di EuropeusSi è svolta a Roma, dal 26 al 30 novembre, la Conferenza dei Parlamenti della Comunità europea, la assise dei membri dei 21 parlamenti dei dodici paesi della CEE e del Parlamento europeo.
E' stato il presidente francese Mitterrand a rilanciare l'idea di un incontro degli eletti di tutta la Comunità dopo che proprio i radicali, sia al Parlamento italiano che a quello europeo, fossero stati all'origine di una mozione che sollecitava tutti i membri di tali parlamenti - oltre seimila - a riunirsi nel bicentenario della rivoluzione francese, in Stati generali europei per rivendicare la fine dell'assolutismo del Consiglio dei Ministri CEE e il termine di quel deficit democratico che caratterizza oggi la vita della Comunità.
La riunione di Roma è stato il punto di compromesso raggiunto fra i sostenitori di una grande manifestazione di unità fra gli eletti europei anche a sostegno del Parlamento europeo, un po' il parente povero di questa assise, il parlamento senza poteri, o quasi, e i suggerimenti di alcuni governi che vedevano paradossalmente in questo incontro l'occasione per mettere contro le istanze dei parlamenti nazionali e del parlamento europeo per far fallire i tentativi di andare verso un'integrazione europea di tipo federalista e far trionfare in sua vece la mera cooperazione intergovernativa, e mantenere in buona sostanza lo statu quo.
Ma vediamo più in dettaglio i contorni di questa strategia, ispirata in larga parte da Mitterrand, da questo degno erede del generale De Gaulle e della sua "Europe des Patries".
Vanificata l'idea di convocare a Parigi i 6969 membri dei parlamenti della Comunità così come era stato ideato da Marco Pannella e tradotto in documenti parlamentari, ci si era risolti a dar corso all'idea di riunire a Roma, alla vigilia del Vertice europeo che dovrà dar avvio alle due conferenze intergovernative di riforma dei trattati CEE - l'una per l'Unione economica e monetaria, l'altra per l'Unione politica. In questo senso veniva adottata al PE una relazione che auspicava un incontro paritetico fra rappresentanti del PE e dei parlamenti nazionali.
Nel negoziato preliminare fra i presidenti delle Assemblee parlamentari europee per l'ordine dei lavori delle Assise, però, questo rapporto veniva, su spinta dei parlamenti nazionali, trasformato in due delegati nazionali per un eurodeputato. Si è arrivati quindi ad una Conferenza composta da 85 membri del PE e 170 eletti nazionali. Non solo: emergeva in filigrana dai lavori preparatori l'idea, ispirata dal capo della diplomazia francese Roland Dumas, di trasformare questo primo incontro in una Assemblea a carattere permanente, una sorta di seconda camera. Evidente ne era lo scopo: nel modello ideale delle Comunità attuali e, a fortiori, in quello federalista, la seconda c'è già: è il Consiglio dei Ministri, vera e propria camera degli stati che dovrebbe dividere il potere legislativo con il Parlamento europeo, secondo il modello ad esempio della Germania federale. Adesso, invece, il Consiglio, oltre che a svolgere in certi campi un potere di esecuzione, più di appannaggio della Commissione presieduta da Jac
ques Delors, può legiferare in materia comunitaria tenendo poco o punto conto del parere del PE. Creare così un altro organo parlamentare, magari per poter dire di risolvere così il deficit democratico della Comunità, era un'occasione troppo bella per poter rafforzare nella sostanza il potere esclusivo dei governi, per non far sì di provare ad usare di questa Assise per dare un colpo di freno decisivo alla volontà insieme di costruire un'Europa su base federale e a riequilibrare da subito la ripartizione dei poteri all'interno delle istituzioni.
L'offensiva sui mezzi di informazione era partita alla grande. Il Presidente del Parlamento europeo, escluso dal banchetto dei capi di governo dei dodici nel primo vertice organizzato dalla presidenza italiana ad ottobre, veniva presentato come il portavoce di un gruppo di politici falliti o di serie B, che pretendevano più poteri essendo invece incapaci di svolgere il loro lavoro con diligenza, ovvero i veri responsabili in definitiva del ritardo accumulato dal processo per la realizzazione del mercato unico europeo.
Il ministro degli esteri italiano De Michelis, anche lui membro della cordata di governanti - soprattutto socialisti - della Comunità convinti che i parlamenti, specie quello europeo, sono più un freno e un ostacolo che altro per la costruzione europea, ha però passato il segno, proprio alla vigilia della Assise, con delle dichiarazioni così pesanti da trasformarsi in boomerang per lui e i suoi amici e rendere paradossalmente un gran servizio al PE.
Cosa ha detto di tanto grosso De Michelis? Né più né meno che il Parlamento europeo è il principale ostacolo alla costruzione europea, malato come è di irrealtà e di letteratura. Quanto bastava a Pannella per chiederne le dimissioni e per scatenare una raccolta di firme di deputati per condannare pubblicamente queste affermazioni invitando il ministro a ritirarle.
Il segretario del Partito comunista italiano, Achille Occhetto, e con lui molti deputati comunisti, decine di altri deputati del PE hanno aderito a questa iniziativa che ha così occupato la stampa per i primi due giorni dei lavori della Conferenza anche grazie ad una immediata, sdegnata replica dello stesso presidente del PE Enrique Baron. Questo incidente ha messo in luce anche per gli eurodeputati più riottosi cosa si celava in realtà dietro le manovre diplomatiche della riunione di Roma. Mentre molti deputati nazionali, attenti alle prerogative dei membri di assemblee elettive, hanno espresso solidarietà ai loro colleghi del PE convenendo che occorre operare insieme per recuperare i propri poteri ai rispettivi livelli decisionali, lasciando perdere l'idea di creare un doppione del parlamento sovrannazionale già esistente, ma incidendo invece insieme di più per meglio controllare i governi nazionali da un lato ed il Consiglio dei ministri CE dall'altro.
Questo in sostanza il succo della battaglia politica giocatasi a Roma, nei corridoi della Camera, mentre in Aula gli interventi si succedevano per la prima volta a Montecitorio (la Camera dei Deputati italiana ndr) con le strette regole del Parlamento di Strasburgo.
Il documento finale, votato con la significativa astensione del delfino di Mitterrand, Fabius, e degli altri socialisti francesi provenienti dall'Assemblée Nationale, travatisi in buona ma esigua compagnia con i gollisti e i conservatori inglesi di Westminster, riflette le posizioni già espresse dal PE per una Unione europea su base federale e per l'elaborazione di una Costituzione europea che veda la partecipazione attiva del PE. Oltre l'80% dei partecipanti ha votato questo testo, che esclude la trasformazione della Conferenza in organo parlamentare e conferma il ruolo unico del PE per il processo di integrazione comunitaria. E' un buon successo per il PE, al quale ha contribuito molto l'intergruppo federalista e Marco Pannella in particolare, ma al quale hanno partecipato molto attivamente gli altri radicali presenti alla Assise, Adelaide Aglietta copresidente del gruppo dei verdi al PE e Peppino Calderisi, presidente del gruppo federalista alla Camera dei deputati italiana. E' soprattutto una battuta di
arresto per questi nostalgici dell'Europa dei governi che adesso, con la partenza della Thatcher dovranno uscire più allo scoperto e spiegare perché il socialismo europeo non vuole che la Comunità diventi davvero una entità democratica, federalista, forte e aperta per i paesi europei che si affacciano oggi alla democrazia.