Non passano i referendum elettoralidi Franco Coppola
SOMMARIO: Informa sulle delibere della Corte costituzionale in merito ai referendum proposti della lista Pannella e, in parte, dalla Lega. Riporta dettagliatamente, referendum per referendum, le delibere, ed esprime soddisfazione per la bocciatura di alcuni di quelli pannelliani, gli elettorali in particolare.
(La Repubblica, 12 gennaio 1995)
ROMA - Sette no e nove sì. Sono le sette del pomeriggio quando, dopo due giorni e mezzo di camera di consiglio, la Corte costituzionale diffonde un comunicato che dichiara inammissibili i due referendum più importanti per il momento politico che il Paese sta vivendo, quelli sull'abolizione della quota proporzionale dalla legge elettorale di Camera e Senato, insieme a quattro dei cinque referendum cosiddetti sociali e a quello sulla cancellazione della pubblicità televisiva. Tutti gli altri quesiti sono stati promossi e passeranno al vaglio degli elettori tra il 15 aprile e il 15 giugno. Le motivazioni delle singole decisioni verranno rese note oggi alle 12. Particolarmente atteso era dunque l'esito dei due principali referendum elettorali. Il presidente della Corte, Francesco Paolo Casavola, lo aveva detto chiaro prima che avesse inizio il lungo conclave: "La corte non è un organo politico. Il raccordo con l'aspetto sociale e i problemi della gente, che dobbiamo tener presente al momento delle decisioni, non
c'entra con l'emendamento contingente della vita politica". Ma è chiaro che tutti gli occhi erano puntati sui referendum elettorali, la cui ammissibilità o meno non poteva non influire sull'esito della crisi politica. Se la Consulta avesse promosso la consultazione popolare sull'abrogazione delle quote proporzionali nelle elezioni di Camere - tenuto conto che i referendum vanno celebrati tra il 15 aprile e il 15 giugno - non sarebbe stato possibile andare al voto politico prima del referendum che mirava a cambiare le regole elettorali. O comunque prima dell'approvazione di una nuova legge sul voto da parte del Parlamento. La posta in gioco, insomma, era alta e, stando alle indiscrezioni, è stato proprio su questi due quesiti che il collegio giudicante si è spaccato. Alla fine è passata la tesi che, confermando la giurisprudenza della Consulta, evita il rischio di un vuoto giuridico che renderebbe impossibile l'elezione di un nuovo Parlamento.
Discussioni aspre ha provocato anche il referendum sulle trattenute sindacali. Secondo alcuni, però, l'eventuale abrogazione della norma che prevede la trattenuta sulla busta paga della quota di iscrizione al sindacato non dovrebbe avere effetti concreti sulle risorse di cui dispongono oggi i sindacati. A regolare la materia, infatti, sono per lo più i contratti nazionali di categoria a cui rinvia la stessa norma sottoposta a referendum. Non meno dibattuto il quesito sulla Sanità. E' stato bocciato, con la conseguenza che ora non potrà più essere messo in discussione l'obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale. Quindi sono soddisfatti quelli che vedevano nell'ammissibilità del referendum in questione il pericolo di smantellamento dello stato sociale, e insoddisfatte le destre secondo le quali questo era il primo passo per una riforma sanitaria tesa a rendere più efficiente il servizio pubblico.
Vediamo ora, quesito per quesito, quali saranno le conseguenze della decisione della Consulta, cominciando da quelli che hanno avuto il via libera.
LEGGE MAMMI'. Sono tre referendum su articoli della Mammì: se passassero non si potrebbero più interrompere il film in TV con la pubblicità, nessun privato potrebbe possedere più di una televisione, e nessuna concessionaria di pubblicità potrebbe lavorare per più di due reti.
COMUNI. Promosso da Pannella con firme raccolte anche dalla Lega, punta ad estendere il sistema elettorale maggioritario a turno unico a tutti i Comuni.
QUOTE SINDACALI. Se la consultazione popolare darà ragione ai promotori, l'iscrizione al sindacato dovrà essere fatta di anno in anno dal lavoratore.
PRIVATIZZAZIONE RAI. Promosso dalla Lega con firme raccolte anche dai riformatori. Si vogliono abrogare gli articoli della legge Mammì che obbligano la RAI a essere una società a totale partecipazione pubblica.
SOGGIORNO CAUTELARE. Promosso dalla Lega con firme raccolte anche dai pannelliani. Se passerà, i boss mafiosi dovranno restare nelle loro zone. Relatore era Giuliano Vassalli.
ORARIO DEI NEGOZI. Su iniziativa dei club Pannella con firme raccolte insieme con la lega. Se verrà votato dai cittadini, ci sarà la liberalizzazione completa degli orari nei negozi.
LICENZE COMMERCIALI. Promosso da Lega e riformatori, propone la liberalizzazione delle autorizzazioni al commercio.
E veniamo ai referendum dichiarati inammissibili.
DISCIPLINA PUBBLICITA' RAI. Promosso da Pannella e Lega, voleva togliere la pubblicità alle reti Rai. Era relatore Ugo Spagnoli, di nomina parlamentare, in quota Pci. Bocciato per "insufficiente chiarezza del quesito che non appare univocamente diretto al fine di impedire la trasmissione di messaggi pubblicitari alle reti della concessionaria pubblica".
SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. Mirava a consentire la scelta tra L'iscrizione al sistema sanitario nazionale o a un'assicurazione privata, relatore Antonio Baldassarre, in quota Pci, nominato da Cossiga. Inammissibile perché "configurando l'obbligo di iscrizione e contribuzione uno strumento di carattere tributario, la norma è riconducibile alla preclusione di cui l'articolo 75 della Costituzione", che vieta appunto referendum su materie tributarie.
LEGGE ELETTORALE DI CAMERA E SENATO. Puntava a far eleggere tutti i deputati e i senatori con il sistema uninominale maggioritario, secco a un turno. Relatori Mauro Ferri e Francesco Guizzi, entrambi ex membri del Csm, in quota Psdi e Psi. Bocciati perché "la normativa residua all'eventuale abrogazione non consentirebbe l'elezione del numero di deputati e di senatori stabilito in Costituzione".
CASSA INTEGRAZIONE STRAORDINARIA. promosso da riformatori e Lega, puntava all'abrogazione della Cis. Relatore Luigi Mengone, Dc, nominato da Cossiga. Inammissibile per "incompletezza e scarsa chiarezza del quesito".
SOSTITUTO D'IMPOSTA E TESORERIA UNICA. Volevano abolire le trattenute dagli stipendi delle imposte dirette sui redditi e la norma che obbliga gli enti pubblici a depositare le proprie disponibilità finanziarie liquide presso la tesoreria dello Stato. Relatori, Fernando Santonuosso, eletto dalla Cassazione, e Massimo Vari, nominato dalla Corte dei conti. Bocciati perché preclusi dall'articolo 75 della Costituzione.