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Marra Alfonso Luigi, Parlamento Europeo, Commissione Istituzionale - 6 dicembre 1994
PE 1996: struttura giuridica ed istituzionale dell'UE

DOCUMENTO DI LAVORO SULLA STRUTTURA GIURIDICA ED ISTITUZIONALE DELL'UNIONE E L'UNIFICAZIONE DEL TRATTATO

Relatore: Alfonso Luigi MARRA

SOMMARIO: Le istituzioni europee sono state create su base di un accordo tra Stati e la loro evoluzione ha mostrato una chiara tendenza verso la loro unificazione, come è comprovato dall'esistenza di una legge di l'Unione. Per questo non si può negare che esista uno Stato europeo e non ha particolare importanza se questo Stato sia una federazione o una associazione di Stati membri. Il principio di sussidiarietà è da questo punto di vista un mezzo per tradurre il principio di sovranità in pratica in un modo più efficiente.

Pero' ci sono quelli che non riconoscono questa realtà di sovranità di un ordine europeo e cosi facendo si corre il rischio di decadenza e di regressione. E' oggi chiaramente il caso e questa situazione necessita aggiustamenti in termini di democrazia e di efficienza delle istituzioni, aggiustamenti che devono essere radicali. Il Parlamento deve essere l'unico potere legislativo e ciascun membro del PE deve avere il poter di iniziativa legislativa. Il PE non deve neanche aspettare che qualcuno le dia tali poteri. Come assemblea eletta ha tutti i diritti per procedere direttamente in questo senso. (PE, Bruxelles, 6 dicembre 1994)

Cos'è un'Istituzione se non il frutto appunto dell'istituire ?

E qual'altro è l'elemento fondamentale dell'istituire se non un'idonea volontà?

Una volontà che, per essere idonea, dovrà configurarsi come insieme di condizioni atte a poter volere, o altrimenti costituirà una velleità.

Lo Stato, visto da questa angolazione, è dunque la massima delle Istituzioni.

Le Istituzioni europee sono state originate da accordi internazionali fra Stati.

Una volontà questa che astrattamente - sia pur all'interno di concezioni superate - avrebbe anche potuto essere istitutiva di uno Stato unitario, ove gli Stati membri avessero avuto in tal senso una piena e chiara delega delle nazioni.

Senonché, tale è stata, ed è ancora più oggi la forza dell'esigenza di pervenire ad unità, che, man mano, prima ancora si pervenisse ad una esplicitazione della volontà unificatoria, si sono perfezionati tutti gli strumenti necessari per l'unificazione e, attraverso l'esercizio pluriennale di questi strumenti, essa è avvenuta nei fatti.

Lo strumento fondamentale dell'unificazione nonché la prova infallibile che è avvenuta è l'ordinamento giuridico dell'Unione.

La formazione negli anni di un così ampio, capillare, efficace e vissuto corpo normativo implica l'innegabilità della delega unificatoria da parte della nazione europea e dell'accettazione della sua attuazione nel momento in cui si è manifestata attraverso le norme.

Neanche l'ordinamento pero' può essere considerato di per sé come un segnale sufficiente, specie fino a quando non sia giunto ad un livello adeguato di maturazione, poiché un certo numero di Stati potrebbe, in ipotesi, decidere di dover condividere un limitato ordinamento, che investa solo aspetti della loro vita, senza che ciò implichi la volontà di confluire in un'autentica statualità.

La volontà istituitiva statuale cioè, così come la generica contrattualità, può essere funzionale al proseguimento di ogni tipologia di obiettivi, e dunque libera di svolgersi in qualunque maniera le nazioni vogliano.

L'ordinamento europeo, in particolare, ha raggiunto ormai da anni un livello di maturazione tale da aver superato ampiamente l'ambito in cui sarebbe ancora possibile dubitare della volontà di confluire in un unico Stato, le cui connotazioni sostanziali sono ampiamente desumibili dal vissuto politico dei trascorsi decenni.

Naturalmente non tutti i problemi sono stati già risolti, ma questo è vero anche nell'ambito degli Stati membri, e tipico comunque di ogni cosa che esista.

In Italia, ad esempio - cito la situazione italiana solo perché la conosco meglio, ma è accaduta la stessa cosa in tutti i paesi dell'Unione, sia pure in maniere diverse - si è verificato che pur di poter convergere verso un'unica statualità è stata addirittura spezzata la struttura giuridica originaria.

L'ordinamento italiano era infatti fondato su di una vera e propria sacralità della Corte e della Carta Costituzionale.

Tale principio è stato superato: da tempo la Corte Costituzionale non ha più potere di verifica della conformità delle norme europee alla Costituzione, sicché il giudice è tenuto alla loro applicazione anche in caso di contrasto con norme nazionali senza poter sollevare il dubbio di costituzionalità.

A questo punto, in presenza di una normativa europea che si estende ormai fin nei dettagli in ogni ramo del diritto, e quindi della vita sociale, non è più lecito ritenere si possa negare l'esistenza di uno Stato europeo, e poco importa (importa molto, ma non ai nostri fini) che si tratti di una federazione, di un'associazione , o di altra tipologia di aggregazione di Stati.

L'attenuazione della statualità europea potrebbe da taluno essere intravista nel principio della sussidiarietà, ma si tratterebbe di un errore.

Il principio della sussidiarietà non si configura come ostativo dell'unità, ma come strumento alla sua migliore attuazione.

Quale mai concezione moderna potrebbe infatti indurre a ritenere che ciò che può essere meglio risolto in una sede specifica e nel rispetto delle autonomie debba essere risolto autoritativamente ad un livello più elevato ?

Si tratta in sostanza di un principio che, a partire dell'intervento nella vita degli individui, che va limitato a tutto ciò che occorre loro in funzione dell'attuazione del superiore interesse della collettività, tende ad essere sempre più vigente anche nell'ambito degli Stati membri.

Esso infatti, in armoniosa sintesi con il principio della statualità, mira a dirimere e a ricondurre a ricchezza sociale il conflitto eterno fra l'esigenza di sottostare a regole generali, imprescindibile per la collettività, e quella di essere autonomi per tutto quanto è possibile, irrinunciabile per gli individui.

Tant'è che lo Stato ideale - la più bella delle speranze - sarebbe quello in cui l'obbligatorietà dei principi generali trovasse attuazione attraverso la massima espressione della libertà dei singoli, portando dunque, attraverso la sussidiarietà, alla massima esaltazione della statualità.

D'altra parte, a rendere innegabile che l'Unione, figlia del diritto internazionale, è cresciuta fino a divenire Stato, è sopravvenuta l'elezione a suffragio universale dei membri del Parlamento, con la quale la originaria "velleità" è divenuta matura volontà.

Una matura volontà esercitata per un così lungo tempo che differire più oltre la formalizzazione dello Stato europeo significherebbe condannarsi ad assistere fatalmente a quel processo di degenerazione che segue ogni non raccolta maturazione.

Una degenerazione i cui segnali emergono quotidiani da un dibattito parlamentare nel quale il tema del contrasto verso il legislatore non eletto a suffragio universale, ovvero la Commissione ed il Consiglio dei Ministri degli Stati membri, prevale quasi sulla disamina del merito delle decisioni da adottare.

L'attività normativa della Commissione e del Consiglio infatti si è svolta correttamente sia per quanto attiene la produzione di norme di diritto internazionale, destinate a creare obblighi e diritti reciproci fra Stati, e sia per quanto attiene il diritto interno, destinato a garantire l'attività interna ed il funzionamento delle Istituzioni stesse, ma è da ora definitivamente illegittima in relazione alle norme comunitarie, destinate a disciplinare la vita dei cittadini d'Europa.

La Commissione, il Consiglio e le altre Istituzioni europee, cioè, proprio attraverso il loro encomiabile lavoro propulsivo, la difesa dell'identità europea, lo sforzo quotidiano per arricchire questa identità di nuovi contenuti, hanno esse stesse avuto la generosità di creare gli strumenti che rendono oggi possibile il loro superamento.

Attualmente infatti si appalesa in maniera inequivocabile che il loro pur tuttavia magnifico sforzo legislativo non può essere proseguito se non da in'Istituzione eletta a suffragio universale: condizione indispensabile a questo livello di vastità del corpus giuridico comunitario.

Nel superamento di questo insanabile problema giuridico consiste il completamento di quella unità per la quale la Commissione ed il Consiglio hanno tanto lottato, poiché non vi sono margini per mettere in discussione il principio in virtù del quale possono legiferare solo gli organi eletti a suffragio universale, così come non ve ne sono per dubitare che la violazione di tali fondamentali principi sia ciò che genera i principali problemi europei, visto che nessuna violazione di principi giuridici fondamentali ha mai arrecato duraturi vantaggi a nessuno.

Si è giunti infatti ad una contrapposizione frontale fra l'Europa delle genti, rappresentata dal Parlamento e l'Europa dei governi, rappresentata dalla Commissione e dal Consiglio: una contrapposizione che ha finanche trovato una sua schematizzazione terminologica nell'espressione "deficit democratico": un atroce eufemismo che sottintende in realtà una ormai inconcepibile violazione a carico di oltre trecento milioni di europei.

Si assiste così allo spettacolo di Istituzioni governative legiferatrici (una contraddizione in termini) ciascuna crocifissa alle sue esigenze irrinunciabili fin quando a dovervi rinunciare saranno i rappresentanti dei governi: uomini e donne che, incatenati al tondo di una tale arena, si protendono inutilmente verso il bene comune di una per loro irraggiungibile centralità: ..... un'impostazione che sta causando la defunzionalizzazione dell'Unione e che, in quanto parlamentari, ci disonorerebbe se l'accettassimo.

Tanto meno è ammissibile il ricorso a principi di gradualità rivolti a salvaguardare per troppo tempo gli equilibri interni dei singoli paesi.

Anche i problemi infatti hanno una loro peraltro sempre crescente velocità di involuzione, sicché risolverli oltre i tempi tecnici implicherebbe a priori una volontà di farsi da essi rovinare.

Unico rimedio non può che essere una legiferazione ad opera del solo Parlamento, che per sua natura e struttura sarebbe il luogo della soluzione dei problemi da un punto di vista unitario nel quale siano contemperate le esigenze dei singoli paesi, e non nel differimento fino quando anche l'ultimo dei paesi non abbia superato l'ultima delle obiezioni: una logica che, per salvaguardare gli interessi di ciascuno, sta pregiudicando quelli di tutti.

Cose che impediscono materialmente la formulazione di questa relazione negli stretti limiti previsti dal Consiglio di Corfù del 24/25 giugno 1994, e tanto meno la riduzione del tema alla mera unificazione di un trattato che va invece profondamente riformato: limiti errati accettare i quali significherebbe accettare un invito a rafforzare gli errori di fondo sui quali il meccanismo si fonda: un chiarimento questo peraltro inutile perché non rientra nei poteri di nessuno il poter obbligare taluni alla descrizione, in ipotesi, delle connotazioni del cane, quando invece fosse una volpe l'animale da analizzare.

Nell'ambito di questo processo, inoltre, deve assolutamente ed immediatamente essere riconosciuto ad ogni parlamentare il potere di iniziativa legislativa: un argomento nella cui spiegazione non sarebbe possibile addentrarsi senza offendere l'intelligenza di qualunque interlocutore, tanto è ovvio ; perché un parlamentare senza potere di iniziativa legislativa equivale - mi scuso del ricorrere di nuovo ad un'immagine colorita - ad un guerriero si, ma morto.

Da un punto di vista concreto tutto ciò potrà ovviamente essere realizzato solo tenendo conto delle esigenze di continuità e dell'altissima dignità della Commissione e del Consiglio, ai quali compete un fondamentale ruolo consultivo.

Ciò nonostante - dal punto di vista della teoria - va invece detto, per amore dell'arte giuridica, che i parlamentari europei, in quanto eletti a suffragio universale, non avrebbero bisogno del consenso e del supporto di nessuno né per porre in essere questi principi né per dichiarare l'illegittimità di quelli superati, poiché la loro dichiarazione di volontà è fonte del diritto dell'Unione, per cui sarebbe sufficiente che una maggioranza adeguata preventivamente concordata dai parlamentari stessi decidesse che questa è la sua volontà, e la riforma sarebbe già in essere.

La Commissione, il Consiglio, i governi e quant'altri, non potrebbero, in presenza di un tale evento - non auspicabile fin quando non si rendesse eventualmente indispensabile - che prendere atto della volontà del Parlamento sovrano e porsi all'opera per attuare la riforma nei tempi minimi e nei modi migliori.

Se la volontà istitutiva è sufficiente a dar luogo allo Stato è logico infatti che nessuno possa frapporre ostacoli ai parlamentari eletti sul come organizzarlo.

Augurandomi che questa relazione non sia respinta e né troppo opportunamente emendata, non ho voluto tuttavia per questo timore falsificare la verità e né cedere alla preoccupazione che una così grave falsificazione possa mai avvenire ad opera dei membri della commissione istituzionale o del Parlamento.

 
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