Signor Presidente, onorevoli colleghi, quasi tutti abbiamo espresso il nostro compiacimento per le conclusioni della Conferenza del Cairo, salvo alcune polemiche, molto artificiose e molto italiane, contro il Vaticano, polemiche che hanno intenzionalmente dimenticato quale fosse il testo dell'originale progetto del piano d'azione della Conferenza.
Ma il problema nostro è un altro. E' quello di tradurre in scelte concrete le conclusioni di questa Conferenza. A me pare importante la comune consapevolezza dell'interdipendenza tra problemi della povertà, della demografia e dello sviluppo. Vi è pure l'esigenza di acquisire la consapevolezza di un'altra interdipendenza: quella tra lo sviluppo dei paesi industrializzati e lo sviluppo dei paesi non industrializzati. Ce lo ricorda drammaticamente la cronaca di tutti i giorni, le epidemie, dal colera alla peste, le grandi trasmigrazioni delle popolazioni, le guerre, le devastazioni ambientali. Ciò che accade in un angolo della terra coinvolge ogni altra parte del pianeta. Da qui la necessità di interrogarci e di lavorare sulla qualità dei nostri stessi modelli di sviluppo, proposta in questa sede non più tardi di 15 giorni fa dal Presidente della Commissione Delors. E' posto in discussione il significato stesso della politica, la politica ha senso solo se riesce a pensare il futuro, se riesce ad organizzare il
futuro. Recuperare il senso fondamentale della funzione politica è compito cui l'Europa, per la sua storia, può dare un contributo fondamentale.
Dobbiamo cioè cambiare mentalità, modificare i nostri atteggiamenti, non più un atteggiamento di difesa, ma un atteggiamento di promozione. Ci siamo infatti abituati a difenderci da tutto, perché il futuro ci spaventa. Ci difendiamo dagli immigrati, ci difendiamo dai prodotti dell'agricoltura dei paesi in via di sviluppo, siano le banane, gli agrumi o i cereali. Ci difendiamo dai prodotti industriali di questi paesi, perché prodotti a basso costo di manodopera, e con la stessa mentalità qualcuno vorrebbe che ci difendessimo da quanti vengono al mondo. Dobbiamo allora capire che è più giusto e, per noi paesi industrializzati, persino più conveniente, aiutare questi popoli a promuoversi; una politica di cooperazione nel settore dell'istruzione, dello sviluppo industriale compatibile, indurrà una politica demografica più contenuta e soprattutto più libera e consapevole. E qui il ruolo della donna è davvero straordinario. Le politiche di cooperazione diverranno in questo modo parte importante e integrante non so
lo della nostra politica estera ma anche della nostra stessa politica interna. In questa prospettiva l'Europa potrà svolgere un ruolo determinante, più di ogni altro paese industrializzato, solo che abbia la forza, l'Europa, di guardare alla propria storia, alle proprie radici, ai valori della propria origine, quando sulle mappe l'Europa non si chiamava ancora così, ma era indicata con il nome di una civiltà, Christianitas.
(Applausi)