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Taradash Marco - 18 febbraio 1994
"Perché io radicale non starò con la sinistra
di Marco Taradash

SOMMARIO: Taradash racconta e spiega, in prima persona, le ragioni per cui è candidato in Lombardia, sotto le insegne dei Riformatori pannelliani, nelle liste di Forza Italia. Perché non è con i progressisti, le sinistre? "I conservatori di ogni etnia politica ragionano proprio così". Tutti affermano che non si può essere antiproibizionisti se non si è di sinistra. Come rispondere? E' semplice: in Italia oggi lo scontro non è tra "destra e sinistra", ma tra partitocrazia consociativa e chi non la vuole. L'Italia deve scrollarsi di dosso la "melma" consociativistica, per entrare nella "democrazia liberale" con istituzioni adeguate. E questo non si può fare con i "progreessisti", che oggi controllano "tutti i poteri forti e irresponsabili".

(L'INDIPENDENTE, 18 febbraio 1994)

Eccomi qui, radicale, antiproibizionista, libertario e liberale, candidato in un collegio lombardo (il numero 31, che comprende le città di San Donato, San Giuliano e Melegnano). Un collegio difficile, roccaforte dei "progressisti", contro i quali mi batterò.

Candidato di chi? Dei Riformatori, il nuovo marchio partorito - soltanto per i collegi uninominali - dall'inesauribile Marco Pannella (altro che metodo Antinori!), e offerto da Marco a tutti coloro che vogliono battersi anche per qualcosa e non soltanto contro qualcosa o qualcuno; per questo, o nonostante questo, il simbolo dei Riformatori è stato rifiutato da Alleanza democratica e da tutti gli altri.

Candidato con chi? con demonio Berlusconi e barbaro Bossi. Mica vero? Vero. In altre zone della Lombardia e del Veneto gareggiano, sotto gli stessi vessilli, alcuni altri miei compagni famosi (come Emma Bonino o Peppino Calderisi, "mister referendum"). Siamo in quota "Forza Italia", per essere precisi, e questo è accaduto perché Silvio Berlusconi ha accolto l'invito alla collaborazione rivoltogli da Pannella e ha rinunciato a presentare i suoi candidati in sette collegi del Nord.

Qualcuno, abituato alle cose scontate, storcerà il naso: voi radicali - dirà - siete di sinistra, e quindi dovete stare con la sinistra, nel bene e nel male. I conservatori di ogni etnia politica ragionano proprio così. Me lo hanno ripetuto, a viva voce o sui giornali, tanti miei amici e compagni di lotte civili, come Luigi Manconi o Michele Serra. A me questo ragionamento non è mai piaciuto: per non so quanti anni, quando ero ragazzo, mi hanno bombardato la testa gridando che non si poteva essere di sinistra se non si era marxisti, ed io amavo appassionatamente Karl Popper, il più antimarxista dei filosofi contemporanei. E poi ci ingiungevano, a noi radicali, di diventare filopalestinesi, se volevamo considerarci di sinistra, e di ripudiare lo Stato di Israele e il suo diritto di vivere in pace e sicurezza (Massimo D'Alema mi confidò un giorno la sua convinzione che Pannella e tutti noi fossimo agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano). Oggi mi spiegano che non si può essere antiproibizionisti, e t

anto meno leader degli antiproibizionisti, se non si è di sinistra, vale a dire se non ci si aggrega alla compagnia di Occhetto, Cossutta e Orlando.

Come rispondo? Molto semplicemente. Oggi lo scontro in Italia non è fra destra e sinistra, fra conservatori e progressisti, come in Francia, negli Stati Uniti o in Inghilterra. Rappresentare così le forze in campo vuol dire recitare la parodia della politica, non fare lotta politica. La strada verso Parigi, Washington e Londra è molto molto lunga, e noi siamo oggi più vicini a Mosca o Belgrado di quanto non si pensi. Ecco perché l'imperativo categorico di queste elezioni è di creare la frattura più netta possibile, e possibilmente incolmabile, con l'Italia partitocratica, statalista, clientelare, corporativa degli ultimi vent'anni. Con l'Italia consociativa Dc-Pci-Psi, per essere più chiari.

Ecco il punto: il nostro Paese deve scrollarsi di dosso la melma del regime consociativo, causa prima della corruzione politica, deve inoltrarsi nella democrazia liberale armata di istituzioni adeguate, federaliste e presidenzialiste, deve scoprire le regole dure ma eque del mercato recidendo i legami incestuosi fra Stato e privato, deve liquidare la nomenclatura sindacale, deve strappare la Rai ai capibastone di partito e restituirla ai cittadini, deve consegnare l'amministrazione della giustizia a magistrati indipendenti e responsabili soltanto di fronte alla legge, non alla "corrente".

E' possibile fare questo con i "progressisti"? Io sono convinto di no. Vedo infatti che - in una deriva inarrestabile che è segno di una contiguità culturale più forte di ogni differenza politica - tutti i poteri forti e irresponsabili dell'Italia partitocratica (dalla Rai, a Mediobanca, che è il centro occulto del potere finanziario, alla magistratura, alla grande stampa padronale) tutti convergono oggi - dopo averci un po' provato con Segni, quando occhieggiava a sinistra - verso il cartello cosiddetto progressista.

Io non ci sto. Per questo, e anche per creare un argine alla marea montante dello statalismo di destra, impersonato da Fini e da Alleanza nazionale, mi sono candidato sotto quelle bandiere. Fermo restando che il mio primo impegno è di aiutare le Liste Pannella, che si presentano da sole e contro tutti nella parte proporzionale, a strappare quel 4 per cento dei voti necessari per garantire l'esistenza di un gruppo politico che si è sempre contraddistinto per onestà e rigore morale, il rispetto assoluto delle garanzie giudiziarie, la passione per i diritti civili e le libertà individuali. Virtù non esclusive, è vero, ma che da nessun'altra parte si ritrovano tutte quante insieme, e in vigore tutti i giorni dell'anno, e non soltanto nei dì di festa.

 
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