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Pannella Marco - 24 gennaio 1993
Perché non serve una mezza riforma
Opinione di Marco Pannella

SOMMARIO: Gli italiani non sono in rivolta contro questo o quell'aspetto della nostra Costituzione, sono in rivolta, a torto o a ragione, anzitutto contro questi partiti.

(PANORAMA, 24 gennaio 1993)

Siedo nella Commissione Bicamerale del Parlamento italiano assieme ad altri 59 cittadini-parlamentari della Repubblica. Sono quattro mesi che lavoriamo. Ma gli unici dibattiti appassionati, seguiti dalla stampa, sono quelli che riguardano le leggi elettorali. Se si eccettua Umberto Bossi, lì predico nel deserto a favore di una riforma, quella americana, che comporterebbe la immediata chiusura del regime dei partiti, quale è vissuto dal 1945, per passare a un sistema di due o tre partiti, come negli USA. Tutti gli attuali partiti, insomma, serenamente porrebbero la parola "fine" alla loro storia. Ed è proprio questo che Lor Partiti non vogliono.

"Doppio Turno" alla francese, dice il Pds. Sistema misto, la Dc. Il sistema "misto" è indubbiamente corrispondente alla richiesta referendaria. ma questa richiesta - vecchia di tre anni - costituiva l'unica carta che potevano tecnicamente giocare a causa dei trabocchetti posti dalla Corte costituzionale sul cammino referendario. Allora, forse, sarebbe stata sufficiente. Non lo è più oggi, quando il Paese ha sopravanzato d'un balzo i miei amici referendari e chiede una riforma radicale del regime. Quando ha la civiltà di chiedere anzichè la barbarie e la miseria di voler solamente distruggere, sospinto da vecchi e nuovi sciagurati demagoghi, sottoprodotti e derivati - non certo alternativa - della partitocrazia.

Ma va dato atto alla Dc di avere compiuto in questa direzione un passo politico deciso nei confronti di quanto abbiamo chiesto con i referendum "Segni". L'opposizione della Dc al doppio turno, del quale da un decennio pavento gli equivoci, si confronta con la politica del Pds che si è messo alla testa dello schieramento "francese".

Nell'uno e nell'altro caso si va in direzione opposta al sistema americano, alla evoluzione bipartitica del sistema, per fondarlo sulla persona e sul territorio anzichè sulla fazione, sul partito.

Con il sistema misto partiti minori e minimi saranno di fatto annientati, si salveranno i grossi. E' auspicabile, ragionevole? Peggio ancora con il doppio turno: tutti gli attuali partiti, più altrui, continueranno ad esistere; i minori e i minimi non scompariranno solamente se pagano anche qui il prezzo della subalternanza. Ma quel che più importa è altro. Specie con il doppio turno, tutti gli attuali partiti, nessuno escluso, dovranno fare i conti con la lacerante angoscia delle loro percentuali nel voto elettorale. saremo a un ultimo atto del vecchio regime, non al primo del nuovo.

I partiti giocano la carta del terrore con i loro parlamentari. Chi di loro sarebbe mai rieletto, con un tale sconvolgimento di carte? Rispondo: proprio gran parte di loro, ma in condizioni migliori e assolutamente diverse. Innanzitutto con un sistema anglosassone dovremmo non ridurre (ma semmai aumentare) l'attuale numero di parlamentari: le circoscrizioni dovrebbero essere piccole, per garantire un rapporto umano, diretto, di profonda conoscenza, fra eletto ed elettori. Diciamo: un eletto ogni 60 mila elettori. In secondo luogo, in questo sistema, gran parte degli eligendi si troverà all'interno di quelle pochissime migliaia di notabili attendibili agli occhi dei loro concittadini, per avere già dato prova delle loro capacità personali. Ma da quel momento, essi saranno politici necessariamente responsabili in proprio di quel che faranno, o non faranno. In alternativa, avremo non più esagitati demagoghi ma i più affidabili fra i portatori di alternative di radicali riforme.

La spinta alla unità della destra e della sinistra sarà fortissima, così come in questo sistema la divisione e la fazione sono resi quasi naturali e vincenti.

Certo, v'è una parte di salto nel buio nella adozione da parte nostra di questo modello, dopo che nel corso di un secolo abbiamo sperimentato prima l'uninominale a due turni, poi il monopartitismo, poi il proporzionalismo partitocratico. Ma una vera riforma istituzionale non è mai tale se non comporta, appunto, il rischio ragionevole di inconvenienti, di eventi non previsti.

L'alternativa che abbiamo dinanzi non è un rischio, ma un disastro, una caduta incontrollabile. Se a delle elezioni gli elettori si troveranno dinanzi agli stessi simboli, coalizioni, apparati, perchè mai dovranno pensare che sarà possibile il meglio, e non il peggio, di quel che il sistema ora ha prodotto e produce? Gli italiani non sono in rivolta contro questo o quell'aspetto della nostra Costituzione. Sono in rivolta, a torto o a ragione, innanzitutto contro questi partiti, anche se un paio di persone su dieci sembrano rendere meno responsabili i meno esposti alle responsabilità formali della situazione: Pds, Msi, Rifondazione, Rete, oltre a verdi, Leghe e Lista Pannella.

Perchè vivano la politica e la democrazia, occorre che i partiti cedano il campo ad altri partiti, a partiti altri. Che questo non comprendano, fino a lottare accanitamente, nella commissioni Bicamerale, nel Palazzo, per giungere fino ai loro piazzale Loreto, alla decretazione della loro scomparsa e sconfitta storica, è la riprova della loro inadeguatezza. Se questo nemmeno comprendono come potrebbero mai governare questo nostro tempo, questa nostra società, in così tragico momento e condizioni?

Come affrontare il dramma della bancarotta fraudolenta, dei 2 milioni di miliardi di debito? Della disoccupazione fatalmente, necessariamente, inevitabilmente dilagante? Delle Bosnie, e delle Somalie, della ascesa al potere della criminalità organizzata grazie al proibizionismo, a questa nuova follia dell'impotenza, e dell'illusione autoritaria? Del processo di autodistruzione dell'Europa, e dalla immane catastrofe ecologica che si continua a preparare, quasi scientificamente, nel mondo, e nel nostro territorio?

Armati di nonviolenza e di saggezza, di tolleranza e di umiltà, forse è possibile sperare. Spes contra spem.

Essere speranza, anche non avendone.

 
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