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Monti Mario, Bonani Andrea, Il Corriere della Sera - 13 novembre 1994
"LA NOSTRA RIVOLUZIONE E' L'EUROPA"

intervista a Mario Monti (*)

di Andrea Bonanni

SOMMARIO: Il commissario italiano incaricato della fiscalità e del mercato interno si sofferma sulla situazione italiana, evidenziando oltre ai fattori geopolitici (crollo del muro di Berlino) ed a quelli interni (cambiamento degli equilibri tra i partiti) anche un fattore europeo (la costruzione europea) per spiegare l'evoluzione o la rivoluzione in corso nel suo paese. Per quanto riguarda il suo impegno europeo, dichiara che vede "l'Europa come un fatto essenziale di libertà" e che la scelta dei suoi dicasteri alla Commissione sono stati anche funzione di questa sua visione. (Il Corriere della Sera, 13 novembre 1994)

Aveva detto no a poltrone importanti: di ministro, di direttore della Banca d'Italia, di presidente della Comit. E invece ha accettato di andare a Bruxelles, come commissario italiano incaricato della fiscalità e del mercato interno, proprio nel momento in cui l'Italia rischia di scivolare alla retroguardia d'Europa. Una scelta che forse molti, nei palazzi romani, stentano a capire. Ma Mario Monti, 51 anni, già rettore e ora presidente dell'università Bocconi, appare convinto della decisione presa. Sotto i modi estremamente misurati di questo »gran lombardo , in cui il garbo accademico si accoppia a una lieve ironia, traspare addirittura un certo entusiasmo per la sfida che lo attende.

- Professore, anzi, commissario, perché questa scelta europea dopo tanti »gran rifiuti italiani ?

- »Penso che un impegno diretto per l'Europa da parte di un italiano oggi abbia molto significato. Intanto lo vedo come un modo per svolgere una funzione pubblica senza assumere una connotazione politica di parte. Sono sempre stato molto geloso della mia indipendenza e non assumerei volentieri una funzione pubblica che implicasse uno schieramento di parte. Poter svolgere una funzione che proprio in base al Trattato esige l'indipendenza è un'opportunità che mi interessa particolarmente .

- Come dire che lei sceglie Bruxelles per dimenticare l'Italia ?

- »No, al contrario. La scelta europea è perfettamente compatibile con il mio desiderio di interpretare quelli che io considero i veri interessi italiani .

- Quali ?

- »Quelli di un aggancio sempre più incisivo nella costruzione europea, dove mi pare che l'Italia abbia ancora moltissimo da dire e da dare nel contribuire al progetto e alla sua realizzazione. E poi credo che una gestione intelligente del vincolo esterno, un vincolo che non piove dal cielo ma nasce dalla nostra scelta di appartenenza all'Europa, sia un potente fattore di stimolo per l'ammodernamento dell'economia e della politica economica italiana. In fondo, sono convinto che l'Europa sia stata il principale fattore della rivoluzione italiana degli ultimi due o tre anni .

- In che senso ?

- »Spesso si attribuisce la causa dei nostri rivolgimenti politici alle elezioni del'92 e all'azione della magistratura. E questi due fenomeni vengono ricollegati alla caduta del muro di Berlino che ha sciolto il sistema. Io credo ci sia molto di vero. Ma penso che questa evoluzione o rivoluzione italiana non sia solo il risultato di un crollo, quello del muro ma anche il risultato di una costruzione, quella dell'integrazione europea. Il dato essenziale di quel che è successo nel nostro Paese, infatti, più che la ridistribuzione di potere tra questo o quel partito vecchio o nuovo, è una certa ritirata della classe politica da spazi e territori dell'economia e della società civile che in passato i politici avevano occupato molto più di quanto sia consueto in altri Paesi .

- Quali sono i fattori che hanno costretto a questo ritiro ?

- »Io ne vedo essenzialmente due, ed entrambi legati all'integrazione europea. Il primo fattore è l'apertura delle frontiere finanziarie, e quindi la libertà di movimento dei capitali che, dall'aprile 1990, ha messo in concorrenza i titoli del Tesoro italiano con tutti gli altri titoli del mondo. E questo ha costretto il governo a passare dalle parole ai fatti per il contenimento del disavanzo pubblico, divenuto più difficile da finanziare. Quindi l'Europa, con l'integrazione finanziaria ha tolto il monopolio finanziario al Tesoro. Questa mia convinzione le spiega perché ho tanto insistito per avere, nella mia competenza sul mercato interno, anche quella parte della direzione degli affari economici e finanziari che si riferisce all'integrazíone finanziaria e ai movimenti di capitali. Nei dibattiti italiani fin dalla fine degli anni 70 ho sempre sostenuto che quello era il grimaldello: la libertà di movimento dei capitali vista non tanto come strumento per accrescere le libertà economiche degli individui, qua

nto come fattore per eliminare un polmone artificiale al settore pubblico.

»L'altro fattore che ha determinato la ritirata della classe politica è stato l'avvio delle privatizzazioni, reso necessario dal mercato interno, della politica europea della concorrenza, dalla disciplina comunitaria dei sussidi pubblici. Di nuovo l'Italia ha dovuto passare dalle parole ai fatti. Questi due fattori sono il risultato dell'operazione mercato unico e dell'avvio dell'unione economica e monetaria .

- Nel suo libro su »Il governo dell'economia e della moneta lei ha messo come sottotitolo »contributi per un'Italia europea . Quanto è europea questa Italia che lei adesso va a rappresentare a Bruxelles ?

- »Enormemente più di qualche anno fa. Se andiamo indietro agli anni 70, l'Italia divergeva non solo per i numeri e i parametri economici, ma anche per la visione culturale e politica dell'economia. Allora, per esempio, non era affatto ritenuto pacifico che l'inflazione fosse un male, che un eccessivo disavanzo pubblico fosse un male, che il mercato disciplinato da una legge sulla concorrenza fosse un bene. Nessuna di queste cose era data per scontata. E stata una graduale operazione di avvicinamento culturale dell'Italia all'Europa, in particolare a quella che io vedo come matrice di tutto: la "Sozialemarktwirtschaft", l'economia sociale di mercato di stampo tedesco sancita dal trattato di Maastricht. Oggi non c'è più materia del contendere per quanto riguarda quel che vorremmo essere. Pensi all'indipendenza della banca centrale: quante battaglie per asserire questo concetto che era estraneo alla cultura italiana e in parte persino a quella delle autorità monetarie ! Oggi tutte queste cose, per evoluzione c

ulturale e alla fine quasi per santificazione nel trattato di Maastricht, sono acquisite: fanno parte dell'ordinamento italiano, sono riconosciute sul piano culturale .

- Eppure, per molti versi, l'Italia resta la pecora nera d'Europa...

- »Il problema che abbiamo oggi è certo ancora di forte divergenza, ma su grandezze che sono il risultato di comportamenti passati, più che di politiche correnti. Non è un caso che siamo abbastanza in linea con i parametri di Maastricht per quel che riguarda tasso di inflazione e tassi di interesse: occorre certo ancora uno sforzo, ma non siamo palesemente fuori strada. Non è impensabile che riusciamo ad allinearci anche per quanto riguarda il tasso di cambio e il mantenimento di normali margini di fluttuazione. Dove invece siamo molto divergenti è nei due parametri della finanza pubblica, deficit e debito pubblico, che però risentono dell'inerzia del passato .

- Per lei l'Europa si può riassumere tutta in una questione di politica economica o c'è qualcosa che va al di là ?

- »No, credo che ci sia molto che va al di là. Vedo l'Europa come un fatto essenziale di libertà. E mi fa piacere che il compito che mi è stato affidato sia proprio il presidio delle quattro libertà di movimento: persone, merci, servizi e capitali, ricostituendo l'unità di responsabilità su questi temi che in passato non c'era .

- Tra le quattro libertà rientra anche quella della circolazione delle persone, un punto su cui fínora si è fatto molto poco ...

- »E una questione molto complessa, e vorrei conoscerla a fondo prima di pronunciarmi. Ma certo, come ha detto il presidente Santer nel suo discorso al Parlamento europeo in luglio, il problema numero uno per l'Europa è la riconquista delle opinioni pubbliche. Ed è evidente che questo aspetto della libera circolazione dei cittadini è molto rilevante per dare alla gente la sensazione concreta dell'esistenza dell'Europa .

- Il suo sembra un modo di essere europeo ed europeista molto poco ideologico ...

- »Sì, credo di sì. Molto poco ideologico salvo se consideriamo ideologia il vedere nelle grandi diversità storiche e culturali del continente l'idea stessa dell'Europa. Questo dono della multiformità la nostra Unione europea ce l'ha molto più delle altre grandi aree regionali che si stanno integrando economicamente. Naturalmente la grande sfida storica che l'Europa ha di fronte è quella di mantenere e coltivare queste differenze ma, al tempo stesso, creare un'unione economica e monetaria e darsi un'identità politica .

- Un italiano che si sente europeo, come lei, quanti ròspi ha dovuto mandare giù in passato e quanti si prepara a mandare giù in futuro ? Non sente mai la difficoltà di essere europeo e italiano nello stesso tempo ?

- »Credo che un italiano, nel sentirsi europeo, sia facilitato da due cose. Anzitutto, forse perché siamo una nazione relativamente giovane, abbiamo un'identità che non fa fatica ad assimilare quella dell'Europa. L'Europa è sentita e popolare presso gli italiani. In secondo luogo, in Europa, l'Italia viene percepita come un Paese fondatore della costruzione europea, e che ha dato grossi contributi. L'aspetto invece più problematico è quello di rappresentare un Paese che negli ultimi decenni è stato a volte deviante rispetto al resto d'Europa per quanto riguarda in particolare il quadro delle regole e la solidità economica e finanziaria. Tutto ciò rende un po' più difficile per un italiano lavorare come europeo, soprattutto nel campo dell'economia e del mercato. Ma è proprio questo stato di cose che, ai miei occhi, rende il compito anche più motivante .

(*) commissario europeo

 
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