Signor Presidente, la risoluzione comune conferma che non vi è divisione tra i grandi gruppi di questa Assemblea sulla politica di sviluppo istituzionale dell'Unione. E' un risultato importantissimo, viste le premesse. La politica istituzionale è, infatti, la dorsale di ogni altra politica, né può essere separata dai contenuti come fatto elitario. Ci possiamo dividere sulle politiche settoriali, non sulla politica istituzionale.
Il nostro documento non contiene perciò alcuna condanna all'ipotesi dolorosa, ma necessaria, dell'Europa a motore variabile - per adottare la terminologia di Ricard - e impedire che il ritardo di uno solo divenga il ritardo di tutti è, infatti, l'altra faccia dello sforzo che gli europeisti fanno per impedire che il dissenso di uno solo sia veto per l'azione di tutti gli altri. La condanna è, semmai, per l'Europa à la carte, ma questa è tutt'altra storia.
In questo modo, per una via imprevista, abbiamo, in realtà, iniziato il dibattito in vista della Conferenza del '96. E' un dibattito che non può essere ridotto a sezione dei nostri lavori perché esso è il filo conduttore che li congiunge tutti in una logica complessiva.
Il documento della CDU ha, certo, gravi difetti di omissione, come ad esempio sul piano Delors e sulla politica di coesione sociale, ma malgrado certe frettolose e miopi proteste, come quella dell'attuale governo italiano, già s'iscrive culturalmente tra i documenti rilevanti sull'integrazione europea. Per dimostrare questa qualità basterebbe, paradossalmente, l'intervento più radicalmente critico di questo dibattito, quello del mio amico e collega Biagio Di Giovanni.