di Paolo ArmaroliSOMMARIO: Presa di posizione in merito all'attesa decisione della Consulta sui referendum promossi da Marco Pannella. Si osserva con perplessità le fughe di notizie sulla presunta (o presumibile) decisione della Corte, e si ironizza sull'influenza che impedirebbe a Scalfaro di portare a termine le sue consultazioni prima della pronuncia. Si esaminano poi le ipotesi sull'accavallarsi dei tempi e delle norme elettorali, in caso che i referendum elettorali vengano ammessi.
(Il Resto del Carlino, 11 gennaio 1995)
Lunedì, niente. Martedì, nemmeno. Passano i giorni e la Corte costituzionale, impegnata a esaminare l'ammissibilità dei sedici referendum abrogativi, non dà segni di vita. Può accampare eccellenti ragioni, intendiamoci. Sedici referendum sono tanti, e bisogna dare tempo al tempo. E poi in precedenza la Consulta mai aveva comunicato i suoi verdetti a spizzichi e bocconi in quanto, in casi del genere, tutto si tiene. Perciò la fretta potrebbe comportare il rischio di dar vita, a babbo morto, a una giurisprudenza abborracciata.
Per dirla tutta, insomma, la Consulta teme che l'anticipazione del suo verdetto possa interferire - influenzandola in qualche modo - sulla soluzione della crisi ministeriale. E questo, sia chiaro, le fa onore. Tuttavia, così facendo, il nostro tribunale delle leggi pecca un po' di ingenuità. Siamo un Paese così poco serio e irrispettoso di delle istituzioni che un bello spirito ha avuto la pensata di promuovere un sondaggio al fine di appurare se la gente davvero credesse all'attacco influenzale di Scalfaro o non ritenersi invece trattarsi di una indisposizione diplomatica. E' vero che un provvidenziale svenimento di De Gasperi scongiurò nel dicembre 1945 una dissociazione dei liberali dal governo. Ma un conto è confidare nell'intervento della Divina Provvidenza, altro è il semplice sospetto che al Quirinale vengano recitate le sceneggiate degne di un Mario Merola. Se non si vuole imbarbarire la lotta politica occorre che tutti abbiano un minimo di rispetto per le istituzioni e gli uomini che le incarnano. F
atto sta che grazie alla malattia, Scalfaro ha potuto prender tempo. Ristabilitosi prontamente, ha fatto poi slittare le consultazioni al Quirinale da lunedì a martedì. E una volta esaurito il secondo giro, non è escluso che si prenda una pausa di riflessione prima di calare giù la carta dell'incarico. Allora non è irragionevole supporre che il Quirinale attenda lumi dalla Consulta, all'insegna del motto einaudiano del conoscere per deliberare.
Tuttavia, al punto in cui sono giunte le cose, c'è poco da farsi illusioni. Anche all'ipotesi che la corte dichiarasse ammissibili i referendum di Pannella, con ogni probabilità le elezioni anticipate non si allontanerebbero di molto. Difatti non è un capriccio antireferendario la norma prevista dall'articolo 34 della legge di attuazione dei referendum del 1970, secondo la quale nel caso di anticipato scioglimento delle Camere i referendum già indetti slittano di uno se non addirittura di due anni, come accadde per il referendum sul divorzio. No, la "ratio" della disposizione è chiarissima. Lo scopo è quello di impedire una sovrapposizione di indirizzi particolari, rappresentati dai referendum, all'indirizzo politico generale, dettato invece dai cittadini in occasione delle elezioni politiche.
Certo, i promotori dei referendum ammessi dalla Consulta farebbero a questo punto fuoco e fiamme per sollecitare lo svolgimento dei referendum ad aprile e lo slittamento delle eventuali elezioni anticipate a giugno. La cosa sarebbe tecnicamente possibile. L'unico inconveniente, per i referendum di Pannella, è questo. Nell'ipotesi che essi superino la prova popolare, avremmo sì un sistema elettorale all'inglese, ossia maggioritario a turno unico. Ma siccome andrebbero ridisegnati i collegi elettorali, a giugno le elezioni politiche si svolgerebbero ancora con il Mattarellum, cioè con le vecchie regole del gioco.
Ma una volta ridisegnati i collegi, presumibilmente in autunno, e entrata finalmente in vigore la legge elettorale cara a Pannella, il Parlamento eletto a giugno con le vecchie regole sarebbe - per usare una brutta espressione - delegittimato. E allora si correrebbe il rischio di ritornare alle elezioni politiche nella primavera del 1996 con le nuove regole del gioco.
Come si vede, marciamo però a cavallo dei cavilli. E allora a questo punto non sarebbe meglio rinnovare subito le Camere a marzo e far slittare di uno o due anni i referendum ammessi dalla Corte? Nessun dubbio: certamente sì.