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Caligaris Luigi - 27 settembre 1994
MEP*MPE - Caligaris (FE).

- Signor Presidente, dopo 25 anni di conflittualità, nell'Irlanda del Nord sta avanzando, sia pure fra grandi difficoltà, un progetto di pace. E' il secondo segnale di speranza dopo quello del processo di pace in Medio Oriente, in un momento in cui tante parti del mondo sono straziate da insensate guerre civili, cui non si sa porre fine. L'offensiva di pace non è importante solo per l'Irlanda del Nord, ma in generale come stimolo di inversione globale di tendenza. Non solo come evento politico etico ma quale fonte di ammaestramenti per un nuovo ordine mondiale, dato che finora si è stati incapaci di affrontare e risolvere gravi situazioni di crisi e che tuttora ci si affanna con stratagemmi dettati da un pragmatismo confuso senza riconoscere la realtà delle crisi, la loro natura, la loro storia.

Perciò, pur plaudendo con tutti al processo di pace nell'Irlanda del Nord, dobbiamo tentare di capire il perché del conflitto, giacché siamo convinti che nessuna soluzione duratura di una crisi è possibile se non si rimuovono le cause stesse del conflitto, recenti e remote.

Nel caso dell'Irlanda del Nord, le radici del conflitto hanno tre secoli di storia, anche se, com'è naturale, oggi si ricordano solo le violenze degli ultimi venticinque anni. Quando le cause sono così remote e profonde, e questo avviene in altre parti del mondo, quando esse sono così radicate nella società, qualsiasi tentativo di rimuoverle con l'imposizione dall'alto fallisce; con una forzatura contingente si può conquistare una tregua, ma al riparo di questa tregua, la crisi continua, anzi spesso si esaspera.

Solo coinvolgendo responsabilmente la gente, solo rimuovendo le cause della crisi si possono eliminare le conflittualità, le divisioni che l'hanno prodotta e la tengono in vita. Ne consegue un altro ammaestramento analogo: la necessità cioè di non forzare con accorgimenti pratici dall'esterno una svolta, addirittura favorendo una delle parti in causa per creare contingenti equilibri, fino ad arrivare al punto di armare una delle parti. Quando ciò è avvenuto e quando si tende a favorire simile evoluzione, l'unico risultato è l'escalation della violenza collettiva e l'accentuazione della divisione fra le parti. La via più sicura, anche se più laboriosa e lenta, è convincerle che la conflittualità le penalizza separandole dalla comunità internazionale e dai benefici che essa può offrire. Questo peraltro è quanto ha contribuito a fare l'Europa influendo sulla percezione dei rispettivi interessi nazionali di Gran Bretagna e Irlanda, entrambe paesi membri dell'Unione europea, strumento vincente si è dimostrata qui

ndi l'influenza e non l'interferenza. Quanto agli interessi nazionali delle parti chiamate in causa, pur riconoscendone la legittimità, la loro revisione è all'origine di qualsiasi processo di pace, in un'aggiornata visione della storia si impone pertanto la necessità che essi non siano solo temperati da obblighi internazionali di convivenza ma che siano anche condivisi responsabilmente dalla gente, soggetto spesso ignorato nella passata definizione di interessi nazionali. Ciò esige che la chiave di lettura geopolitica, che è stata all'origine della loro definizione, sia posta a confronto e verifica con la volontà della gente, con la sua disponibilità a sostenerne i costi e i rischi. Oggi infatti è la gente in ultima analisi a determinare l'esito di ogni crisi, dando o sottraendo consenso a una tendenza, sostenendo oppure isolando chi coltiva violenza come forma di lotta.

Tre anni fa in una delle mie visite a Belfast, ebbi la precisa impressione che proprio la gente si preparasse a una svolta. Cioè che nel rifiuto della violenza crescesse il desiderio di una pace che assicurasse migliori condizioni di convivenza nel rispetto dei diritti civili e religiosi di entrambe le parti. Il merito dei governi di Gran Bretagna e Irlanda è stato quindi di fare tutto questo, di modificare cioè la percezione delle rispettive ragioni storiche e degli interessi nazionali, di coinvolgere direttamente la gente, di dar prova di determinazione e di coraggio sostenendo scelte inizialmente impopolari, acquisendo per esse un faticoso ma sempre più solido consenso. Il merito infine di evitare che un'escalation della violenza facesse più vittime e compromettesse il processo di pace. E qui viene il difficile punto dell'impiego della forza militare, che nella logica attuale è a volte demonizzato, altre volte richiesto a gran voce perfino dalle stesse fonti per compensare le lacune della politica.

A questo proposito, dopo i primi tempi di difficoltà, l'esercito britannico ha raccolto la sfida concentrandosi sulla capacità di dissuasione e di resistenza alle provocazioni, di reazione con il minimo grado di violenza, promuovendo la cooperazione con le autorità civili e religiose e proponendo la propria neutralità. Ha cioè commisurato il suo ruolo all'entità del problema militare ma anche e soprattutto alla complessa realtà sociopolitica dell'Irlanda del Nord. Le forze irlandesi per parte loro, hanno evitato di offrire santuario alle forze terroristiche.

Concluderei dicendo che mi auguro che questo Parlamento sappia trarre ammaestramento da quanto è avvenuto nell'Irlanda del Nord e da quanto sta avvenendo in Medio Oriente e che sappia farsi portatore di nuove positive tendenze e essere quindi di esempio ad altre parti del mondo.

 
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