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Hastings Adrian, Stone Norman, Almond Mark, Malcom Noel, Magas Branka - 29 novembre 1994
Bosnia

SULLA BOSNIA, WASHINGTON DOVREBBE SMETTERE DI RINVIARE A LONDRA E PARIGI.

Di Adrian Hastings, Norman Stone, Mark Almond, Noel Malcom, Branka Magas (*)

SOMMARIO: in quest'articolo gli autori dimostrano quanto sono pretestuosi e contradditori gli argomenti di Londra e Parigi sulla questione bosniaca. Ripercorrendo la storia recente, dal referendum per l'indipendenza della Bosnia, essi mostrano anche quanto stretto sia stato lo spazio di manovra del governo bosniaco e quindi quanto spesso esagerate siano state le critiche rivoltategli. (International Herald Tribune, 29 novembre, 1994)

Sospendere o non sospendere l'embargo sulle armi è la domanda cruciale posta di fronte agli autori della politica occidentale riguardo alla Bosnia.

La decisione americana di interrompere il rafforzamento dell'embargo e l'avanzata serba su Bihac, in gran parte dovuta alla loro massiccia superiorità quanto ad armamento pesante, la riportano all'ordine del giorno. Ma in realtà questa possibilità non ha mai smesso di essere centrale.

L'embargo sulle armi ha sorretto l'intera struttura politica dell'occidente significativamente incapace di interrompere la guerra: la presunta corale iniziativa delle Nazioni Unite, la finzione delle "zone di sicurezza", il cosiddetto processo di pace - processo che concede sempre più ai serbi quanto chiedono.

I sostenitori dell'embargo sulle armi, come il segretario alla difesa britannico, Malcolm Rifkind, ripetono volentieri che la differenza tra la politica Britannica e quella Americana è dovuta al fatto che gli Inglesi, avendo delle truppe sul suolo bosniaco, hanno una migliore cognizione dei fatti.

In verità queste divergenti opzioni rispetto all'embargo originano non tanto da una maggiore o minore conoscenza quanto da opposte preferenze sul futuro della Bosnia medesima.

Quanti difendono l'embargo desiderano una Bosnia divisa; quanti si appellano alla sospensione dell'embargo desiderano che la Bosnia continui a esistere all'interno dei suoi storici e internazionalmente riconosciuti confini come un libero stato sovrano.

Per quale ragione i governi francese ed inglese hanno tanto ostinatamente premuto in favore di una politica che conduce inevitabilmente alla distruzione e alla divisione definitiva della Bosnia? Tre cose erano implicate in tale politica.

Per prima cosa il loro convincimento che un'unica vasta nazione in quella zona fosse meglio che diversi piccoli stati. Una volta chiaro che la Yugoslavia non poteva essere tenuta in piedi più a lungo, il loro favore si è rivolto alla creazione di una Grande Serbia.

Come seconda ragione stava il tradizionale attaccamento alla Serbia in quanto alleata delle due guerre mondiali. I diplomatici inglesi agirono positivamente nei confronti della Serbia e di Belgrado, coi quali erano in buone relazioni, e negativamente verso la Croazia presentata come una sorta di continuazione dello stato fascista Ustasha. In tanto la Bosnia rimaneva sconosciuta.

La terza cosa era l'accettazione, già diffusa nel giugno 1992, dell'impossibilità per la comunità internazionale di rovesciare un fait accompli, avendo i Serbi, in poche settimane dall'inizio della guerra, conquistato una così gran parte della Bosnia. Perciò l'unica via per raggiungere la pace era quella di accettare la sostanza delle richieste Serbe.

In tutto questo l'errore fatale fu di sottostimare la resistenza e la determinazione dei Bosniaci nel sostenere il loro legittimo governo e nel difendere l'unità pluralistica del loro paese. Il rifiuto di riconoscere la sconfitta è stato fin dalle prime fasi della guerra il vero ostacolo all'accompimento della politica Franco-Inglese in Bosnia.

Così, mentre Lord Owen, Duglas Hurd e Alain Juppé hanno dispiegato sul governo bosniaco sempre maggiori pressioni diplomatiche a che accettasse la realtà dei fatti, si è rivelato sempre più importante per loro mantenere l'embargo, che solo tiene in piedi tale realtà dei fatti.

Il mantenimento dell'embargo è costato ai governi francese ed inglese un grande sforzo. Assai arduo è stato per loro opporsi a tutti gli argomenti legali, morali e pratici che parlano in favore della sospensione dell'embargo.

Gli argomenti legali sono chiari. L'embargo non fu imposto alla Bosnia, esso fu applicato nel settembre 1991 all'intera Yugoslavia, che teoricamente agiva ancora come stato unitario. Nell'aprile 1992 la Bosnia fu riconosciuta come stato indipendente e nel maggio fu ammessa alle Nazioni Unite quale nuovo membro, distinto e separato dalla Yugoslavia. La sola base per continuare l'applicazione dell'embargo come se la vecchia Yugoslavia esistesse ancora era un rapporto inviato al consiglio di Sicurezza dal Segretario Generale delle NU il 4 gennaio 1992, nel quale si diceva che secondo l'opinione di Cyrus Vance questa sarebbe stata la miglior cosa da fare.

Una ragione legale tanto esile difficilmente può prevalere sul diritto fondamentale di uno stato sovrano all'autodifesa, diritto che l'embargo ONU viola evidentemente. Tale diritto appare all'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, ma è assolutamente falso ritenere che sia un privilegio concesso dalle Nazioni Unite ai paesi membri e che possa quindi essere negato quando sembra il caso. L'auto-difesa è un diritto fondamentale della legge internazionale, precedente le Nazioni Unite.

L'argomento morale è basato sulla considerazione che la nazione bosniaca incarna valori di democrazia, pluralismo e legittimità che vale la pena di difendere. Sinché i governi occidentali non impiegheranno i loro soldati in difesa dello stato bosniaco, devono permettere all'esercito bosniaco di agire senza impedimenti in difesa della nazione e dei valori che sostiene.

Questa guerra non è lo scontro tra due immagini speculari di ostilità etnica. Si stratta di un conflitto tra due opposte visioni di società: l'una basata sulla continuazione di una realtà multietnica e multireligiosa all'interno di istituzioni democratiche, l'altra sorretta da una purezza razziale e religiosa, stabilita con l'assassinio, l'espulsione di massa e la distruzione dei monumenti religiosi e culturali.

I portavoce della politica Franco-inglese scordano sempre di menzionare che il governo della Bosnia ha contato fin dall'inizio della guerra. E' falso parlare di Radovan Karadzic come del rappresentante dei Serbi in blocco. Del 1.300.000 Serbi che vivevano in Bosnia prima della guerra solo 600.000 vive ora sui territori controllati da Karadzic - sebbene le sue forze militari siano subentrate non solo in tutte le aree a maggioranza serba, ma in molte altre aree vicine.

Circa 200.000 Serbi vivono tutt'ora sul territorio del governo bosniaco. A Tuzla i serbi hanno persino formato una brigata speciale all'interno dell'esercito bosniaco. Inoltre tra le centinaia di migliaia di serbi che hanno cercato rifugio all'estero, in parte rilevante sono terrificati da quanto è stato compiuto in loro nome.

In tale contesto è particolarmente errato sostenere - come hanno fatto su questo spazio quattro scrittori in un contributo da Londra - che erigere la Bosnia quale stato indipendente era sbagliato in quanto il paese era destinato ad essere "considerato artificiale da una buona maggioranza dei suoi abitanti".

Quanto grande è questa maggioranza? La maggioranza dei bosniaci ha votato per l'indipendenza al referendum, e il motivo per cui molte aree Serbe non hanno votato fu che i partigiani di Karadzic hanno impedito alle urne di entrare in quelle zone.

Meno di 100.000 uomini, per lo più soldati agli ordini, hanno preso parte all'operazione militare, condotta da uno stato vicini, che ha ritagliato la massa del territorio di Karadzic nell Aprile e nel Maggio 1992. Molti erano Serbi non provenienti dalla Bosnia.

Gli argomenti pratici per la sospensione dell'embargo sono altrettanto gravi e cogenti. Persino Lord Owen ha recentemente ammesso che nessun "piano di pace" sarà accolto dai Serbi finchè non si creerà sul terreno un bilanciamento dei poteri. Se l'attacco serbo in Croazia nel 1991 finì dopo sei o sette mesi, fu soprattutto perché stava sviluppandosi un riequilibro delle forze (grazie a improvvisati rafforzamenti d'armi ai Croati) nel quale ulteriori aggressioni sarebbero divenute troppo costose. Karadzic non avverte ancora un simile incentivo a presentarsi ad un tavolo di negoziato.

I difensori dell'embargo si aggrappano generalmente a due affermazioni: prima di tutto che sospendere l'embargo condurrebbe ad una terribile escalation dei combattimenti, e secondariamente che i bosniaci dispongono già di un notevole armamento. La seconda affermazione, in palese contraddizione con la prima, è divenuta la linea prediletta dai dispacci del governo britannico.

E' strano sentir difendere un embargo per il fatto che non funziona. Ma la verità è che funziona per quanto riguarda l'area assolutamente cruciale degli armamenti pesanti. Come la sortita dell'esercito bosniaco attorno a Bihac e il suo successivo collasso hanno mostrato, i serbi sono forse vulnerabili alle azioni di fanteria su largo fronte, e forse hanno bisogno oggi di più tempo per spostare la loro artiglieria pesante, ma una volta che l'hanno concentrata in un unico contrattacco, la loro massiccia superiorità in armi da fuoco garantisce virtualmente il successo.

Per quanto riguarda l'argomento che levare l'embargo creerebbe un bagno di sangue e prolungherebbe soltanto i combattimenti, esso è totalmente erroneo. Il governo bosniaco non è un riflesso del regime di Karadzic: l'assassinio in massa di civili non è tra i suoi obbiettivi militari. I villaggi serbi dei territori riconquistati all'Erzegovina vivono pacificamente sotto la protezione dello stato bosniaco.

Certo, se l'embargo sarà tolto, il livello dei combattimenti tra i due eserciti crescerà nel breve termine. Ma ne risulterà, dopo alcune rilevanti sconfitte delle armate serbe, una molto più rapida pace a lungo termine per tutti i popoli della Bosnia.

Quando in ottobre il governo bosniaco chiese un rinvio nell'eseguire qualsiasi decisione di togliere l'embargo, non si trattava di un ripudio della politica. Si trattava solamente del riconoscimento che come conseguenza della politica condotta dall'occidente fino ad allora, si erano create gravi difficoltà pratiche che avrebbero richiesto un periodo di preparazione.

Il problema più grave è quello delle così dette "aree di sicurezza", enclavi all'interno delle quali decine di migliaia di civili sono praticamente ostaggi dei serbi.

In alcuni casi (Zepa e Srebrenica) il governo bosniaco locale ha avuto i propri armamenti confiscati dalle Nazioni Unite. Tutto questo in aperto contrasto con le aree protette ONU in Croazia, dove considerevole forze armate furono raccolte dai serbi, sotto il naso delle Nazioni Unite, prima di essere lanciate all'attacco dell'enclave di Bihac.

L'occidente ha contribuito alla creazione di queste aree di sicurezza; ed avendo contribuito ad impedirne al governo bosniaco la difesa, ha pubblicamente accettato la responsabilità della loro protezione.

La risoluzione 836 del Consiglio di Sicurezza autorizzava la Forza di Protezione dell'ONU all'uso della forza "in risposta a bombardamenti contro le aree di sicurezza da parti di chiunque, o ad incursioni al loro interno o in caso di qualunque deliberato impedimento in o attorno a tali aree alla libertà di movimento della Forza ONU" o dei convogli umanitari protetti. Su ciascuna di queste voci la forza di protezione dell'ONU ha pesantemente fallito nell'assolvimento del suo mandato.

Allorché l'embargo sarà finalmente tolto, sarà ancora più necessario, e non meno, per le Nazioni Unite che quel mandato sia rinforzato. La NATO dovrebbe essere autorizzata a dare piene ed effettiva protezione dall'aria alle zone di sicurezza. E' sia necessario sia assolutamente giusto che qualsiasi politica di sospensione includa una politica di rafforzamento, come il Presidente Bill Clinton aveva inizialmente proposto.

La strategia Franco-Inglese che per due anni e mezzo a dominato l'occidente, è stata contraria all'etica oltre che assolutamente fallimentare. Solo grazie ad un enorme esercizio di mascheramento ha potuto durare così a lungo.

E' ora che il governo USA smetta di permettere che la sua politica o quella delle Nazioni Unite sia dirottata da Londra o Parigi e che venga fatta servire una strategia assolutamente incoerente con gli ideali di democrazia e pluralismo sui quali gli Stati Uniti stessi furono costruiti.

(*) Adrian Hastings è professore di Teologia alla Leeds University, Norman Stone è professore di Storia alla Oxford University, Mark Almond è docente di Storia Moderna al Oriel College, Oxford e autore di "Europe's backyard War", Noel Malcolm è autore di "Bosnia... A short history", Branka Magas è autore di "The destruction of Yugoslavia". Hanno contribuito con questo commento all'"International Herald Tribune".

 
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