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Martino Antonio, Il Sole - 24 Ore - 4 febbraio 1995
I CAMBI RIGIDI NON FANNO EUROPA UNITA

di Antonio Martino

SOMMARIO: Il professore Martino, già ministro degli Esteri, attacca duramente la strategia di unione monetaria definita dal Trattato di Maastricht. Secondo lui, non si tratta che di un ennesimo tentativo di realizzare l'unificazione monetaria a partire da un meccanismo di controllo dei cambi. Strategia fallimentare secondo lui perché "O si fonda il sistema sulla moneta unica, e allora non si può avere l'autonomia di banche centrali diverse, oppure si lasciano queste libere di decidere discrezionalmente, e allora occorre rinunziare alla rigidità dei cambi. Tertium non datur". Il Trattato di Maastricht - ma di questo non parla il professore Martino - prevede, a differenza dello Sme e di altre precedenti esperienze di unificazione monetaria, la soppressione delle banche centrali nazionali e la creazione di una banca centrale europea ... (Il Sole - 24 Ore, sabato 4 febbraio 1995)

Com'è noto, la 'Teoria generale' di Keynes su chiude con l'affermazione che "le idee degli economisti e dei filosofi politici, così quelle giuste come quelle sbagliate, sono più potenti di quanto si ritenga comunemente". Anche ammesso che ciò sia vero, resta aperto il quesito se siano più longeve le idee giuste o quelle sbagliate. Lasciando ad altri la risposta, vorrei fornire un esempio di un'idea sbagliata che ha dimostrato una vitalità incredibile. Intendo riferirmi alla convinzione che si possa pervenire a una moneta comune per l'Europa soltanto gradualmente, attraverso un processo imperniato sul progressivo restringimento dei margini di fluttuazione dei tassi di cambio.

L'idea venne avanzata, fra gli altri da Robert Triffin nel 1970 e accolta con entusiasmo da Jean Monnet, entrambi convinti che l'instabilità prodotta da tassi di cambio flessibili fra i Paesi del Mercato comune avrebbe segnato la fine delle speranze di realizzare l'unione economica e monetaria e che, quindi, per pervenire a una moneta comune, fosse necessario adottare preliminarmente un meccanismo di cambi controllati. Siamo, quindi, in presenza di una tesi vecchia di un quarto di secolo e che continua a essere sostenuta con grande vigore da un gran numero di europeisti.

Nel commentare questa impostazione, in una lettera a Giovanni Malagodi che mi chiedeva un parere, sostenni argomentazioni che mi sembrano più vere oggi che allora (di cui ho dato conto in un articolo per 'Mondo Economico', scritto il 2 settembre 1992), e che val forse la pena ribadire. Perché se abbiamo squilibri di bilancia dei pagamenti, sostenevo allora, sono necessarie due condizioni: un cambio controllato e autorità monetarie indipendenti. Lo squilibrio, infatti, significa che domanda e offerta di divise estere sul mercato dei cambi sono eguali e che l'aggiustamento non può aver luogo attraverso variazioni del tasso di cambio. Una situazione del genere richiede che la banca centrale intervenga sul mercato e che al cambio venga impedito di variare.

Gli squilibri scompaiono se viene meno una delle due condizioni, se cioè si rinuncia o all'autonomia delle banche centrali, optando per una moneta unica, oppure alla rigidità di cambio, optando per un sistema di cambi flessibili. Nel linguaggio vagamente apodittico tipico dell'età, concludevo: "Pensare di aver un po' di cambi rigidi e un po' di autonomia delle banche centrali mi sembra contradditorio. O si fonda il sistema sulla moneta unica, e allora non si può avere l'autonomia di banche centrali diverse, oppure si lasciano queste libere di decidere discrezionalmente, e allora occorre rinunziare alla rigiditò dei cambi. Tertium non datur".

La tesi di Triffin venne, com'è noto, incorporata nel primo progetto di unificazione monetaria europea, il piano Werner del dicembre 1970. Quel tentativo falli miseramente nei primi mesi del 1971, anno in cui la stessa fine toccò al sistema dei cambi controllati di Bretton Woods e, in particolare, alla parità fissa del dollaro. Da allora a oggi, tutti i tentativi di unificazione monetaria europea sono stati basati sulla stessa impostazione: sono tutti miseramente falliti e per la stessa ragione. L'ultimo fallimento in ordine di tempo è stato rappresentato dal "terremoto valutario" del settembre 1992, che ha fatto saltare il meccanismo di cambio europeo e fatto perdere credibilità all'idea di unificazione monetaria.

Fra l'altro, la tesi che un sistema di cambi controllati sia destinato al fallimento è rafforzata da una considerazione che si aggiunge a quelle suesposte: quando il cambio è controllato, infatti, i rischi connessi alla speculazione sono minimi e i conseguenti movimenti speculativi finiscono col rendere inevitabili subito quelle variazioni della parità che sarebbero comunque, prima o poi, necessarie. Ne sa qualcosa la Banca d'Inghilterra che in un solo giorno, mercoledì 16 settembre 1992, vendette 21 miliardi di dollari nel vano tentativo di impedire la svalutazione della sterlina.

Dal momento che le transazioni in valuta ammontano a qualcosa come 1.000 miliardi di dollari al giorno, più delle riserve ufficiali di tutti i Paesi membri del fondo monetario internazionale, l'idea che sia possibile resistere a movimenti di quell'entità è semplicemente grottesca.

Malgrado ciò, chi si permette di revocare in dubbio la praticabilità della strategia di unificazione monetaria prevista dagli accordi di Maastricht, anch'essa imperniata sulla stessa ipotesi, viene colpito dall'indignazione degli eurobigotti e bollato come eretico e anti-europeista. Lo ripeto da 25 anni e non mi stancherò di ripeterlo: le possibilità che, attraverso un meccanismo di cambi controllati, si arrivi alla moneta unica europea sono una su un milione (a voler essere generosi). Come se non bastasse, il tentativo, nelle forme previste da Maastricht, avrà anche la conseguenza di dividere l'Europa in due gruppi di Paesi. Il fatto che spaccare l'Europa in due possa essere considerato prova di ortodossia europeistica costituisce una delle tante manifestazioni dell'insoddisfacente qualità del dibattito sull'argomento.

Quanto al lettore tentato di trovare conforto nelle tesi oggi prevalenti, che considerano gli accordi di Maastricht sacri e intoccabili, vorrei permettermi di ricordargli l'opinione di Voltaire: "E' stato detto che il consenso unanime di tutti gli uomini è una prova di verità. Quale prova! Tutti i popoli hanno creduto alla magia, all'astrologia, agli oracoli, agli influssi della luna. Sarebbe stato necessario dire almeno che il consenso di tutti i saggi era, non una prova, ma una specie di probabilità. E che probabilità! Non credevano tutti i saggi, prima di Copernico, che la terra fosse immobile al centro del mondo ?"

 
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