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Vecchi Luciano - 14 settembre 1994
MEP*MPE - Vecchi (PSE).

- Signor Presidente, è importante affermare - ciò che è lo scopo di questo dibattito - che i compiti dell'Unione europea e dell'intera comunità internazionale nei confronti della situazione nel Ruanda sono ancora molto grandi perché grande è ancora oggi la tragedia, grande la necessità di sostenere i milioni di persone rifugiate, sfollate o ridotte alla miseria più completa ed è altresì importante affermare che è necessario avviare quella ricostruzione del paese senza la quale difficilmente si potrà pensare ad una prospettiva per questo paese africano.

E' urgente e necessario intensificare l'aiuto d'emergenza, come giustamente chiediamo nella risoluzione, ma è anche indispensabile - e lo vorrei sottolineare - avviare l'opera di riabilitazione del paese. Nel caso del Ruanda, anzi, l'avvio della riabilitazione è la condizione stessa per affrontare l'emergenza, in particolare quella rappresentata dai milioni di persone che hanno abbandonato le loro case, i loro villaggi, le loro attività, e che devono trovare le motivazioni per ritornare, a cominciare dalla sicurezza personale ed economica nonché dal funzionamento dei servizi di base.

Tuttavia, questi interventi potranno essere efficaci soltanto se si comincerà ad affrontare i problemi politici che restano aperti. Occorre riconoscere il nuovo governo, esigere il rispetto dei diritti umani, avviare quella riconciliazione nazionale senza la quale non si potrà pensare ad un futuro per il Ruanda.

Allo stesso tempo occorre affermare il diritto alla giustizia punendo nel modo indicato anche dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, i responsabili del genocidio e dei massacri.

Ecco, allora, che l'Unione europea è chiamata oggi ad un compito molto importante: si tratta, innanzitutto, di evitare che ci si scordi del Ruanda in questo mondo in cui le tragedie internazionali spesso prendono corpo agli occhi dell'opinione pubblica nonché della politica internazionale, solo se sono sotto i riflettori delle televisioni.

Occorre sostenere, certo, il lavoro straordinario delle ONG e delle agenzie delle Nazioni Unite - per il quale non basteranno mai i nostri commossi ringraziamenti - ma bisogna anche sviluppare quelle azioni che solo i governi nazionali o le entità politiche sovranazionali, come l'Unione europea e le Nazioni Unite, possono fare: dal disarmo delle milizie al coordinamento degli aiuti, alla definizione di un credibile programma di ricostruzione del paese. Ma per fare ciò occorre che il ruolo dell'Unione europea non si limiti alla pure importante fornitura di aiuti; occorre che l'Unione sappia darsi quel profilo politico e strategico capace di affrontare situazioni complesse come quella del Ruanda e della regione circostante, che comportano il rischio di gravissimi conflitti nel Burundi e nello Zaire.

Si tratta anche, però, di trarre dalla tragedia del Ruanda quegli insegnamenti indispensabili per evitare che si moltiplichino le situazioni drammatiche che stanno colpendo ormai molti paesi africani.

Ordunque, bisogna dire che la prevenzione dei conflitti comincia dal non sostegno ai regimi antidemocratici; comincia dal blocco delle forniture di armi e di addestramento militare a forze armate che hanno una funzione repressiva nei confronti del proprio popolo; comincia dalla lotta alle discriminazioni etniche e religiose. In Ruanda, purtroppo, tutto ciò non fu fatto a tempo debito e oggi ne vediamo le conseguenze.

Occorrono, quindi, diplomazia preventiva, strumenti efficaci per affrontare le situazioni di emergenza, ma anche politiche coerenti di sviluppo sociale, economico e democratico. Questi sono i tre pilastri di quella che dovrà essere la nuova politica di cooperazione dell'Unione.

 
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