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Florio Luigi Andrea - 28 settembre 1994
MEP*MPE - Florio (FE)

Signor Presidente, onorevoli colleghi, il recente documento presentato al parlamento tedesco dal gruppo CDU/CSU intitolato "Riflessioni sulla politica europea" ha ridato più che mai attualità al discorso sull'Europa a due velocità.

Va subito detto che il clamore che si è fatto intorno a tale documento è decisamente eccessivo, sia perché l'idea di un'Europa che si integra a ritmi differenziati non è affatto nuova - già il belga Spaak, agli albori dell'esperienza comunitaria, distingueva all'interno del mercato comune i paesi che vogliono andare più veloci e più lontano, e opinioni non dissimili ha espresso nello scorso mese di agosto il francese Balladur - sia perché il documento in questione, se letto con attenzione, si rivela alquanto diverso da come è stato sommariamente descritto da buona parte degli organi d'informazione europei. Infatti, la preoccupazione da cui parte lo studio del gruppo parlamentare CDU/CSU non può che essere condivisa da tutti gli autentici europeisti, la preoccupazione cioè di accelerare al massimo il processo d'integrazione europea onde evitare che la Germania riunificata sia tentata, in un'Europa non più divisa tra i due blocchi, di esercitare una nuova egemonia sulle rinate e deboli democrazie dell'Europa d

ell'Est.

Inoltre, l'obiettivo ripetutamente caldeggiato in tale documento è un'autentica e rapida integrazione economica e politica di tutti i paesi europei che passi attraverso la riforma delle istituzioni attuali e la trasformazione di questo Parlamento in un autentico organo legislativo.

Tuttavia, come europei e come europeisti della prima ora, ci pare che la soluzione prospettata nel documento, lungi dall'accelerare il processo di aggregazione, rischia di complicarlo, per non dire di comprometterlo in modo serio. Per fare un esempio di immediata comprensibilità è come se quattro anni orsono la Germania di Bonn avesse annunciato di voler dare il via all'unificazione tedesca soltanto con quei länder dell'Est economicamente più solidi e sviluppati. Sarebbe sembrata un'ipotesi credibile?

Veniamo dunque al dato economico. E' notizia dei giorni scorsi che la Commissione europea ha richiamato al rispetto dei parametri fissati dal Trattato di Maastricht ben dieci degli attuali dodici paesi dell'Unione. Di questi dieci paesi quattro sarebbero, ciò nonostante, destinati a dare vita al cosiddetto "nocciolo duro" previsto dallo studio della CDU/CSU pur figurando uno di questi quattro paesi addirittura al quarto posto nella lista nera dei paesi che non rispettano il rapporto indicato tra debito pubblico e prodotto interno lordo.

Queste sintetiche affermazioni evidenziano come virtù e vizi siano abbastanza equamente presenti all'interno dell'Unione. Riteniamo pertanto che l'Europa, per unirci davvero, abbia sicuramente bisogno di economie sane, ma che non si possa ridurre tutto a una questione, per quanto importantissima, di mera contabilità.

Se dunque le economie meno forti, tra le quali quella italiana, devono imporsi severe cure di risanamento, è altrettanto doveroso dire che un'integrazione economico-monetaria limitata ai cosiddetti paesi del "nocciolo duro" sarebbe cosa doversa da quella per cui si è finora lavorato.

Non può esistere un'Europa senza Berlino o Parigi, ma potrebbe chiamarsi Unione europea una realtà da cui siano escluse Roma, Londra o Atene?

(Applausi del gruppo FE)

 
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