I SERBI DEL KOSOVO CHIEDONO A BELGRADO LA PULIZIA ETNICA O IL RIMPATRIO
di Blerim Shala (*)
SOMMARIO: la rivista "Internazionale" pubblica questo articolo apparso sul settimanale sloveno Mladina (**) il 5 gennaio. L'autore, Blerim Shala, ripercorre le tappe della repressione antialbanese nel Kosovo da parte delle autorità serbe e parla della recente petizione firmata da oltre 30mila serbi che, preoccupati di essere abbandonati da Milosevic, chiedono "misure più incisive contro 'il movimento separatista del Kosovo'". Nell'ex regione autonoma della Jugoslavia a maggioranza albanese la tensione cresce, così come cresce il numero di armi a disposizione della popolazione serba. Seguono poi alcuni cenni storici sugli albanesi e serbi del Kosovo.
(Internazionale, 28 gennaio 1995)
Pristina, 5 gennaio 1995 - I leader popolari serbi del Kosovo come Kosta Bulatovic o Miroslav Solevic hanno avuto il loro momento di popolarità alla fine degli anni Ottanta, all'epoca in cui "il popolo [serbo] si era ribellato" (1) e le martellanti rivendicazioni durante "i raduni della verità" portavano all'abrogazione dell'autonomia del Kosovo e della Vojvodina e all'instaurazione di un nuovo regime in Montenegro. Oggi quelle stesse persone criticano aspramente il potere serbo e lo stesso presidente della Serbia Slobodan Milosevic. Più di 30mila serbi hanno già firmato una petizione per chiedere delle misure più incisive contro "il movimento separatista del Kosovo" e una "modificazione della struttura etnica" (i serbi rappresentano solo il 9 per cento dei circa 2 milioni di abitanti di questa ex regione autonoma jugoslava). Questa petizione, inoltre, ha praticamente ottenuto l'appoggio di tutti i partiti di opposizione in Serbia (compresi i radicali di Vojislav Seselj e i democratici di Zoran Djindjic e d
i Vojislav Kostunica), dell'ex presidente della Repubblica federale di Jugoslavia, Dobra Cosic, della Chiesa ortodossa serba e dell'Accademia delle scienze e delle arti serbe. I nuovi "rivoluzionari antiburocrati" hanno preannunciato manifestazioni nel pieno centro di Belgrado se Milosevic incontrerà Ibrahim Rugova, il leader degli albanesi del Kosovo.
Lo Stato di diritto secondo i serbi
I serbi del Kosovo affermano che, se questa regione riprenderà la sua autonomia - come avrebbe promesso il presidente serbo a lord Owen, il mediatore dell'Unione europea alla conferenza di Ginevra sull'ex Jugoslavia - sono pronti a organizzare un "esodo in massa" della popolazione serba del Kosovo verso la Serbia.
Il governo serbo respinge le accuse degli autori della petizione e Vekoslav Solevic, il ministro incaricato del Kosovo, entrerà negli annali del pensiero politico balcanico con la sua frase: "Lo Stato di diritto funziona perfettamente nel Kosovo: nessun albanese è al potere". Infatti negli ultimi quattro o cinque anni il governo serbo può vantare l'adozione in questa regione di un efficace sistema repressivo. Secondo le fonti albanesi del Kosovo - soprattutto il Comitato per la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà - dopo il 1989 sono stati uccisi 180 albanesi, 121mila sono stati licenziati (l'economia della regione si trova attualmente a livello di quella del 1969), 520 famiglie albanesi hanno dovuto abbandonare i loro appartamenti per darli ai serbi. Più di 300mila albanesi hanno lasciato il Kosovo e hanno trovato asilo politico in Occidente. Solo nel 1994 sono stati arrestati 2.503 albanesi e 1.721 hanno subito maltrattamenti. Le autorità hanno confiscato alla comunità albanese, attraverso le
più disparate manovre finanziarie, 220 milioni di marchi. E questo quando le imprese controllate dallo Stato fanno registrare perdite per 560 milioni di marchi. Ma tutto ciò non ha provocato nessun cambiamento radicale nella struttura etnica della popolazione. Tanto più che il piano del governo serbo per la colonizzazione del Kosovo (che prevedeva l'arrivo nella regione di 100mila serbi a partire dal 1990) è completamente fallito.
Mandare nel Kosovo i profughi?
A Belgrado i funzionari del governo hanno capito che sono pochi i serbi disposti ad andare a vivere nel Kosovo in nome degli "interessi nazionali" e, solo qualche mese fa, hanno annunciato di poter eventualmente inviare in questa regione i 100mila rifugiati serbi della Croazia e della Bosnia Erzegovina. Cioè coloro che non possono più tornare nelle loro case perché i territori in cui vivevano appartengono ormai alla Croazia o alla Federazione bosniaca. Ma per ora è impensabile che la Serbia, dato il costo proibitivo di diversi miliardi di dollari, ipotizzi uno spostamento di popolazione di tali dimensioni. Non soddisfatti da questa "politica di colonizzazione", i tribuni della nuova "rivoluzione antiburocratica" propongono una soluzione più semplice e meno costosa: cacciare 300mila albanesi e installare nelle loro case i 100mila serbi in questione. Momcilo Trajkovic, ex vicepresidente del Partito comunista del Kosovo, continua a ripetere che qualunque democratizzazione del Kosovo significherà la perdita defi
nitiva di questa ex regione autonoma. Per "risolvere il problema" il leader Miroslav Solevic propone di chiamare direttamente la prima e la seconda divisione dell'esercito serbo di Bosnia e di riarmare tutti i serbi della regione. In realtà, nel momento in cui è stata avanzata la petizione dei serbi del Kosovo, si è visto che nel 1991 e nel 1992 il governo di Belgrado aveva massicciamente armato la popolazione serba. Le fonti vicine al governo hanno reagito a questo "colpo basso", qualificato anche come "divulgazione di importanti segreti militari", e a loro volta hanno pubblicato informazioni compromettenti secondo le quali il preteso movimento di resistenza serbo nel Kosovo durante gli anni Ottanta era stato organizzato dagli agenti dei servizi segreti jugoslavi, alle dirette dipendenze di Belgrado. Secondo queste informazioni la polizia segreta jugoslava avrebbe organizzato fin dal 1981 (in quell'anno gli albanesi erano scesi in piazza per reclamare una Repubblica del Kosovo) una rete clandestina per favo
rire il sollevamento della popolazione serba contro il potere locale controllato dagli albanesi. Nel 1988 un albanese che lavorava alla Segreteria federale dell'Interno a Belgrado mi ha raccontato che anni prima gli avevano offerto un'ingente somma di denaro per andare a profanare i cimiteri serbi e per incendiare i pagliai dei villaggi serbi del Kosovo. Tutte queste informazioni non possono essere ignorate e appare chiaro che gli incidenti scoppiati nel Kosovo tra il 1981 e il 1989, anno in cui è stata abrogata l'autonomia della regione, sono stati organizzati proprio da Belgrado.
Risolvere la questione albanese
Per sviare l'attenzione da tutti questi intrighi, le autorità serbe hanno recentemente arrestato 156 ex poliziotti albanesi e li hanno accusati di avere costituito un "ministero dell'Interno" della Repubblica del Kosovo autoproclamata. Contemporaneamente il governo serbo ha deciso di impedire a circa 200mila emigrati albanesi che lavorano in Germania e in Svizzera di ritornare a casa nel 1995. Nel Kosovo tutti ritengono che, grazie ai metodi della polizia speciale, gli ex poliziotti arrestati confesseranno di "aver voluto separare il Kosovo dalla Serbia con la violenza". Questi "funzionari ministeriali" sono stati trovati con tre pistole, un fucile semiautomatico e un fucile mitragliatore. E questo mentre, secondo le affermazioni di Bogdan Kecman, una delle leggende della "rivolta antiburocratica", più di 68mila serbi del Kosovo sono stati armati dallo Stato serbo in modo da risolvere, quando sarà "giunto il momento", una volta per tutte la questione degli albanesi.
(1) Grandi movimenti popolari - chiamati anche "rivolte antiburocratiche" - che hanno scosso la Jugoslavia nella seconda metà degli anni Ottanta. Sono stati organizzati da Milosevic e dai suoi sostenitori allo scopo di ridurre all'obbedienza le regioni autonome del Kosovo, della Vojvodina e la Repubblica del Montenegro.
(*) Blerim Shala è un giornalista albanese del Kosovo. Ex direttore del settimanale Zeri di Pristina. E' stato arrestato dalle autorità e ha scontato una condanna per aver scritto degli articoli che proponevano l'unificazione di tutti gli albanesi.
(**) Mladina è un settimanale sloveno che vende 40mila copie. Fondato nel 1943 come organo dell'Alleanza delle gioventù socialiste, "Gioventù" è diventato "alternativo", pungente e fonte di disturbo per il potere all'inizio degli anni Ottanta, al punto che ha visto i suoi responsabili arrestati durante la Primavera slovena. Dopo le elezioni libere, nell'aprile del 1990, Mladina è stato privatizzato, ma resta sempre irriverente e coraggioso (uno dei suoi giornalisti è stato ucciso a Sarajevo nel giugno 1992).
SERBI E ALBANESI DEL KOSOVO
Nel 1389 i serbi furono sconfitti dai turchi a Kosovo-Polje, persero la loro indipendenza e per i cinque secoli successivi rimasero sottomessi al dominio ottomano. La riconquista del Kosovo divenne così un obiettivo costante. Tuttavia nel 1912, quando la Serbia si impadronì nuovamente del Kosovo strappandolo alla Turchia, la maggior parte dei membri di etnia serba aveva abbandonato il territorio, mentre era cresciuto il numero degli albanesi. Tendenza che continuò grazie all'elevato tasso di natalità degli albanesi. Il censimento del 1961, ad esempio, valutò che c'erano circa 646.605 albanesi (il 67,2 per cento della popolazione). All'epoca del censimento del 1981 il loro numero era arrivato a 1.226.736 (77,4 per cento del totale). Sulla base delle stime provvisorie del marzo 1991 (un censimento che gli albanesi della regione boicottarono) il loro numero aveva raggiunto i due milioni nel territorio della provincia. Nel frattempo il numero dei serbi era diminuito da 227.016 nel 1961 (il 18,4 per cento della p
opolazione complessiva della provincia) a 209.498 nel 1981 (il 13,2 per cento del totale). Dalle stesse cifre provvisorie del 1991 emerge che, in rapporto alla popolazione complessiva del Kosovo, i serbi erano scesi ben al di sotto del 10 per cento, mentre gli albanesi erano balzati oltre il 90 per cento. L'emigrazione dell'etnia serba da questa provincia sarebbe da imputare, secondo i serbi, a un presunto "terrore" instaurato a livello locale dagli albanesi per espellere tutti i serbi. Gli albanesi replicano che i serbi del Kosovo erano stati ben felici di andarsene da quella che era la regione più povera e con meno prospettive della Jugoslavia. Secondo osservatori imparziali questa seconda ipotesi sembra la più accreditata. Oggi la maggioranza albanese in Kosovo è sottoposta al dominio della minoranza serba, grazie alla repressione militare e poliziesca. La cultura, la lingua e le istituzioni albanesi sono messe al bando.
[fonte: Cristopher Cviic, "Rifare i Balcani", Il Mulino, Bologna 1993]