di Giovanni NegriSud Africa, si volta pagina. La perestroika del continente nero rischia di incepparsi ed i pessimisti non escludono bagni di violenza, ma potrebbe anche mettersi a correre e partorire un modello, un "laboratorio" anomalo capace di incuriosire il mondo.
De Clerck, Mandela, Buthelezi (leader di sette milioni di zulu), ciascuno con ruolo e linguaggi diversi, già sembrano la possibile troika destinata a guidare uno stato assai strano, quasi privo di affinità con altri paesi africani.
Sarà - almeno nelle intenzioni e se tutto va bene - una nazione ad un tempo democratica, egualitaria, sviluppata, federale, multietnica e multirazziale (non a chiacchiere, giacché questi due ultimi aggettivi spesso nascondono bidoni vuoti). Mito, utopia? Può darsi. Certo è che del "muro di Pretoria" non restano che poche macerie ed ancor meno nostalgici: frange di delirante estremismo bianco e non meno antistorici inni alla lotta armata da parte dell'African National Congress, il partito di Mandela e della tribù Xhosa (50% della popolazione nera).
I più, la grande maggioranza di bianchi, neri, meticci, indiani, già guardano al nuovo Sud Africa. Attenti a rimarginare le ferite del passato-presente (che l'opinione pubblica internazionale conosce al dettaglio) ed altrettanto a preservare quello straordinario patrimonio che è il Sud Africa del presente-futuro, con tutti i pregi che ancora e ad ogni costo si vogliono misconoscere.
Ed anche noi, più o meno appassionati osservatori di un "caso Sud Africa", che più lo studi e più ti conquista, siamo sempre in bilico fra una pragmatica fotografia delle potenzialità sudafricane di domani e i drammatici, forse impossibili tentativi di giustificare o spiegare il passato: tentativi che il più delle volte si trasformano in colossali risse ideologico-antropologiche, persino fra i più affiatati compagni di fede politica e religiosa.
Che parlando di Sud Africa spesso si finisca in rissa è del resto abbastanza ovvio, non solo perché grattando la realtà salta lo "schema perfetto" proiettato dai media ("buana bianco schiavista contro zio tom nero umanitario"), ma perché la questione sudafricana chiama prepotentemente in causa, ad un tempo, le nostre più antiche radici di "bianchi" ed i più attuali, scottanti problemi delle società occidentali contemporanee, in specie europee.
La vendetta è un piatto che si serve freddo. Il proverbio mi è parso azzeccatissimo durante il colloquio fra la nostra delegazione parlamentare italiana ed un rappresentante molto autorevole del governo De Clerck.
L'occhio ironico del ministro fa da contorno al "piatto freddo": "abbiamo saputo delle violenze di Firenze contro gli immigrati di colore. E' un errore, bisogna convivere. Noi ormai conviviamo e il 95% delle vittime e degli scontri in Sud Africa è da molti anni dovuto ai conflitti sanguinosi fra tribù di colore, in particolare Xhosa e Zulu. Abbiamo saputo delle quote e della politica di duro controllo alle frontiere italiane. Possiamo capire, ma noi non abbiamo né quote, né frontiere semichiuse: in Sud Africa lavorano milioni di immigrati angolani e mozambicani, altrettanti milioni vorrebbero lavorare e vivere nel nostro paese. Vedete, né più né meno che come l'italiano, il sudafricano (bianco o nero che sia) non vuole più fare il minatore o il cameriere. Va segnalato, poi, un grave problema di violazione dei diritti umani: alcuni chilometri di filo elettrificato che corrono lungo la frontiera Mozambico-Sud Africa e provocano centinaia di morti fra la popolazione di colore. Persone, per la verità, che non sc
appano dall'inferno sudafricano al paradiso mozambicano, ma in senso opposto. Quanto alla realtà del nostro paese, altro non chiediamo che di venire a vederla: fatevi portare nei posti peggiori, dove c'è il massimo di povertà della popolazione nera e confrontateli con qualsiasi metropoli africana o anche quartiere ad alto tasso di immigrazione di colore nelle megalopoli europee e americane. E il venerdì pomeriggio sedetevi su un ponte che sovrasta le autostrade di Johannesburg o Durban o Città del Capo, osservate milioni di famiglie di colore che vanno in week-end, che raggiungono la villeggiatura. Certo, ora procederemo al superamento di ogni stato d'emergenza, ci siederemo al tavolo delle trattative, abbiamo imboccato la strada della democratizzazione, pensiamo ad una soluzione federalista per tutta l'Africa australe, che coinvolga, oltre noi, l'Angola, il Mozambico, lo Zambia, lo Zimbabwe. E' la base dello sviluppo per un continente sprofondato nella fame e nella miseria. E non per colpa nostra".
Certo, passato e futuro in Sud Africa non si possono scindere. La storia di qualche migliaio di boeri (burini) riformatori olandesi, ugonotti francesi e valdesi piemontesi caricati a forza sulle navi della Compagnia delle Indie olandesi per sfuggire alla persecuzione cattolica, pionieri al Capo d'Africa di una terra promessa totalmente disabitata per centinaia di chilometri verso l'interno, ancora un tutt'uno con la storia del Sud Africa d'oggi, con la storia di quei bianchi della punta del continente nero.
"Si', è mostruoso. Per i nostri padri, protestanti, il nero era una creatura di Dio, ma inferiore a noi. Perciò doveva essere sfamata, poi anche occupata, istruita ed evoluta. Orribile, vero, per voi cattolici... Voi che in Sud America non avete alcun problema di apartheid perché gli indios non ci sono più. E questo, vi piaccia o no, il solo paese dell'Africa dove non un solo nero muore di fame, dove c'è istruzione e lavoro per tutti, dove gli oppositori non sono più incarcerati né uccisi, l'unico paese dove la donna e l'uomo nero potranno votare. E se dite che il Sud Africa di domani può essere una speranza, chiedetevi se sarebbe stato possibile senza il Sud Africa di ieri. Quel che è certo è che questa è anche la nostra terra. Noi non siamo italiani di Libia o francesi di Algeria o inglesi dell'India. Siamo da 400 anni bianchi del Sud Africa, di una terra dove non c'era nessuno e dalla quale non abbiamo cacciato nessuno. Sbarcammo qua giurando che nessuna Chiesa sarebbe più riuscita a perseguitarci e che a
vremmo onorato Dio con il nostro lavoro. Ora non abbiamo e non vogliamo avere nessun ritorno. Questa è la sola nostra patria".
Inquietante Sud Africa. Quale destino lo aspetta o, meglio, quale futuro gli spetta ?
Capirlo, provare, per quanto possibile, a determinarlo, non solo è necessario per dare finalmente uno sbocco di pace alla questione sudafricana. Il suo fascino è più intimo: è una questione decisiva per l'Europa (speriamo per gli Stati Uniti federali d'Europa), che dovrà presto guardare al proprio dirimpettaio africano, cioè ad un continente dominato da dittature sanguinarie che infliggono ai propri sudditi fame e totalitarismo.
Quali classi dirigenti intendiamo eleggere a nostri interlocutori africani ? I Mobutu e i Siad Barre, con i quali la partitocrazia italiana felicemente "coopera", campioni di democrazia rispetto allo "schiavista" regime di Pretoria?
Ed è una questione decisiva anche per i problemi che agitano le viscere profonde di casa nostra, la cucina nera della bottega Italia bianca e dell'Europa del Marco unico, dove non è solo il "distacco dalla politica ufficiale" a far montare i Le Pen o i Bossi o gli autonomismi-nazionalismi di turno.
Declinare le parole federalismo, multietnico e multirazziale, riempirle di concretezza, è ormai un problema di drammatica urgenza. Abbiamo cominciato a farlo sia chiedendo la fine delle anacronistiche e farisaiche "sanzioni" contro il governo De Clerck, sia mettendo in cantiere, per il prossimo autunno, un appuntamento significativo di riflessione sul rapporto Sud Africa-Europa nei suoi molteplici aspetti, cui dovrebbero prendere parte tanto i rappresentanti del governo di Pretoria che dell'A.N.C.
Gli amici sudafricani, di ogni razza e colore, ci scuseranno di questo egoistico utilizzo del bandolo Sud Africa per provare a sbrogliare anche la matassa di casa nostra. E' il modo che abbiamo per darci e dare loro una mano. Nel frattempo, se esistono, il dio dei primi coloni del Capo e il dio delle savane zulu proteggano la perestroika del continente nero.