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Agora' Agora - 14 febbraio 1992
Partito transnazionale - Pena di Morte - MANIFESTO PER LA CAMPAGNA CONTRO LA PENA DI MORTE
di Giandonato Caggiano

L'autore è docente di Diritto Internazionale Pubblico all'Istituto universitario Orientale di Napoli e responsabile scientifico della Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI)

Il ricorso alla pena di morte, come sanzione nei confronti di comportamenti considerati particolarmente gravi, continua ad essere previsto in vari ordinamenti giuridici statali.

Tale ricorso è giustificato con diverse motivazioni, tra le quali: l'efficacia deterrente come motivo di ordine pubblico e sicurezza; l'esigenza di rispettare le aspettative dell'opinione pubblica o certe tradizioni.

La sanzione di morte offende pero' il valore supremo della dignità umana, il diritto alla vita, che deve essere statuito a livello internazionale come indisponibile da parte dello Stato e dei suoi organi (anche dei tribunali correttamente e legalmente operanti). In proposito si ricorda che il funzionamento del sistema di garanzia dei diritti affermatosi negli 40 anni, ha per effetto di rendere indisponibili alla sovranità degli Stati alcuni valori della persona umana.

Per ottenere il risultato di proteggere il diritto alla vita in modo da escludere la possibilità di ricorrere alla pena di morte, occorre limitare la competenza interna degli Stati (domestic juridiction), e cioè la loro autonomia normativa e giudiziaria (i poteri esecutivi e di polizia sono limitati da altre norme del sistema dei diritti umani).

A tale fine il primo obiettivo della campagna per l'abolizione della pena di morte deve riguardare la partecipazione agli accordi internazionali che limitano o vietano tale sanzione. Così facendo si ottiene l'impegno (autolimitazione) degli Stati contraenti a non utilizzare la pena di morte.

Per sollecitare i governi in questo senso, parlamentari e membri influenti dall'opinione pubblica devono utilizzare tutti gli strumenti a loro disposizione: ordini del giorno delle Assemblee aventi il medesimo contenuto, discussioni di politica estera ecc.

E' probabile tuttavia che un certo numero di Stati continuerà, per motivi politici e tradizionali, a non assumere alcun impegno derivante da accordi internazionali in questo campo. Rientra infatti nella libertà degli Stati non partecipare agli accordi internazionali, anche a quelli universali conclusi in seno alle Nazioni Unite, poiché il presupposto del diritto dei trattati è la volontà degli Stati ad autolimitarsi.

Per quanto riguarda i trattati sui diritti umani e sulla interdizione della pena di morte esiste un ulteriore difficoltà. Il controllo sulle misure di applicazione interna delle convenzioni in materia di diritti umani non è demandata a Tribunali internazionali, ma avviene solo sulla base di meccanismi quasi-giuridizionali o amministrativi creati dagli stessi accordi. Peraltro, oltre alla ratifica del trattato occorre una specifica dichiarazione ad hoc da parte degli Stati perché questo meccanismo sia operante nei loro riguardi. Questo meccanismo di controllo internazionale, dunque, potrebbe essere reso più efficace chiedendo a tutti gli Stati di accettarlo.

Considerate queste difficoltà, il secondo obiettivo della campagna per l'abolizione della pena di morte deve essere quello di contribuire alla formazione di una consuetudine internazionale che sancisca l'inalienabilità, l'inderogabilità e l'indisponibilità del valore della vita come base

suprema e fondamentale di tutto il sistema internazionale dei diritti umani.

Questo secondo obiettivo si lega strettamente al primo: l'allargamento della partecipazione a trattati che vietano o limitano la pena di morte. Com'è noto, una partecipazione ampia e convinta ad accordi internazionali da parte di un altissimo numero di Stati può' costituire una prova dell'esistenza di una consuetudine internazionale.

La formazione di una tale consuetudine risulterebbe decisiva per il successo della Campagna per la abolizione della pena di morte perché questo tipo di norma è vincolante per tutti gli Stati e prevale, secondo il diritto internazionale, sul diritto interno contrastante.

Un'azione internazionale deve percio' svilupparsi perché si affermi presso i Governi l'opinione della obbligarietà (opinio juris) del principio-consuetudine del rispetto del diritto alla vita attraverso il divieto della pena di morte negli ordinamenti statali.

In questo senso un primo passo in avanti potrebbe essere realizzato, ove la pena di morte venisse considerata, una gross violation dei diritti umani.

Infatti le pratiche "sistematiche, generalizzate e gravi" di violazione dei diritti umani, chiamate nel linguaggio delle Nazioni Unite "gross violation", possono essere sottoposte alla Commissione dei diritti umani, organo ausiliario del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, per il solo fatto che lo Stato accusato di questi comportamenti è membro delle Nazioni Unite (cio' in base alla procedura 1503 del 1970). Anche questa procedura tuttavia non ha carattere giurisdizionale e si riduce a una raccomandazione rivolta allo Stato considerato colpevole affinché ponga fine al comportamento incriminato.

Conseguentemente l'azione per l'affermazione di un principio generale di diritto internazionale che vieti la pena di morte, deve portare all'affermazione di un vero e proprio diritto internazionale penale nel quale si sottraggano almene talune fattispecie di comportamenti e talune categorie di individui, alla giurisdizione dei tribunali nazionali, attribuendo la competenza a giudicare ad organi giurisdizionali (tribunali) internazionali. Questi tribunali potrebbero essere creati con protocolli ad hoc alle Convenzioni internazionali vigenti (ad es. Convenzione internazionale sul fanciullo).

A giustificazione di questa proposta della Campagna vi è da un lato la mancanza di obiettività da parte dei tribunali nazionali nel giudicare certi reati (per esempio in occasione di colpi di Stato), dall'altro la difficoltà anche tecnica di giudicare situazioni complesse legate a comportamenti transnazionali (ad esempio, nel caso di traffico internazionale di droga, traffico d'armi, ecc.)

La proposta dovrebbe dunque riguardare la sottrazione di talune materie o di taluni individui (ad esempio i minori) alla giurisdizione degli Stati realizzando così una verticalizzazione della Comunità internazionale e dunque una ingerenza legittima negli affari interni degli Stati in un settore che è la chiave e il fondamento di tutto il sistema di protezione internazionale dei diritti umani.

 
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