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Dupuis Olivier - 11 luglio 1993
Ex Jugoslavia: cronaca di un impegno

IL PARTITO RADICALE, LA YUGOSLAVIA E LA EX-YUGOSLAVIA

di Olivier Dupuis

SOMMARIO: L'attenzione e l'impegno dei radicali e poi del Partito Radicale per quella gente e quelle terre, che allora si chiamavano ancora "jugoslave" risale a molti anni fa. Al dopo-guerra, a quei tempi in cui la federazione europea della gioventu' era ancora una organizzazione vitale, nella quale si incontravano e spesso si scontravano "cattolici", "socialisti", "laici" dell'Ovest e gioventu' di quei nuovi regimi dell'Est. E' di quei tempi un breve incontro tra Tito e Pannella in un ristorante perso nella campagna jugoslava, la cui "casualità" molto doveva ad un allora giovane esponente della gioventu' jugoslava, oggi scomparso, amico di Marco. E' da li che risalgono l'attenzione, l'interesse, l'impegno ed, anche, l'amore del Partito radicale per quelle terre, per quella gente. In questo testo l'autore ripercorre le principali tappe della cronaca di questo rapporto.

La Jugoslavia non-allineata

E' anche il grande momento del movimento dei non-allineati, quando, con i Nehru, N'Kruma e Tito, il terzo mondo e, appunto l'eccezione jugoslava, cercavano di uscire dalla contrapposizione Est-Ovest, i cui aspetti cosi' funzionali al perpetuarsi dello statu quo ed al rafforzamento di una relazione Est-Ovest di obiettiva e sostanziale complicità, sembrano dimenticati se non ancora ignorati dall'Occidente, quattro anni dopo il crollo dell'impero sovietico. Chi, infatti, si ricorda o vuole ancora ricordare per esempio la funzione, spesso vitale, che costituirono per il regime sovietico i grandi accordi commerciali, in particolare quelli decennali di forniture di milioni di tonnellate di cereali ad un prezzo inferiore a quello col quale venivano venduti all'Africa affamata.

Mentre gli anni passavano, senza lasciare traccia su un paesaggio politico, economico e sociale apparentemente immutato ed immutabile all'Est, il movimento dei non-allineati viene progressivamente - con la scomparsa di buona parte dei suoi leader fondatori ma, anche, con il contributo determinante delle sinistre occidentali e di una classe intelletuale sostanzialmente succube di Mosca - svuotato dai suoi connotati originali per diventare uno strumento politico inoffensivo, comunque controllato dai sovietici.

All'Ovest, invece, la partitocrazia, sull'onda dei "Golden sixties" e della cosidetta politica di "containment", consolida quasi ovunque, ed in particolare nell'Europa Occidentale, le sue posizioni, minando inesorabilmente dall'interno la sostanza stessa della democrazia, senza suscitare reazioni se non in ambienti ristrettissimi, laici e radicali.

Ambienti laici e radicali che riescono nell'Italia dei primi anni settanta a coagulare maggioranze popolari su grandi battaglie civili, del divorzio prima, della regolamentazione dell'aborto poi, infliggendo le prime sconfitte ad uno dei regimi partitocratici tra i piu' consolidati del continente. Questo, mentre altrové, in paesi apparentemente piu' civili e piu' democratici, come in Germania ed in Francia, queste riforme saranno attuate grazie soprattutto all'opera dei settori piu' illuminati dei stessi regimi partitocratici.

Fine di una illusione

E' in questo clima "de fin d'une époque", che l'Occidente comincio' a dimostrare qualche attenzione nei confronti di una Jugoslavia il cui sistema economico socialista autogestito stava chiaramente cominciando a mostrare i suoi limiti. In particolare sembrava che la Comunità Europea quasi riscoprisse, con l'apertura dei negoziati per l'adesione della Grecia, l'esistenza alle sue frontiere di questo paese.

Alla fine degli anni settanta, oltre i confini jugoslavi, a Trieste, nella "periferia" italiana, i radicali, da sempre impegnati nella difesa delle minoranze, ponevano in un clima reso incandescente dalla falsa contrapposizione tra il nazionalismo di bandiera dei neo-fascisti e l'internazionalismo ed antirazzismo da salotto dei comunisti, il problema della difesa e della promozione dei diritti della minoranza slovena.

1978. Tito muore. La guida della Jugoslavia passa nelle mani di una direzione collegiale di 8 membri, rappresentanti delle sei repubbliche e delle due provincie autonome che si alternano alla presidenza della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia. Un metodo, quello della collegialità, che non tarderà a dimostrare, anche li', i suoi gravi limiti. L'anno successivo il Parlamento Europeo viene eletto per la prima volta al suffragio universale. Qualche mese dopo, Marco Pannella, diventato eurodeputato e membro della delegazione CE-Jugoslavia, chiede, in una lettera al presidente della delegazione, che "le autorità della CE comunichino ufficialmente alle autorità di Belgrado il desiderio di vedere la Jugoslavia diventare membro quanto prima ed a pieno titolo della Comunità Europea".

Cecità della Comunità Europea

Malgrado molteplici espressioni, anche se non pubbliche, di interesse e di simpatia riscontrate in occasione degli incontri della delegazione europea con le autorità jugoslave, la proposta di Pannella viene ignorata dai "realisti" della Commissione Europea e del Parlamento Europeo, del tutto concentrati che sono sulla realizzazione di grandi accordi economici, commerciali e di realizzazione di infrastrutture di collegamento, anche e soprattutto con la Grecia e, attraverso di essa con la Turchia ed il Medio Oriente. E' da quel momento che data l'esplosione del debito pubblico jugoslavo che diventerà ben presto tra i piu' alti debiti procapite del mondo. Esenti dalle contingenze economiche che invece colpiscono di già gli altri paesi del centro e dell'est europeo, grazie ad una economia letteralemente "doppée", alcuni leader politici ancora "jugoslavi" possono dedicarsi a pieno tempo alla elaborazione prima, alla realizzazione progressiva dopo, dei loro piani nazionalistici, insieme al rafforzamento di una ser

ie di contatti e complicità in diversi ambienti politici ed economici europei ed americani. E', in particolare, il caso del Sig. Milosevic che, alla testa di uno dei principali organi finanziari jugoslavi, stringe nuove "amicizie", ne rafforza delle altre, nel Quai d'Orsay piuttosto che al Dipartimento di Stato o nelle alte sfere di Wall Street e dintorni, non ultima quella con il brillante quanto vacuo Kissinger. Mentre nella Jugoslavia stessa, viene attuato, sin dal 1980, un primo esperimento in vivo della politica di serbizzazione con una feroce repressione contro gli albanesi del Kossovo.

Nel frattempo i radicali continuano ad insistere. Sia nel Parlamento europeo dove Marco Pannella, rieletto nel 1984 e sempre membro della delegazione CE-Jugoslavia, torna constantemente alla carica, in primo luogo contro la cecità della CE e dei governi occidentali. Ma anche sul "campo" stesso, con varie manifestazioni nonviolente di pubblicizzazione della proposta radicale. Cosi', nel settembre 1985, una dozzina di radicali spagnoli, italiani, francesi e belgi distribuiscono, mentre è in corso a Belgrado un incontro della delegazione CE-Jugoslavia, decine di migliaia di volantini per "l'adesione immediata della Jugoslavia alla Comunità Europea". Arrestati a Zagabria, a Belgrado ed a Dubrovnik, vengono interrogati e fermati per poi essere, tre giorni dopo, espulsi ed interdetti di soggiorno per tre anni. Un anno dopo, in occasione di una partita del Campionato europeo di calcio ritrasmessa in Eurovisione che vede opporsi a Split, sulla costa dalmata, le squadre italiana e jugoslava, una decina di radicali st

endono un gigantesco stricione con la scritta "Jugoslavia nella Comunità Europea subito". Arrestati vengano poi accompagnati alla frontiera ed espulsi.

Dopo il 1986-1987, le opposizioni in seno alla presidenza collegiale cominciano a diventare visibili. Da una parte gli sloveni e i croati, insieme, anche se in modo meno visibile, ai bosniaci ed ai macedoni che richiedono una riforma sostanziale dello Stato con una delega alle componenti federate di vere e proprie competenze in materia di gestione politica ed economica. Dall'altra la Serbia ed il Montenegro insieme alle provincie autonome del Kossovo e della Voivodina - ridotte ad entità istituzionalmente simboliche ma molto utili alla Serbia nelle sue prove di forza negli organi federali perché dotate, in virtu della costituzione del 1974, alla pari delle repubbliche, di un voto fedelmente eseguito dal Kissling di turno - frenano ogni tipo di riforme politiche che vedano accrescersi sia i diritti dei singoli cittadini sia l'autonomia delle repubbliche e provincie.

Nel frattempo la politica di perfusione economica portata avanti dalla Comunità Europea nei confronti della Jugoslavia è diventata insostenibile per la CE stessa. Inoltre in assenza di qualsiasi riforma di tipo democratico le somme collossali costituite dagli aiuti comunitari non sono servite a riformare l'economia, bensi' come era prevedibile e da noi previsto, a nutrire la burocrazia e l'insieme della classe politica dell'Ancien Régime, il suo processo di trasformazione-mimetizzazione nonché, come oggi sappiamo con certezza, a finanziare l'ammodernamento ed il potenziamento delle forze armate, da sempre sotto stretto controllo dei serbi.

La "Providenza" Markovic o l'illusione tecnocratica della CE

In questo contesto la Comunità Europea con l'avallo - mezzo obbligato, mezzo interessato in quanto consentiva loro di guadagnare tempo - delle forze conservatrici e nazionalistiche di Belgrado, decide di giocare la carta del rinnovamento tecnocratico, puntando sull'uomo "della Provvidenza" del momento, Ante Markovic. Per quasi due anni, il primo ministro Markovic opererà, concentrando tutta l'attività del suo governo sul settore economico, conseguendo anche alcuni notevoli risultati, come il drastico ridimensionamento del tasso di inflazione ed il pagamento di alcune quote sostanziali del debito pubblico.

Dal canto suo, il leader nazionalista Slobodan Milosevic porta avanti, indisturbato, la sua politica di propaganda nazionalista, razzista ed intollerante, attraverso la presa di controllo progressiva dei principali mass-media e l'organizzazione di giganteschi raduni di massa all'insegna della serbitudine o "serbitu'", della "Grande Serbia", del razzismo e della negazione dei diritti degli altri ed in primo luogo di quelli degli albanesi del Kossovo. Porta anche a termine, in quel periodo, l'opera di presa di controllo e di soggezione totale alla sua politica dell'esercito federale, escludendone i non-serbi da ogni posto di responsabilità e coinvolgendo i serbi nella elaborazione dei piani di guerra e nella strategia che ben presto sarebbe stata attuata.

Parallelamente, aiutato anche dal costante rifiuto della leadership serba di attuare con le altre componenti della Federazione qualsiasi forma di dialogo, si rafforzano poco a poco dei gruppi finora molto marginali, soprattutto in Slovenia, in Croazia ed in Bosnia, ed emergono progressivamente delle leadership nazionaliste sotto molti aspetti speculari a quella di Belgrado.

Cosciente che sia proprio questa assenza di ogni spazio di dialogo e di dialogicità democratica che rischia di portare la Jugoslavia ad esplodere violentemente, il Partito Radicale, che ha appena deciso formalmente, al termine del suo 34 esimo congresso (Bologna, gennaio 1988), di trasformarsi a tutti gli effetti in una forza politica transnazionale, decide di organizzare il suo prossimo appuntamento congressuale nella Jugoslavia: a Belgrado o a Zagabria. Di fronte al rifiuto categorico delle autorità di Belgrado, la leadership del PR apre delle trattative con le autorità di Zagabria che dimostrano una forte disponibilità, provvedendo anche al superamento di alcuni ostacoli logisitici ed organizzativi. Mentre il contratto sta per essere firmato, arriva un veto tassativo ... da Belgrado. Tutto è quindi da rifare. Questa volta con le autorità ungheresi, con l'esito che sappiamo. Il 35 esimo congresso del Partito Radicale, ormai totalmente impegnato nella sua trasformazione in partito transnazionale, si svolge

a Budapest, nell'aprile 1989, in un momento in cui ben pochi erano ancora quelli che solo si sognavano il crollo del muro di Berlino.

Il consolidamento dei nazionalismi

Nel giugno 1991, dopo aver visto ridotto a zero ogni spazio di negoziato e respinto ogni loro proposta di riassetto istituzionale e democratico della Jugoslavia, gli sloveni dichiarano la loro indipendenza. La reazione delle forze nazionalistiche di Belgrado a questo evento, non soltanto auspicato ma, come abbiamo visto, costantemente suscitato, è immediata ed inequivoca. Il cosidetto esercito federale impiega la forza dei suoi carri armati e della sua aviazione. Sorprendentemente pero' si scontra con delle forze di difesa slovene molto ben preparate. In pochi giorni, il "quarto esercito europeo" (e tutt'oggi reputato potentissimo tanto da sconsigliare ogni coinvolgimento militare in Bosnia) arretra e subisce una umiliante disfatta.

Alcune settimane dopo, la Croazia, che ha organizzato nel frattempo le sue prime elezioni democratiche vinte dall'HDZ, il partito di Franjo Tudjman, nelle cui file militano non pochi di quei nazionalisti speculari a quelli di Belgrado, non riesce ad evitare la trappola tesale dagli estremisti di Belgrado e tentenna sulla questione delle garanzie costituzionali per le minoranze serbe che vivono sul suo territorio. E' il pretesto, anche questo, non solo auspicato ma suscitato e previsto da Milosevic per ordinare l'intervento dell'"esercito federale", "in difesa dei diritti negati delle minoranze serbe delle Krajine". L'aggressione contro la Croazia è violentissima. Oppone un esercito organizzato ad alcune, poche, forze di polizia e milizie territoriali disorganizzate, vestigio delle forze territoriali create da Tito. Ben presto Belgrado controlla un terzo del territorio della Croazia. Vukovar, Osijek ed altre città della Slavonia sono sottomesse, giorno e notte, giorno dopo giorno, ad un diluvio di fuoco e di

ferro. E' una guerra di tipo nuovo, misto di strategia medievale e di prima guerra mondiale. L'assedio e le trincee.

La "guerra civile" delle cancellerie

L'Europa che, per due decenni, non ha visto e non ha voluto vedere niente nella Jugoslavia, cosiccome non ha mai voluto vedere e capire veramente cio' che accadeva nell'impero sovietico, si sveglia attonita. I mass-media, potentemente condizionati dalle cancellerie, Quai d'Orsay e Foreign Office in testa, e, per molti di loro, da una ormai quasi congeniale insensibilità ai diritti, al Diritto, scoprono esterrefatti una "guerra civile" non solo in un paese, che nelle loro superficiali convinzioni, era stato e avrebbe dovuto rimanere un modello, ma anche nel cuore dell'Europa, di quel continente che non avrebbe mai piu', dopo la tragedia nazista e fascista, dovuto conoscere conflitti.

Vengono rispolverati i vecchi manuali di storia. Si riscoprono gli ustascia, i cetnici, gli assassini, gli odii, le vendette, prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. Spiegazioni psicologizzanti vengano esibite a giustificazione dell'irremediabilità di quanto sta avvenendo. La storia recente viene sistematicamente rimossa, cancellata. La pure resistibile ascesa del signore della guerra Milosevic e dei suoi sempre piu' macabremente celebri discepoli non viene analizzata. "Le Monde", "The Economist", nonché la maggior parte dei media radio televisivi si ostinano a parlare di "guerra civile".

Intanto al Parlamento europeo, su proposta della deputata Adelaide Aglietta e di altri deputati iscritti al Partito Radicale, viene consegnato a Adem Demaqi, albanese del Kossovo, ospite per trent'anni dei carceri jugoslavi, il Premio Sakharov.

Aggressione

Settembre 1991. E' in questa atmosfera che si riunisce, a Roma, il Consiglio Federale del Partito Radicale. Tra gli invitati, alcune personalità "nuove" alla maggiore parte degli iscritti al PR. Zdravko Tomac in particolare. Vice-presidente del governo croato. Racconta, senza fioriture, semplicemente, ciò che sta accadendo al fronte, da Vukovar ad Osijek, da Nova Gradiska a Dubrovnik. Città martellate giorno e notte. Chiese e ospedali sistematicamente e "preferenzialmente" colpiti, distrutti. Racconta anche ciò che rischia di accadere se la Comunità internazionale non ristabilisce, con il rapido riconoscimento della Repubblica di Croazia, un minimo di equilibrio tra le forze di aggressione del "quarto esercito europeo" e le forze di difesa, armate di fucili da caccia e da poche armi sottratte al nemico.

Intanto l'ex-guardasigilli francese ed presidente della Corte Costituzionale, Robert Badinder, ha portato a termine insieme ad altri insigni costituzionalisti europei il rapporto chiesto dalle autorità della Comunità Europea sulla compatibilità delle nuove costituzioni di Bosnia, Croazia, Macedonia e Slovenia con i canoni in vigore in materia di rispetto e di garanzia dei diritti dell'uomo e delle minoranze. La Croazia avendo integrato alcune osservazioni della Commissione Badinter, principalmente in materia di garanzie per le sue minoranze, sono tutti e quattro i candidati al riconoscimento internazionale rispondenti ai criteri fissati dalla Comunità Europea. Ma il rapporto non produce effetti. Se non in quelle forze politiche comunitarie già convinte della necessità del riconoscimento. Una larga maggioranza delle forze politiche tedesche, una minoranza attiva in Italia, intorno al Partito Radicale e ad alcuni consistenti settori della Democrazia Cristiana. In Francia col Presidente Mitterrand in testa, sia

mo sempre sulla "linea" della "guerra civile".

Vukovar

Una domenica di tardo autumno, Vukovar cade. I pochi muri superstiti al diluvio di granate e bombe di ogni tipo accolgono i "liberatori" dell'esercito serbo-federale, gli "eroi" di una guerra che privilegia i massacri dei civili, le distruzioni, ... A Roma, Marco Pannella inizia un digiuno perché vengano rispettati gli impegni presi. Perché la Croazia venga riconosciuta immediatamente dalla Comunità Europea, o quanto meno, unilateralemte dalla Repubblica italiana. La seconda sessione del Consiglio Federale del PR viene convocata a Zagabria.

Novembre 1991. Da Mosca, da Bucarest, da Praga, da Bruxelles, da Kiev, da Roma, via Trieste o via la frontiera ungherese, i membri del Consiglio Federale del PR arrivano in una Zagabria in stato d'allerta. Poche luci. Sacchi di sabbia alle porte ed alle finestre. Veicoli militari. Posti di blocco. I lavori iniziano con un "plenum" di partecipazione. In presenza anche di prestigiosi neo-iscritti al PR: il primo-ministro croato, Greguric, i ministri Budisa e Vecelica, il primo-ministro del Kossovo, Bujar Bukoqi, esponenti della minoranza serba, personalità slovene, e, ovviamente, il vice-primo ministro croato, Zdravko Tomac. I lavori, due volte interrotti da allarmi aeree con lo spostamento dei partecipanti nei rifugi, si concludono con una mozione adottata a stragrande maggioranza che impegna il partito ed i suoi membri ad agire in ogni sede perché venga conseguito al piu' presto il riconoscimento della Croazia e delle altre componenti istituzionali della ex-Jugoslavia.

Radicali nelle trincee di Osijek

Malgrado l'accrescersi nei Parlamenti e nell'opinione pubblica delle pressioni per il riconoscimento, la Comunità Europea è ancora prigioniera del ricatto anglo-francese. Il riconoscimento, un tempo da alcuni vagheggiato per Natale, viene ulteriormente rimandato dalla Comunità Europea ad una data non meglio precisata. Intanto a Osijek, a Nova Gradiska, a Dubrovnik ed in molte altre città della linea del fronte, si continua, a notte inoltrata, a fare i conti dei morti quotidiani, delle granate cadute, delle distruzioni subite, delle difficoltà nell'approvvigionamento. E Natale, insieme al freddo inverno, si avvicina. Da Roma partono una serie di telefonate per Milano, Zagabria, Gorizia, Budapest. Obiettivo "passare" il Natale ed il capodanno con gli aggrediti, nelle trincee di Osijek. Il gruppo che si sta formando è uno strano cocktail di antimilitaristi, per la maggiore parte "avanzi di galera". Oltre a Marco Pannella, ne fanno parte Lorenzo Strik-Lievers, senatore, arrestato nel 1962, Roberto Cicciomessere,

deputato, incarcerato per obiezione di coscienza nel 1970, Alessandro Tessari, deputato, Renato Fiorelli, organizzatore delle marcie antimilitariste degli anni 60 e 70, Sandro Ottoni, incarcerato anche lui per obiezione di coscienza nel 1984, Olivier Dupuis, incarcerato nel 1985-86 per affermazione di coscienza. Per tutti loro, il non avere potuto costruire in tempo una forza politica nonviolenta in grado di affrontare la "questione jugoslava" con le armi della nonviolenza non li esonera dal fare una scelta di campo, di stare dalla parte degli aggrediti, di scegliere la violenza minore, quella piu' vicina al diritto, di fare loro la frase di Gandhi "quando la scelta è tra la violenza e la vigliaccheria, non posso che scegliere, anche se con grande dolore, la violenza". In divisa croata alcuni, in abiti civili gli altri, passano la notte di capodanno nelle trincee o negli ospedali di Osijek. L'indomani, tra un incontro col sindaco e verifiche de visu dei danni subiti dalla città, sperimentano uno violentissi

mo bombardamento sul centro cittadino.

Belgrado e l'illusione democratica

Da Belgrado, intanto, dove si è recata Emma Bonino, non giunge nessun segnale. Tutti, anche quelli schierati nell'opposizione a Milosevic, appaiono in fin dei conti allineati su una politica nazionalista. Le rare eccezioni sono persone o piccolissimi gruppi, anche prestigiosi, ma isolati, privi di qualsiasi sostegno nell'opinione pubblica. E', anche questo, un risultato della mente, a suo modo geniale, del banchiere e ora signor della guerra Milosevic: aver saputo mantenere, ed anzi rafforzare, nelle menti dei suoi oppositori democratici nonché in quelle delle cancellerie e dei mass-media occidentali, l'illusione della democrazia, dell'esistenza di ampi spazi di agibilità democratica. E, di fatto, nel settimanale di Belgrado, Vreme, si possono spesso leggere prese di posizioni agli antipodi di quelle del regime, analisi serie. Vengono pero' lette da un circolo chiuso di una decina di migliaia di persone, per lo piu' belgradesi. Gli "altri", ovvero la quasi totalità della popolazione, sono sottomessi ad un bo

mbardamento informativo sistematico, permanente, via radio, televisioni e quotidiani nazionali, della verità nazionalistica, della verità del regime, della verità di Milosevic.

Infine il riconoscimento

Alla fine, la Germania, poi seguita dall'Italia, perde la pazienza ed annuncia che riconoscerà la Slovenia, la Croazia e la Bosnia. Il riconoscimento della Macedonia viene invece letteralemente bloccato da una Grecia che pretende la proprietà esclusiva del nome "Macedonia". Dei caschi blu vengono dispiegati in quel terzo del territorio croato conquistato ed occupato dalle milizie serbe con l'appoggio ed il sostegno determinante delle forze armate serbo-federali.

Mentre con vari viaggi a Belgrado, insistiamo nei nostri tentativi di coinvolgere cittadini di Belgrado, della Serbia, della Voivodina, e mentre arrivano delle prime e significative adesioni al progetto radicale, anche se solo ancora tra gli esponenti delle minoranze, esplode la guerra in Bosnia con il suo lungo, interminabile corteo di massacri, di devastazioni, di conquiste e di "pulizia etnica".

Nell'aprile 1992, a tre anni e mezzo dal suo congresso di Budapest, a piu' di quattro anni dell'inizio del processo di trasformazione in partito transnazionale, i radicali si ritrovano a Roma per un appuntamento congressuale fondamentale. Devono infatti, in questa assise, definire le loro nuove regole di convivenza nonché le priorità intorno alle quali concentrare, da Mosca a Palermo, da Bucarest a Bruxelles, quei diecimila cittadini, dei quali quasi ottomila provenienti da fuori Italia, che hanno deciso di condividere, con la loro iscrizione, il progetto radicale. Il dibattito è vivo, vitale, vede l'attiva partecipazione di molti degli oltre duecento deputati che prendono parte ai lavori congressuali.

Anche queste assise sono "marcate" da quanto avviene nella vicina ex-Jugoslavia. E' da poche settimane prima la notizia della scomparsa di Momo Vukasinovic, iscritto al Partito Radicale, serbo di Croazia, morto mentre difendeva, con i suoi amici di scuola e di quartiere, la città di Bjelovar contro l'aggressione del regime di Belgrado. E' proprio di quei giorni congressuali il letterale rapimento da parte delle milizie serbe del Presidente bosniaco, Muhamed Izetbegovic. Mentre stava partendo per assistere ad incontri internazionali, i serbi costringono il pilota ad atterrare e sequestrano per alcune decine di ore il presidente bosniaco. Cio' che provoca una reazione immediata del congresso. La proposta di recarsi, in una marcia silenziosa, fino alla presidenza del Consiglio, viene accettata a stragrande maggioranza. Una iniziativa che viene sospesa per la disponibilità del Primo Ministro Andreotti di ricevere nella notte stessa Marco Pannella e Zdravko Tomac.

Un mese dopo, inizia in Italia un digiuno per la Bosnia che si estende rapidamente oltre le frontiere della penisola e coinvolge migliaia di persone sull'obiettivo di fare approvare delle mozioni parlamentari che impegnino i vari governi a varare severissime sanzioni contro il regime di Belgrado.

Fine agosto. Michele Boselli viene intercettato dalla polizia serba mentre si sta avvicinando a Pristina, la capitale del Kossovo, dove deve incontrare gli iscritti al PR e consegnare loro vari materiali informativi. Interrogato per varie ore, viene rilasciato nel cuore della notte con l'ordine di uscire al piu' presto dalla Serbia.

Settembre 1992. Izet Muhamedagic, deputato bosniaco, musulmano, tenuto in ostaggio da diversi mesi dalle milizie serbe, viene rilasciato e, come lui stesso dichiarerà "strappato ad una morte sicura" in seguito alle molteplici pressioni esercitate da un gruppo di deputati europei iscritti al Partito Radicale e grazie all'impegno di alcuni radicali di Zagabria e di Budapest.

Sarajevo: nuovo "ghetto di Varsavia"

Autuno 1992. Sandro Ottoni si reca a Sarajevo dove vive la quotidianità di quel nuovo "ghetto di Varsavia". Una realtà senza confronto con quanto si puo' percepire dalle di per sé già agghiaccianti immagini televisive. Deputati, personalità si iscrivono al PR. Tra di esse, Mohamed Kresseljakovic, sindaco della città.

Sempre in quel periodo, il Partito Radicale intensifica le sue iniziative per il riconoscimento della Macedonia. Una repubblica che, come si ricorderà, era quella tra tutte quelle della ex-Jugoslavia che piu' rispondeva ai criteri definiti dalla Commissione Badinter. Malgrado cio' subisce oltre agli effetti dell'embargo contro la Serbia, un vero e proprio blocco da parte di uno stato membro della Comunità Europea: la Grecia. Un paese quest'ultimo che pretende ad un diritto esclusivo sul nome "Macedonia". Un paese tra l'altro, quello ellenico, che peraltro difficilmente potrebbe adempiere, se lo dovesse, alle condizioni fissate da quella Commissione in materia di rispetto dei diritti delle minoranze. Per la semplice ragione che oltre a limitare drasticamente i diritti della minoranza turca, nega puramente e semplicemente la presenza sul suo territorio di altre due, pur numerose, minoranze: quella albanese e quella, appunto, macedone. I radicali manifestano quindi a Roma, a Budapest, a Praga, a Bruxelles, a Mo

sca, a Zagabria ed in altre città europee perché venga posto un termine ad una situazione di isolamento e riconosciuta, senza piu' indugi, la Repubblica di Macedonia.

Pristina. Kossovo. Olivier Dupuis incontra a due riprese Ibrahim Rugova, presidente del Kossovo, che annuncia la sua partecipazione al prossimo congresso del PR. Ciò che per ragioni sempre rimaste misteriose non avverrà.

Il primo Segretario, Sergio Stanzani e la presidente del PR, Emma Bonino si recano a Sarajevo con l'obiettivo di portare in Italia il sindaco Kresseljakovic, finora impedito ad uscire dalla sua città per via della sottomissione delle forze ONU ai ricatti delle milizie serbe che controllano i territori intorno all'aeroporto.

Febbraio 1993. Roma. La seconda sessione del 36-esimo congresso si conclude con l'approvazione di un documento finale nel quale viene preso atto dell'ormai confermata esistenza del partito transnazionale, nonché, tuttavia, dell'inderogabile necessità di conseguire un obiettivo valutato in trentamila iscritti a "quota italiana", per poterne assicurare l'esistenza e lo sviluppo futuro. Nel caso di raggiungimento dell'obiettivo, la conduzione del partito verrà affidata ai nuovi organi eletti dal congresso: Emma Bonino, Segretario, e Paolo Vigevano, Tesoriere. La definizione e la ratifica degli obiettivi viene invece rimandata alla prima riunione del nuovo Consiglio Generale eletto dal Congresso. Nel caso di non raggiungimento dell'obiettivo dei trentamila, l'organo straordinario composto dal Primo Segretario, Sergio Stanzani, dal Tesoriere, Paolo Vigevano, dalla Presidente, Emma Bonino e dal Presidente del Consiglio Federale, Marco Pannella, procederà alla liquidazione del partito.

Malgrado le promesse e l'impegno deciso del nuovo primo ministro italiano, Giuliano Amato, il sindaco di Sarajevo è un'altra volta bloccato nella sua città ed impedito a partecipare ai lavori del congresso. In una sua lettera, letta ai congressisti, descrive le inumerevoli sofferenze quotidiane dei suoi concittadini e insorge contro le reiterate noncuranze della comunità internazionale.

Riconoscimento della Macedonia

Ai lavori dell'assise radicale e' pero' presente un altro ospite d'onore: il primo ministro macedone Branko Crvenkovski, che viene in questa occasione ricevuto ufficialmente dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e dal primo ministro Giuliano Amato, che dimostrano in questo modo la chiara volontà dell'Italia di contribuire a che venga messo un termine all'assurdo isolamento in cui si trova uno dei rari "luoghi" della ex-Jugoslavia non ancora invaso dalla violenza.

Mentre i congressisti sono rientrati, ciascuno nel proprio paese, nel proprio parlamento, comincia nella sede di Roma del Partito Radicale il lavoro preparativo per la campagna straordinaria di iscrizione, per vincere la scomessa congressuale: trentamila iscritti a "quota italiana", 8 millioni di dollari, entro un mese di tempo. Una scommessa da molti degli stessi congressisti ritenuta impossibile.

Trentasettemila iscritti

Gli inizi sono lenti, faticosi. Poco a poco, pero', la campagna decolla grazie alla congiunzione fortunata di una serie di fattori: la presa di coscienza, da parte di molti cittadini italiani, di fronte al crollo della partitocrazia, della assoluta diversità ed estraenità del PR rispetto a questo regime; una trovata "tecnica" geniale, ovvero la possibilità di effettuare il pagamento dell'iscrizione tramite la carta di credito, un mezzo diventato ormai diffuso in Italia; una copertura, un interessamento senza precedenti della stampa nei confronti del PR, della sua storia ma anche della sua nuova natura transnazionale e transpartitica; last, but not least, il "rapimento" da parte di una squadra dell'aeronautica militare italiana, a soli dieci giorni del termine della campagna di iscrizione, del sindaco di Sarajevo.

Invitato dal suo collega, anch'egli membro del PR, Franco Carraro, sindaco di Roma, Mohamed Kresseljakovic viene ricevuto, nel corso dei dieci giorni che passa in Italia, da Giovanni Paolo II, dal Presidente della Repubblica Scalfaro, dal Primo Ministro Amato e da molti altri ministri e personalità. I mass-media fanno a gara per intervistarlo. Varie organizzazioni umanitarie consegnano direttamente al sindaco aiuti per la città martoriata.

Il Tribunale internazionale contro i crimini di guerra

Ai primi di aprile le iscrizioni superano la cifra fatidica di trentamila. Pochi giorni dopo si assestano a trentasettemila. Un "record" senza alcun precedente nella storia quarantennale del PR. Il Partito Radicale è salvo. Puo' guardare al suo futuro, al suo sviluppo e rafforzamento transnazionale. Senza sosta vengono definite alcune prime iniziative. Rilancio della campagna per l'abolizione della pena di morte. Redazione di un appello per la istituzione del Tribunale internazionale contro i crimini di guerra nella ex-Jugoslavia e per la sua parallela istituzionalizzazione. La raccolta delle firme inizia nelle strade, sulle piazze, nei parlamenti. Il gruppo di esperti incaricato dal governo Amato di redigere un progetto di statuto per il Tribunale conclude i suoi lavori. Diverse tra le proposte fornite dal PR vengono accolte, in particolare l'esclusione della pena di morte.

Nelle settimane successive, Emma Bonino si incontra a varie riprese con il segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros Ghali. Oltre alla questione dell'istituzione del Tribunale internazionale contro i crimini di guerra viene anche affrontato il problema della riforma democratica dell'ONU, cosi' come pure, beninteso, le iniziative sulla ex-Jugoslavia.

In Bosnia la guerra continua. Li', come altrove nella ex-Jugoslavia, il conflitto ha invaso le anime di tutti, in un processo insidioso, orrendo, cosi' puntualmente descritto dalla scrittrice croata Svetlana Drakulic nel suo triste e bellissimo libro "Balkan Express".

Il tempo dell'accoglienza indiscriminata in Croazia dei profughi bosniaci è ormai remoto. Ora che non sono piu' ai vertici dello stato croato, viene alla luce il ruolo determinante svolto dai Greguric e dai Tomac nel controbattere le tendenze nazionalistiche, nello spostare su posizioni democratiche il sempre oscillante e sensibile alle sirene nazionalistiche presidente Tudjman.

Una assenza che si manifesta drammaticamente, nell'aprile di quest'anno con un ultimatum dell'HVO - le milizie croate in Bosnia - alle forze musulmane perché si sottomettano al comando croato nelle zone loro assegnate dal "Piano Vance-Owen". Cominciano gli scontri e le operazioni di pulizia etnica nelle zone sotto il controllo dei croati. Viene alla luce, per chi lo vuole vedere, un'altra funesta conseguenza della cosidetta "strategia europea". Un mese dopo, sono i musulmani a fare proprio il concetto di "pulizia etnica", cacciando decine di migliaia di croati dalla regione di Travnik, in Bosnia Centrale.

In Kossovo, il premio Sakharov Adem Demaqi inizia uno sciopero della fame, presto raggiunto da centinaia di altri giornalisti kossovari, per impedire la chiusura dell'ultimo giornale in lingua albanese. Dopo dieci giorni di azione nonviolenta, le autorità di Belgrado fanno marcia indietro.

A Vienna, a meta' giugno, nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite per i Diritti dell'Uomo, una delegazione radicale guidata dalla presidente Emma Bonino consegna al Presidente dell'Assemblea Generale Ibrahim Fall, cinquantamila firme raccolte dal PR sul testo di un appello per l'istituzione di un tribunale internazionale contro i crimini di guerra nella ex-Jugoslavia e per la sua successiva istituzionalizzazione. Tra i firmatari, oltre mille membri dei Parlamenti di Albania, Bulgaria, Italia, Francia, Croazia, Voivodina, Romania, Ungheria, Polonia, Kossovo, ...

"Disconoscimento" della Repubblica Jugoslava (Serbia-Montenegro) ?

Sempre in giugno, alcuni deputati del gruppo federalista europeo, iscritti al Partito Radicale, depositano al Parlamento italiano una mozione che chiede tra l'altro al governo italiano: di procedere, se possibile in sintonia con gli altri paesi della Comunità, se non unilateralmente, al "disconoscimento" della Serbia-Montenegro e, conseguentemente, al richiamo dell'ambasciatore; nonché di proporre la messa sotto speciale tutela da parte delle Nazioni Unite del Kossovo.

A Washington, il presidente della Repubblica di Serbia, Slobodan Milosevic, e il leader dei serbi di Bosnia, Radovan Karadgic, vengono inseriti nell'elenco dei criminali di guerra.

 
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