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Agora' Agora - 8 gennaio 1991
COSTRUIRE LA DEMOCRAZIA O DISTRUGGERE L'IMPERO?

L'Unione Sovietica verso la libertà. Governare la politica, realizzare lo Stato di diritto, prefigurare gli Stati Uniti d'Europa.

di Marino Busdachin

membro del Consiglio Federale, coordinatore delle attività radicali in Unione Sovietica

Distruggere l'impero

E' opinione comune, dentro e fuori l'URSS, che l'ultimo "Impero" moderno debba essere distrutto. Su questo vanno d'accordo sia gli ambienti dell'emigrazione e dell'esilio sovietici in occidente sia gli oppositori e i riformatori interni ai Soviet.

Sembra non vi sia altra soluzione che quella di una disintegrazione dello Stato Sovietico, costi quel che costi; anche un bagno di sangue. Sembra, così da più parti si afferma, che solo una soluzione puritana e giacobina del problema possa modificare alle radici "l'Impero del Male". Sembra che solo lo smembramento in decine e decine di piccoli stati indipendenti possa garantire la speranza di un futuro felice e democratico. Davvero, non abbiamo altre soluzioni? Qualcosa che vada al di là di una politica del "tanto peggio-tanto meglio"!

La democrazia non si ordina e il "mercato" non può essere pianificato

Dovremo sempre rispondere a queste domande: Siamo a favore o contro la distruzione dell'Impero sovietico? Siamo a favore o contro Gorbaciov? E ci toccherà rispondere che non ci sembra questo il problema più importante, più urgente! Che nello sfascio del sistema sovietico è urgente guadagnare leggi, regolamenti, governi che costruiscano lo Stato di diritto, che difendano i diritti della persona, che governino il passaggio da una società e da un'economia ilitarizzata e ideologizzata ad una società civile e democratica e ad un'economia civile e di mercato. In buona sostanza sembra che il problema che dobbiamo porci non è tanto quello di come distruggere l'Impero ma di cosa costruire in sostituzione dello stesso. Anche perché può darsi, mi si perdoni la piccola provocazione, che dopo distrutto l'impero non resti più niente o peggio, niente per cui valga la pena di lottare.

Indipendenza nazionale e democrazia

La lotta per l'indipendenza nazionale e per la difesa dell'etnia è automaticamente lotta per la libertà e la democrazia? Non necessariamente. Solgenitzin, nel suo ultimo scritto, sostiene sostanzialmente che per salvare la Russia (piccoli russi, russi bianchi e grandi russi) bisogna porre fine all'Unione Sovietica. Solo garantendo l'indipendenza nazionale alle altre 12/13 repubbliche federate la Russia potrebbe garantirsi un futuro scevro da disastri di immane portata. Purtroppo non crediamo che sia più il tempo in cui le nazioni e gli stati possano essere fatti e disfatti a tavolino come a YALTA o a VERSAILLES. Che le linee di confine possano essere tracciate con noncuranza su di una carta geografica o fissate con colpi di cannone. C'è, ci può essere una via d'uscita democratica e nonviolenta agli inarrestabili processi di separazione delle Repubbliche baltiche o di quelle caucasiche dall'Unione Sovietica? Può crescere una coscienza civile e democratica di rispetto dei diritti delle minoranze etniche, lingu

istiche e religiose in un mondo dove queste non hanno mai avuto diritto all'esistenza, all'autonomia, all'autodecisione?

Noi radicali affermiamo da anni che i problemi delle minoranze non possono essere risolti all'interno dei singoli stati. Debbono invece essere affrontati in organismi democratici sovranazionali che abbiano il potere di far rispettare le leggi che emanano. E' indubbio che ad oggi questi organismi e questa grande e democratica Federazione Europea ancora non esistono. Ma non per questo viene meno la necessità di farli esistere.

La stagione storica delle lotte ottocentesche per l'indipendenza si è esaurita con la distruzione dell'ultimo grande Impero assolutista illuminato, plurinazionale e cosmopolita: l'Impero Austro-ungarico. A disintegrare il mito e lo stato asburgico furono altri imperi o stati imperialisti che si voglia: Inghilterra, Francia, Prussia e Russia. L'Europa che uscì dalla prima guerra mondiale ne prefigurò la seconda. Le nazioni che si formarono secondo i desideri e le ragioni politiche degli stati vincitori e dominanti finirono, dopo una breve e debole parentesi "democratiche", per diventare nazionaliste, autoritarie e militariste alimentando la crescita del fascismo e di avventure guerrafondaie.

Oggi, in quasi tutti i paesi del centro-est Europa usciti dal comunismo si sono affermate politiche e governi democratico-nazionali e di risorgimento nazionale, spesso anche di già partitocratici. La dipendenza economica, le questioni nazionali e l'oligarchia dei partiti ovunque rallentano il passo della democrazia. Il problema non è quello di creare tanti piccoli e ridicoli eserciti nazionali dove sperperare quei soldi che già mancano, continuando cosi ad affamare la gente, bensì di arrivare ad eliminare eserciti e confini per realizzare quella politica di sicurezza europea che è preliminare al processo di integrazione EST-OVEST.

La carta dei diritti dell'uomo sancisce il diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza dei popoli e delle etnie. E per ogni democratico di questo mondo questo è un diritto sacrosanto! Come sacrosanti sono i diritti all'indipendenza delle repubbliche dell'Unione Sovietica. Come questo possa avvenire in termini di accordo, di dialogo e in maniera nonviolenta fra l'URSS e le singole repubbliche secessioniste non è chiaro e neppure, stando alla realtà, pare possibile. Certo, c'è bisogno di maggior informazione, di più libertà di circolazione di idee e di uomini, di coivolgimenti internazionali, di invito al dialogo per evitare quanto è successo nelle repubblichwe asiatiche e negli scontri in Georgia o in Azerbaijan. I massacri, le repressioni, in un regime di maggiore democrazia e di maggiore informazione forse non sarebbero accaduti.

La logica del Kremlino oggi non può più essere quella anche del potere staliano, del "divide et impera" e del soffiare sul fuoco delle contrapposizioni etniche e religiose. Oggi si può, si deve, tentare di agire diversamente in queste questioni dimenticando l'esperienza negativa acquisita in 70 anni di autoritario dominio.

La Perestroika, la democrazia si possono salvare costruendo una società aperta, una società che sappia governare attraverso la democrazia e il dialogo e non attraverso i carri armati. Penso che quanto è accaduto in Moldavia, in Azerbaijan e in Georgia, ma anche altrove. Quanto viene rivendicato in Estonia, in Lituania e in Lettonia, deve farci riflettere: indipendenza, non sempre significa democrazia. E per noi radicali la lotta per i diritti della persona viene prima della lotta per i diritti dell'etnia. Il nostro impegno, ovunque, è innanzitutto in difesa dei più deboli, degli indifesi, di coloro che subiscono il razzismo dell'etnia dominante, in difesa della libertà religiosa e di culto.

Lo stato di diritto e il pluralismo

Non necessariamente il pluripartitismo garantisce "automaticamente" lo stato di diritto e quindi la democrazia effettiva, classica. Se da una parte vediamo oggi in URSS quasi 6000 partiti, dall'altra vediamo che non esiste una precisa separazione formale e sostanziale tra i poteri dello stato. Esistono libere elezioni, certo, ma non tutti i partiti possono parteciparvi. Il PCUS non è più il partito guida, ma gli altri partiti non hanno gli stessi diritti del PCUS. Non esistono leggi che regolamentino l'attività politica dei partiti e dei gruppi sociali. Così quella che ci si para davanti è, in termini di democrazia, una situazione dove non esistono regole, o meglio regole codificate. E tutti ben sappiamo che in mancanza di regole democraticamente stabilite esiste solo la legge della Jungla, e che questa privilegia il più forte. L'URSS oggi è in crisi per molteplici ragioni, una di queste è che alle vecchie leggi e disposizioni leniniste non si sono sostituite leggi e disposizioni democratiche. Servono grandi

leggi di riforma dello Stato, nuove leggi elettorali, delle leggi che definiscano i confini dei poteri dei diversi organi dello Stato. Il problema non è tanto di quanto potere abbia Gorbaciov - anche Mitterrand e Bush hanno parecchio potere -, ma entro quali leggi e regolamenti viene esercitato e attraverso quali procedure questo viene controllato.

Non necessariamente una repubblica presidenziale è meno democratica, per esempio, di una repubblica parlamentare oligarchica. O di una repubblica dove i partiti hanno occupato lo stato e instaurato una partitocrazia. Sono i parlamenti che devono fare le leggi, i governi ad attuarle e il potere giudiziario a controllarne l'esecuzione. In sintesi, la democrazia può essere ridotta anche solo all'alternanza tra governo ed opposizione. Sono le leggi che fanno un paese più civile e democratico di un altro. E l'Unione Sovietica ha fame innanzi tutto di leggi e di legalità. Ed è su questo che oggi è possibile dare un giudizio sull'attività dei partiti, PCUS compreso, e non viceversa sui programmi.

Libero mercato e fantasie in economia

L'economia pianificata aveva un pregio: quello di essere prevedibile.

In occidente dove il libero mercato esiste e spadroneggia, i partiti in origine dovrebbero servire a difendere il cittadino, la persona dalle degenerazioni che il capitalismo produce nell'ambito dell'etica del profitto. Nei sistemi socialisti il "Partito" pianifica l'economia secondo la propria ideologia e non tiene conto dei parametri di profitto. E il cittadino, non avendo nessuno che lo difenda, finisce per costruirsi il suo mercato nero parallelo. Non si può pianificare il libero mercato. Per definizione l'economia di libero mercato può svilupparsi solo in assenza di pesanti costrizioni e vincoli che ne impediscano il profitto e quindi gli investimenti e quindi la concorrenza e quindi ... il resto. L'Unione Sovietica ha per anni sviluppato un'economia di tipo "militare" ed è divenuta una grande potenza militare. Ma sul piano "civile" industriale e delle comunicazioni, alimentare e della distribuzione, del commercio e della qualità dei prodotti è rimasta al livello della cosidetta "economia del tempo di

guerra". Il ritardo nello sviluppo economico sovietico è tale da far pensare, vista la velocità dei processi economici attuali, che esso non sia più colmabile in assoluto. E che, quindi, per assoluta necessità si impone un'apertura al libero mercato e alle consociazioni fra le imprese occidentali e quelle sovietiche per recuperare il tempo perduto. Ma, in Unione Sovietica, mancano del tutto quelle imprese medie e piccole che sono la base su cui poggia il funzionamento del mercato occidentale.

Liberare dai vincoli e dalle pregiudiziali politiche le cooperattive, le piccole nascenti società di persone e il diritto all'iniziativa privata del singolo sono le priorità su cui iniziare a fondare un'economia diversa. Se in Russia dovessimo giudicare gli architetti guardando i palazzi che hanno costruito, non li saluteremmo nemmeno. Che si dovrebbe fare con gli economisti?

I Radicali in Unione Sovietica

Quasi 500 persone hanno fatto il Partito radicale nel 1990. Gli iscritti vanno da Lvov a Magadan, da Baku a Vilnius, a Mosca, Leningrado e Samara e altrove. Si sono iscritti al Partito radicale deputati dei soviet di Mosca e di Leningrado, giornalisti, obiettori di coscienza, ecologisti, femministe, madri di soldati, omosessuali, renitenti alla leva, ex-drogati, carcerati, uomini e donne rispettabili nella loro intelligenza, nella loro umanità e nel loro coraggio. Hanno formato il Partito radicale cittadini di 19 nazionalità dell'Unione sovietica, ebrei e musulmani, cristiani cattolici e ortodossi, atei e credenti nell'uomo e nelle sue ragioni. Hanno raccolto firme e hanno dimostrato, hanno prodotto qualche progetto di legge e sono stati arrestati, hanno parlato dove e come hanno potuto, hanno cercato di esistere... sono esistiti.

E ora ... non resta che iniziare tutto daccapo. Cominciare a costruire il Partito radicale transnazionale per il 1991.

 
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