Signor Presidente, onorevoli colleghi, io credo che il giudizio essenziale che si deve dare sulla Conferenza del Cairo è che essa è stata il segno di una solidarietà e di una fratellanza fra tutti i popoli della terra destinato a diventare sempre più forte, sempre più vivo.
Il futuro è di tutti. Nessun paese, nessuno Stato è un'isola. In questo contesto il Parlamento europeo ha potuto esser presente con una sua, pur esigua, rappresentanza per portare una voce che aveva già trovato in quest'Aula una formulazione finale nella risoluzione dell'11 marzo scorso e che noi abbiamo cercato di rappresentare in quella sede.
In quel documento si trovava soprattutto l'affermazione che lo sviluppo dei popoli poveri non può essere garantito soltanto, né primariamente, dalle politiche demografiche. Una prospettiva che si limitasse a chiedere ai popoli poveri di non fare figli avrebbe tutto il sapore di una prospettiva di paura dei popoli poveri e non l'espressione di desiderio di solidarietà. Basti pensare che nella nostra Europa, dove la densità della popolazione per chilometro quadrato si trova ai vertici della scala mondiale, abbiamo fatto leggi per corrispondere denaro a chi non - dico "non" - coltiva le terre: il che significa che abbiamo un'eccedenza agroalimentare nonostante la quantità notevole della popolazione. Ciò significa che i mezzi tecnici a nostra disposizione ci consentono di essere solidali verso i più poveri non chiedendo soltanto, anche se a questi dobbiamo chiederlo, di fare meno figli.
Sotto questo profilo, a me pare che le critiche che sono state rivolte al Vaticano siano ingiuste perché il documento iniziale conteneva più di 80 pagine destinate al problema del controllo della popolazione e solo 6 pagine destinate alla collaborazione economico-sociale con i paesi poveri. Perciò il mio gruppo non potrebbe approvare una risoluzione che accettasse alcuni emendamenti proposti sul testo di compromesso il quale movesse critiche ingiuste alla Chiesa cattolica.
Ciò che è in gioco è il concetto stesso di sviluppo. Noi pensiamo che esso implichi il riconoscimento e la promozione dei diritti dell'uomo. Siamo perciò pienamente soddisfatti che sia stato attribuito alla donna un ruolo centrale; riconosciamo e crediamo che la forza dello sviluppo dei popoli è certamente il contributo essenziale della donna ed è in questo contesto che la libertà da attribuire alle famiglie, al di fuori di ogni coercizione di pianificare le nascite e di decidere il numero e la distanza delle nascite, è cosa, a nostro giudizio, essenziale. La decisione, certo, spetta alla donna ma è da invocare anche la responsabilità dell'uomo, del genitore. Siamo pertanto d'accordo sulla necessità di un'educazione alla paternità e alla maternità responsabili in senso ampio, comprensiva, cioè, non soltanto della conoscenza di tutti gli strumenti - artificiali e naturali - per controllare i concepimenti, ma intesa anche come educazione a riconoscere i valori che sono iscritti nella femminilità e nella mascol
inità, cioè a dire i valori dell'amore, della vita, della famiglia.
Sulla questione dell'aborto vorrei che in questa sede noi fossimo capaci, onorevoli colleghi e signor Presidente, di dire una parola unitaria. Vorrei che riuscissimo almeno a dire, una volta tanto, che, comunque, la nascita è preferibile all'aborto; vorrei che riuscissimo a dire che dovremo fare tutto il possibile - quale che sia il contenuto delle leggi e rinunciando allo strumento penale - per evitare l'aborto. E' il problema del concepimento che è in questione, e noi saremo soddisfatti se nel documento finale verrà scritto che questo desiderio di prevenzione può esplicarsi sia prima che dopo il concepimento. Tale problema non è comprensivo soltanto della contraccezione ma anche di tutti gli strumenti di solidarietà socio-economica affinché la libertà della donna sia veramente piena, e sia libertà di accogliere la vita.
E' in questo senso che io auspico un documento finale in cui, mettendo da parte antiche polemiche, riuscissimo ad esprimere almeno questo minimo comun denominatore.