolta lo scorso anno. Il 25 aprile presso l'Aula Magna della Facolta' degli Archivi Storici a due passi dalla piazza Rossa Arnold Trebach, Presidente della Drug Policy Foundation, iscritto americano del partito radicale, illustrava agli oltre 300 intervenuti la battaglia radicale contro le politiche proibizioniste. La Sala era messa a disposizione da Yuri Afanasev in quanto Rettore dell'Istituto. La sera stessa al TG 2 Demetrio Volcic mandava in onda 5 minuti sull'avvenimento. Il giorno prima Trebach aveva relazionato all'Accademia delle Scienze. Fra i partecipanti vi erano capi di gabinetto del ministero dell'Interno e di quello della Sanita'. E crediamo che un'associazione transnazionale fra parlamentari di tutto il mondo contro il proibizionismo non sara' una chimera.
- Il Partito radicale del possibile -
Quasi 500 persone si sono iscritte al Partito radicale del 90, a oggi 150 per il 91. Tra questi vi sono 2 Deputati del SovietSupremo dell'Urss, il massimo organo istituzionale sovietico. Etibar Mamedov e Oktay Akhmedov sono musulmani dell'Azerbaijan, il secondo e' anche membro del PCUS. Ci sono i deputati di Mosca e Leningrado Alexander Kalinin e Dmitry Zapolski. C'e' un vescovo della Chiesa ortodossa catacombale, padre Nikon (Sergej Lamekin). Vi sono una ventina di affermatori di coscienza tra cui Oleg Gorshenin, liberato da una settimana dopo un anno di lager. Oltre a Mosca e a Leningrado dove si superano i cento iscritti c'e' un'Associazione radicale a Baku' nell'Azerbaijan che contava 70 iscritti nel 90. Vi sono iscritti da L'vov in Ucraina a Magadan in Siberia, da Murmansk ad Alma Ata nel Khazakhistan; sono cittadini di diciannove nazionalita', ebrei e musulmani, cristiani cattolici e ortodossi, atei e credenti nell'uomo e nelle sue ragioni. Durante l'anno passato 37 di questi compagni sono stati arrest
ati. Si sono raccolte 20.000 firme sulle petizioni. Si sono organizzate oltre 50 tra manifestazioni, assemblee, comizi e dibattiti. Si e' creata una rete di relazioni con il mondo politico e dell'informazione; si sono stabilite relazioni informali con il PCUS e a livello governativo. Non si e' fatto tutto il possibile forse, ma si e' realizzato qualcosa che nel suo piccolo e' eccezionale: l'esistenza del Partito. E fra i tanti che hanno fatto il partito vanno ancora ricordati per tutti Nikolaj Khramov, Fjodor Chub, Zeinal Ibragimov e Ali Rasizade' e buona ultima Irina Podlessova, vice tesoriera del Pr per l'Unione Sovietica, senza la quale molto non sarebbe stato fatto. Nella speranza che il presente possa prefigurare il futuro del Partito radicale nella durata dell'azione nonviolenta e del progetto politico del 1991.