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Agora' Agora - 7 settembre 1990
EUROPA: PRESIDENZA ITALIANA DELLA COMUNITA' EUROPEA ED AMBIGUITA' DEL GOVERNO ITALIANO
di Lorenzo Strik Lievers

Lorenzo Strick Lievers è membro del gruppo federalista europeo e ecologista del Senato della Repubblica italiana, e membro del Consiglio federale del Partito radicale.

Tutti gli schemi usuali e adusati sono venuti meno. Se - con tutte le abissali differenze - v'è un momento storico paragonabile a quello che stiamo vivendo, esso è la fase in cui si usciva dalla seconda guerra mondiale, quando gli assetti politici europei erano tutti da creare, quando nulla era ancora definito: quando dunque aveva tutta la credibilità di un vero e concreto progetto politico rivoluzionario l'utopia federalista del "Manifesto di Ventotene" di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Come allora, o anzi molto più che allora - giacché non è sepolta sotto le rovine, non è occupata da eserciti vincitori e alla loro mercé - l'Europa è posta dinnanzi alla propria storia, e alla responsabilità di disegnarne in un senso o nell'altro il futuro.

In questa situazione che l'Italia assume la presidenza di turno della Comunità Europea per quello che sarà il semestre cruciale: il semestre in cui si imposterà, accanto a quella per l'unione economico-monetaria, la conferenza per l'unione politica.

Sarà nei mesi della Presidenza italiana, cosi', che si assumeranno le scelte di fondo: se andare in direzione di una Europa di tipo confederale (luogo di coordinamento fra stati che mantengono piena la loro singola sovranità nazionale), o se imboccare invece la via che porti progressivamente ad una vera federazione europea, con una sovranità e una legittimità democratica superiori a quelle nazionali, dotata di leggi e istituzioni democratiche sovranazionali.

Questa in effetti torna ad essere la posta in gioco. A lungo non era stato così. Per molto tempo le speranze federaliste erano sembrate destinate alla sconfitta. Ben poche, in realtà, erano parse le possibilità di un rilancio del tema federalista anche nel momento in cui, nel giugno 1989, gli italiani si pronunciavano con il referendum per i poteri costituenti al Parlamento Europeo: fuori d'Italia erano esigui o nulli i riscontri di quell'iniziativa. Non si vedevano forze consistenti disposte a operare per imprimere una svolta al processo inaugurato con l'Atto unico del 1985 (non per nulla coincidente con l'affossamento del progetto Spinelli adottato dal Parlamento europeo): al processo cioè che faceva fare si' passi avanti alla costruzione europea, ma con rigorosa esclusione della dimensione politica.

La svolta è maturata per effetto degli eventi straordinari dell'Europa centrale e orientale. La caduta del muro fra le due europe e l'esplosione del processo di unificazione tedesca hanno imposto come non eludibile la questione di una dimensione anche politica della costruzione europea: di qui - e non da un "naturale" sviluppo del processo dell'Atto unico, come dice il ministro italiano degli esteri, De Michelis, in polemica con i federalisti - la lettera di Kohl e Mitterand da cui è scaturita la decisione di convocare una conferenza intergovernativa sull'unione politica.

Non illudiamoci. La questione dell'Europa politica è stata sollevata perché da una parte il governo francese vuole in qualche modo contenere, limitare e condizionare in una cornice europea la nuova, prorompente potenza della Germania unita, e dall'altra la Germania, per attenuare le preoccupazioni dei vicini, è desiderosa di dare ogni garanzia europeista; mentre un po' tutti avvertono l'esigenza di un coordinamento politico indispensabile nella nuova situazione dei rapporti con l'Est. Ma da qui a una serie disponibilità a rinunciare a porzioni della sovranità nazionale in favore di un potere federale europeo ce ne corre: e l'esito più probabile è quello di una soluzione di tipo confederale. Eppure, i giochi non sono fatti. Ragioni potenti, e oggi ben più che ieri, possono far pendere la bilancia in direzione di una scelta federale, verso un avvio di Stati Uniti d'Europa.

Ragioni, intanto, interne agli equilibri europei occidentali.

Se l'obiettivo, come si dice, è di fare della riunificazione tedesca non un fatto solo tedesco, non la fondazione di un Quarto Reich, ma un fatto europeo, un momento della riunificazione europea; se, in altre parole, si vogliono avere garanzie rispetto a un'incontrollata strapotenza tedesca, questo non lo si otterrà in una sede di una trattativa intergovernativa, secondo il modello confederale, nella quale il peso del governo tedesco sarà comunque preponderante. Solo una sede di potere democratico europeo, emanazione diretta del popolo europeo - un Parlamento con veri poteri sovranazionali, un esecutivo che ad esso risponde - potrà rappresentare questo elemento di garanzia comune. E da parte tedesca, di una parte almeno dei tedeschi, ma assai consistente, oggi esiste non solo la disponibilità ad accettare una soluzione di questo tipo, ma piuttosto la richiesta pressante perché ad essa si giunga: i fantasmi della sua storia, pesano in primo luogo sulla Germania e anche per garantirsi contro di essi molta

parte della Germania aspira a ritrovare se stessa non come nuova potenza nazionale ma come asse centrale di un'Europa democratica.

Di ancor più cruciale importanza, le ragioni che attengono alle relazioni con l'Europa che sta uscendo dal comunismo. Come a tutti è ormai evidente, il processo di rinnovamento democratico è minacciato direttamente, in gran parte dell'Est europeo, dall'esplosione dei conflitti etnici e nazionali, dal riprendere il sopravvento dell'idea - che già tanti lutti è costata all'Europa - che per affermare il sacrosanto diritto all'identità nazionale si debba comunque conquistare lo stato nazionale indipendente e sovrano e che al principio nazionale, ai valori, agli interessi "nazionali" (all'etnos rispetto all'ethos) si debba riconoscere il primato rispetto a ogni altro motivo. L'antidoto più forte rispetto a questo pericolo può essere rappresentato dall'affermazione di un principio democratico federalista, che indichi una via diversa per la tutela reciproca di tutte le diverse identità nazionali, quella, appunto, della convivenza garantita da istituzioni democratiche federali sovranazionali. Se cosi' è, come n

on vedere l'importanza cruciale che assumerebbe il sorgere dall'attuale Comunità europea di un primo avvio degli Stati Uniti d'Europa, aperti - con la necessaria gradualità, in considerazione delle diverse realtà economiche, ma aperti davvero - all'attenzione di ogni paese democratico d'Europa ? Come non vedere che ciò offrirebbe un punto di riferimento e di orientamento decisivo per gli sviluppi in tutto l'Est ? Senza questa spinta e questo pilastro, l'intera architettura europea che si progetta di costruire nell'ambito del "processo di Helsinki" rimarrebbe priva di centro, esposta ad ogni spinta disgregatrice.

Ragioni forti, dunque, "scritte nelle cose". E molte forze, oggi, in Europa, sono disponibili ad avviarsi su questa strada. Nel Parlamento tedesco come in quello belga o spagnolo e soprattutto nel Parlamento europeo, che non si stanca di riproporre questa prospettiva, in primo luogo rilanciando il metodo e l'obiettivo dei poteri legislativi e del mandato costituente al Parlamento europeo stesso. Sono gli obiettivi ed il metodo per i quali il popolo italiano si è pronunciato con il referendum, dando solenne mandato al governo di sostenerli.

E' evidente, allora, quale valore cruciale - di occasione storica unica - assuma la presidenza italiana della Comunità proprio in questo semestre. All'Italia tocca oggi il diritto, ma soprattutto il dovere, di dare la spinta decisiva, indispensabile perché ci si avvii nella direzione dell'Europa federale, invece che confederale. E' alla presidenza italiana che compete oggi di giocare come alleata del Parlamento europeo e come elemento di stimolo e coordinamento di tutte le spinte di segno federalista, per aiutare a superare le resistenze e le riluttanze, che sono fortissime.

Non c'è che da felicitarsi, allora, per la fortunata coincidenza che vede la presidenza di turno assegnata oggi al paese che più di tutti si è spinto avanti e formalmente impegnato sulla direttiva federalista ? In realtà, è necessario piuttosto esprimere gravi preoccupazioni. Vero che il Presidente del Consiglio Andreotti in numerose occasioni ha confermato la fedeltà dell'Italia all'impostazione federalista della sua tradizione. Ma il Ministro degli Esteri De Michelis - cui spetteranno responsabilità decisive nella conduzione delle trattative con gli altri governi - ha più volte palesato convinzioni di tutt'altro segno. Quanto all'assegnazione al Parlamento Europeo del mandato di preparare il testo di un nuovo trattato, durante la "preconferenza istituzionale" del 17 maggio (un confronto fra governi e parlamento europeo), arrogandosi con disinvoltura sconcertante il diritto di ignorare il puntuale e incontestabile mandato del voto referendario, di ripetuti voti parlamentari e delle stesse dichiarazioni

programmatiche del governo di cui fa parte, De Michelis ha dichiarato la propria posizione contraria! E in diverse occasioni, ultima un'intervista al "Sole-24 Ore" del 28 giugno, ha espresso la propria preferenza per una oscura soluzione intermedia fra la formula federale e quella confederale (che mai significa?) rispetto a quella federale, da lui definita - non si sa a che titolo - "ottocentesca".

Che un immediato e pieno trionfo dell'idea federalista degli Stati Uniti d'Europa non sia a portata di mano è evidente a tutti. La soluzione che uscirà sarà ovviamente il risultato di un confronto tra i punti di vista diversi che si fronteggiano. Ma, certo, se è con questo atteggiamento che entra nella trattativa il governo che più di ogni altro dovrebbe sostenere il principio federalista e la battaglia del Parlamento europeo, ci si può bene immaginare quale potrà essere il compromesso finale....

Occorre che il governo italiano esca dall'ambiguità; e occorre che lo faccia rispettando appieno la volontà del popolo e del parlamento. Camera e Senato, grazie all'iniziativa dei parlamentari dell'intergruppo federalista, fra i quali particolarmente impegnati gli eletti radicali, e grazie alla mobilitazione del Movimento federalista europeo hanno votato, all'inizio di luglio, una mozione che richiama solennemente il valore del referendum e impegna il governo a perseguire la soluzione federale. Il governo ha accettato questo voto. Rispetto della costituzione, o anche solo della decenza, vuole che il Ministro degli Esteri si conformi senza riserve a queste indicazioni, o lasci ad altri il suo posto. Troppo decisive sono l'occasione e le responsabilità perché la maggioranza parlamentare federalista - che riunisce un arco cosi' ampio di forze della maggioranza di governo, dell'opposizione e naturalmente anche del PSI - possa subire qualcosa di meno.

 
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