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Grassi Pina - 25 novembre 1993
Autoconvocati: magari ci fossero ancora
di Pina Maisano Grassi

Senatrice eletta nelle Liste Verdi, iscritta al Partito radicale

SOMMARIO: Ricorda che quando ricevette la lettera di Marco Pannella, che convocava "tutti" i parlamentari "alle sette di mattina", pensò che quello fosse "l'orario giusto" per chi come lei lavora "dalle otto e mezza fino a sera". Si è molto indignata per i resoconti della stampa. Le sono poi molto piaciuti il clima e la qualità del dibattito di quelle riunioni né, partecipandovi, si è mai posta il problema se il suo vicino "fosse o no un inquisito". E' convinta che il parlamento sia non "ostaggio" degli inquisiti, ma anzi sia "pienamente legittimo". Da radicale e "garantista" ha scelto di partecipare per far sì "che quello che è già accaduto non si ripetra più". Sarebbe felissima se quelle riunioni "ricominciassero daccapo".

(1994 - IL QUOTIDIANO RADICALE, 25 novembre 1993)

Quando ho ricevuto la lettera di Marco Pannella, che convocava tutti gli eletti alla camera e al Senato a una riunione delle sette di mattina, ho pensato che fosse l'orario giusto per chi - come me - lavora dalle otto e mezza fino a sera. Non ho potuto partecipare alla prima riunione degli "autoconvocati" perché ero in Sicilia, ma gli articoli che uscirono sui diversi giornali mi indignarono. Essi titolavano: "Gli inquisiti delle sette" o "I forzati del Parlamento", e descrivevano queste riunioni come un luogo dove si cospirava per salvare i deputati già raggiunti dalle comunicazioni giudiziarie.

Andai alle riunioni successive e mi piacque il clima che si respirava e il livello del dibattito, che era alto e interessante. Si discuteva del ruolo del parlamentare e della funzione delle istituzioni con una libertà e una responsabilità nuove: con il sentimento, cioè, che fossimo ormai separati dai Partiti di appartenenza e che rispondessimo solo di noi e del nostro operato.

Nonostante le critiche sui giornali, io non mi sono posta il problema se quello che avevo dinnanzi a me fosse o no un inquisito e, se lo era, perché stessi con lui nella stessa stanza. Ho partecipato a quegli incontri perché convinta che il Parlamento non sia ostaggio degli inquisiti, ma sia pienamente legittimo. Cosa voglio dire? Che esso è nel pieno delle sue funzioni, che sta lavorando sodo come non accadeva da anni. Ma che dico? Da decenni.

Inoltre, se questo Parlamento non è legittimo, quelli delle legislature precedenti, dove sostanzialmente c'erano gli stessi eletti a non fare nulla, cosa erano? Eppure, in passato nessuno ha mai aperto bocca. E' del tutto evidente l'ipocrisia, la demagogia...

A me, moglie di un imprenditore siciliano ammazzato dalla mafia per essersi ribellato al racket del pizzo, sarebbe convenuto cavalcare un facile populismo, mostrandomi scandalizzata per la presenza di inquisiti alle riunioni degli autoconvocati. Avrei fatto un figurone non andandoci.

Ma io sono radicale e sono una garantista: non credo nel giustizialismo né nella vendetta, e non ho provato questo sentimento neanche di fronte al senatore Andreotti, tanto coinvolto in vicende che mi riguardano personalmente.

Credo invece, che alla mia età - ho sessantacinque anni e sono alla mia prima esperienza istituzionale - sia importante agire perché ciò che è già accaduto non si ripeta più. Per questo mi impegno fino in fondo nelle Commissioni Industria e Lavori pubblici, a fianco anche di eletti sul cui capo pendono avvisi di garanzia. Perché da un male nasca il bene.

Mi è dispiaciuto che le riunioni delle sette non si facessero più e sarei felicissima se ricominciassero daccapo: di sicuro continuerei ad andarci.

 
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