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Orlando Federico, Pannella Marco - 19 maggio 1993
»Ecco la De Benedetti connection
Intervista al leader radicale, che organizzerà un convegno sui "perbenisti a senso unico amici dell'industriale di Ivrea"

Pannella: imprenditori, giornalisti e partiti, è il caso politico più grande di Tangentopoli

di Federico Orlando

SOMMARIO: Dopo aver annunciato di voler organizzare un convegno dedicato »al gruppo Caracciolo, a Scalfari, a perbenisti a senso unico e altri, amici di De Benedetti , Marco Pannella denuncia l'impudicizia dell'imprenditore e dei giornalisti che lo giustificano come un "estorto". »E' il vizio di sempre: le malefatte di sinistra hanno un alone di giustificabilità. C'è sempre in quelle malefatte una "diversità". La stessa "diversità" che rivendica il Pds . La vicenda delle tangenti pagate da De Benedetti rappresenta il più grande caso politico nella storia di Tangentopoli »perché coinvolge non il solo politico, o l'industriale o il giornalista, ma tutt'insieme imprenditori, giornalisti e politici, tutti indispensabili per realizzare e nascondere il malfatto .

(IL GIORNALE, 19 maggio 1993)

D. Marco, ti sembra credibile che il capitalismo italiano si sia trovato, in questi decenni, nella condizione di subire il racket dei partiti, le loro estorsioni e i loro diktat, senza nessuna possibilità di farlo sapere al Paese, di difendersi e difendere la pulizia e la democrazia?

R. Su questa domanda - promette Marco Pannella - proprio su questa tua domanda intendo organizzare un convegno entro la settimana prossima.

D. Proprio come avrebbe fatto negli anni Cinquanta e Sessanta il tuo maestro Ernesto Rossi, quando colpiva con la frusta liberal-radicale le ribalderie di affaristi, mandarini e giornali di regime.

R. Sì, e anch'io come Ernesto Rossi non voglio fare un convegno generico, ma voglio dedicarlo al gruppo Caracciolo, a Scalfari, a perbenisti a senso unico e altri, amici di De Benedetti.

D. Ma De Benedetti s'è difeso come avrebbe fatto ogni altro imprenditore: ho pagato - ha detto - per non compromettere l'azienda e il lavoro dei miei dipendenti.

R. E io resto trasecolato per questa impudicizia dell'imprenditore e dei giornalisti che lo giustificano, dopo avere sparato sugli altri. Capisco che De Benedetti si difenda come può, ma i suoi giornali non hanno il diritto di presentarlo come un "estorto", a più di un anno dall'inizio dell'inchiesta "Mani pulite". E' il vizio di sempre: le malefatte di sinistra hanno un alone di giustificabilità. C'è sempre in quelle malefatte una "diversità". La stessa "diversità" che rivendica il Pds.

D. Tu invece non puoi sperare in qualche diversità...

R. Io? La mia diversità opera all'incontrario. Io sono andato in prima pagina sui giornali di De Benedetti, denunciato come un pericolo per la Repubblica. Poi quell'editore, o azionista di riferimento, quando si è trovato di fronte a un tentativo di crimine, appunto l'estorsione di miliardi che i partiti gli avrebbero imposto, invece di andare dai carabinieri a denunciarlo e telefonare al direttore del suo giornale, se ne sta zitto e buono. E paga.

D. Parli così per desiderio di rivincita?

R. Rivincita? Mentre facevano contro la democrazia e la legalità le cose che oggi ammettono, questi personaggi mi davano del dannunziano, mi accusavano di antiparlamentarismo perché facevo eleggere Cicciolina, e oggi mi accusano di volere, insieme con Cossiga e Amato (ci chiamano il Pac) riciclare gli inquisiti. Insomma, pensano che l'Italia sia fatta di imbecilli corrotti, pronti a dar credito a corrotti furbi.

D. L'autodifesa di De Benedetti e la linea dei suoi amici giornalisti ti sembrano dunque un caso politico?

R. Questo è il più grande caso politico nella storia di Tangentopoli, perché coinvolge non il solo politico, o l'industriale o il giornalista, ma tutt'insieme imprenditori, giornalisti e politici, tutti indispensabili per realizzare e nascondere il malfatto. Questo grave evento nasce nell'area editoriale-imprenditoriale degli intellettuali senza macchia - come si autopresentano - che hanno fatto la morale a tutti e pretendono di continuare a farla.

D. Ripeto: non credi che questo "grave evento", almeno dal punto di vista dell'imprenditore, trovi una spiegazione nella necessità di far lavorare i dipendenti?

R. Queste cose le si potevano dire trent'anni fa. Oggi un imprenditore serio se ne vergogna. Anche perché, chi crede nel mercato, non solo non può ricorrere a certi mezzi, ma nemmeno a questi argomenti. Noi che crediamo nel mercato, sappiamo anche che ricorrere a questi mezzi è un modo sicuro di mandare le imprese a p. e di favorire i cattivi imprenditori a danno dei buoni. Ma soprattutto sappiamo e abbiamo denunciato che questa connection politici-potentati-giornali rendeva fittizia la legalità repubblicana e falsava le regole del governo democratico".

D. Insomma, come nel protezionismo al tempo del Regno d'Italia, come nell'autarchia del fascismo: la grande industria colonna portante del sistema?

R. Ci sono intere biblioteche che lo dimostrano, da Rosario Romeo a Ernesto Rossi. Questi signori di oggi, però, non sono gli eredi dei grandi industriali opportunisti del Regno e del fascismo, ne sono i tristi epigoni".

D. Mi sembrano polemiche da anni Cinquanta.

R. Perché non è cambiato niente. Tutto ciò che lamentiamo, dal pansindacalismo di ieri alla successiva partitocrazia, è figlio della collusione fra Stato e imprenditori opportunisti".

D. E perché giornali e giornalisti del gruppo usano argomenti che, secondo quello che dici, sarebbero non solo indecorosi ma anche suicidi?

R. Perché la loro strategia è stata quella di porsi come riserva del regime, da una parte promuovendone la corruzione e dall'altra denunciandola per colpire altri e favorire se stessi, la propria successione, fino a chiedere il "commissariamento della Repubblica" contro Cossiga candidandosi a commissari. Questo e nient'altro era il governo dei capaci e degli onesti, che propugnavano. Non era l'alternativa alla partitocrazia, loro da una parte, gli altri dall'altra. Solo noi eravamo fuori della partitocrazia, eravamo alternativi all'una e all'altra parte della classe partitocratica, e perciò siamo arrivati fino a oggi, sempre esclusi da loro, ma sempre forti delle nostre mani libere.

D. Per gli intellettuali è l'ennesima disfatta.

R. Solo per chi ha preteso di rappresentare l'intelligenza e ora usa argomenti da analfabetismo di ritorno.

D. Tutti compromessi: politici, imprenditori, giornalisti. Nessuna speranza per questo Paese?

R. Molte speranze. Una volta, dopo 40 giorni di digiuno, chiesi al presidente Agnelli la simbolica lira, a risarcimento degli illeciti aiuti dati dalla Confindustria ai partiti. Ne fu commosso e voleva compiere quel gesto, ma gliel'impedirono. Oggi non avrebbero potuto impedirglielo. Le cose stanno cambiando. Possiamo sperare.

 
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