di Gyorgy Marianovich
SOMMARIO: In questo documento, redatto da Gyorgy Marianovich, presidente della Lega per la Democrazia e professore di Diritto Internazionale all'Università di Skopje, viene contestato il ruolo di arbitro assunto dalla Comunità europea in merito al riconoscimento della Macedonia, per via del fatto, tra l'altro, che la Grecia è parte interessata nella controversia.
Gentile signore,
Colgo l'occasione per chiederle di soffermare la Sua attenzione, a nome della Lega per la democrazia, su alcuni importanti elementi relativi al riconoscimento della Repubblica di Macedonia come Stato indipendente.
1. La Comunità Europea ha avuto l'incarico dalle Nazioni Unite e dalla CSCE di risolvere in modo pacifico la crisi yugoslava e tutte le relative questioni di carattere controverso.
Non si è trattato di una autorizzazione a cambiare o intromettersi nelle questioni interne delle repubbliche che costituivano la ex-Yugoslavia (le frontiere preesistenti, la costituzione, lo status, il nome di ciascun repubblica). Come arbitro la Comunità Europea avrebbe dovuto essere assolutamente imparziale nelle sue decisioni.
2. Con la dichiarazione di Lisbona, la Comunità Europea è andata oltre il mandato ricevuto (avendo insistito sul cambiamento del nome di Repubblica di Macedonia come condizione per il suo riconoscimento), e ha calpestato i principi e i criteri per il riconoscimento che essa stessa aveva posto (non accettando le conclusioni della commissione arbitrata dal Signor Badinter, che hanno dimostrato senza dubbio che la Repubblica di Macedonia soddisfa, come Stato, tutte le condizioni previste per il riconoscimento internazionale e dimostrando anche che il nome "Macedonia" non implica in nessun modo pretese territoriali verso paesi vicini).
3. Considerato che la stessa decisione è stata motivata dall'interesse di un membro della Comunità (la Grecia), la CE si è auto-squalificata dal ruolo di arbitro imparziale nella crisi yugoslava violando l'antica legge "NEMO JUDEX IN CAUSA PROPRIA" , (nessuno può essere giudice in causa propria). Nel momento stesso in cui la Comunità Europea stava risolvendo i problemi della ex-Yugoslavia, stava infatti cominciando a risolvere i suoi problemi, trasformandosi da arbitro a una delle parti in causa.
4. Posto questo principio, molto chiaro nei paesi democratici, ne consegue che la Comunità Europea non può più svolgere il ruolo di arbitro per la questione del riconoscimento della Repubblica di Macedonia. Il problema è abbastanza maturo da poter essere risolto senza l'arbitraggio della Comunità; basta accettare i risultati della commissione della Comunità Europea per la Yugoslavia, presieduta dal signore Robert Badinter: 1) la Repubblica di Macedonia soddisfa a tutte le condizioni poste per il riconoscimento internazionale; 2) il suo nome non implica nessuna pretesa territoriale verso i paesi vicini (che al loro interno hanno provincie che portano lo stesso nome).
5. Per spiegare l'atteggiamento dell'oppositore più accanito al riconoscimento della Macedonia bisogna evidenziare il fatto che nel 1913, dopo le guerre Balcaniche, la Macedonia è stata divisa nelle seguenti proporzioni: 51% alla Grecia, 39% all'ex-Yugoslavia, 8,5% alla Bulgaria; con questo fatto la Grecia riconosce il diritto della Repubblica di Macedonia di portare questo nome.
Se un paese è diviso ma come entità territoriale porta il nome di Macedonia, è chiaro che una parte di questa entità, anche se solo del 39%, ha il legittimo diritto di portare il nome di Macedonia. Nel mondo non esiste un altro stato che porta il nome di Macedonia, e quindi vale il principio "QUI PRIOR EST TEMPORE, POTIOR EST JURE" (prima si arriva, più forte si è nella legge), ciò che significa che lo stato fondato per primo ha il diritto di portare il nome scelto. D'altra parte non ci sono dubbi quanto al fatto che la Repubblica di Macedonia sia il primo e unico stato fondato con questo nome.
6. E' importante notare che l'accettazione della dichiarazione della Comunità Europea di Lisbona per il cambio di nome della Repubblica di Macedonia rappresenterà un genocidio nei confronti del popolo macedone, visto che esso perderà la sua identità nazionale (diventerebbe un popolo senza nome, senza lingua, senza tradizioni e cultura). Se la Repubblica Greca viene, nei Rapporti Annuali (1991 e 1992) del Dipartimento di Stato, condannata per la violazione dei diritti umani dei Macedoni che vivono in Grecia (dove viene proibito l'uso del nome macedone e della lingua macedone), la si deve anche condannare per l'errore compiuto di fronte alla Comunità Europea con la dichiarazione di Lisbona per il continuo genocidio verso il popolo macedone.