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Pera Marcello - 13 gennaio 1995
LE RAGIONI DEI REFERENDUM
Rafforzare il maggioritario con il turno unico secco non è un favore a Berlusconi. E' un'esigenza della democrazia.

di Marcello Pera

SOMMARIO: Nella rubrica "Opinioni" M.Pera ribadisce le ragioni per le quali i referendum promossi dai Riformatori, e in particolare quelli elettorali che porterebbero al maggioritario secco per Camera, Senato, Comuni e Provincie, devono essere ammessi dalla Corte. Non si tratta di un favore ai referendari ma di un diritto della gente, alle cui esigenze il sistema uninominale corrisponde assai meglio che l'attuale proporzionale. Ironizza sulla cultura dell'ermeneutica che, a partire dalla Chiesa cattolica, piega ogni testo storico alle esigenze del momento e del potere. Deplora che le sinistre non abbiano ancora accettato il principio del maggioritario.

(Panorama, 13 gennaio 1995)

Perché i referendum, soprattutto quelli elettorali che porterebbero al maggioritario "secco" (a un turno) per le elezioni di Camera, Senato, Comuni e Provincie, dovrebbero essere ammessi e celebrati? Per due buone ragioni: per rispetto dei milioni di cittadini che li hanno richiesti, e per rafforzare il principio maggioritario. Si obietta: la prima ragione non è accettabile perché i referendum non sono ammissibili. Il motivo, secondo il professor Paolo Barile, sarebbe che, ove i referendum passassero, "le norme di risulta consentirebbero di eleggere solo i parlamentari nei collegi maggioritari, cioè 474 deputati e 232 senatori", invece dei 630 e 315 rispettivamente previsti dalla Costituzione. Altri studiosi, come il professor Antonio Agosta, e politici, come gli onorevoli Calderisi e Vito, replicano che l'impedimento esiste, ma è sanabile con una legge che ridisegni i collegi, così come accadde dopo i referendum Segni.

Si obietta ancora: un conto è un "impedimento" a un organo costituzionale, un altro è una "impossibilità materiale" di funzionare nella sua pienezza. Ma anche in questo caso il precedente assiste: se non fosse intervenuta la legge sui collegi, per effetto dei referendum Segni a certe regioni sarebbe spettata una quota proporzionale di zero deputati e ad altre una quota del 40 per cento: era questo un impedimento o una impossibilità?

E' inutile continuare con questa schermaglia perché non c'è chi non vede che la questione è squisitamente politica. La Corte costituzionale, con una lunga serie di sentenze, ha introdotto un elenco di requisiti di ammissibilità che non sono contenuti nell'articolo 75 della Costituzione. Si legga un testo autorevole come il "Commentario breve alla Costituzione" di Livio Paladin e Vezio Crisafulli per vedere quanto questo elenco sia lungo e sconcertante per gli stessi eminenti autori. L'impressione è che la giurisprudenza della Corte cambi spesso e che ogni volta, anziché il testo costituzionale, essa interpreti le proprie precedenti interpretazioni.

La cosa non fa meraviglia, Perché, come sanno i teorici dell'interpretazione, il clima politico in cui la Corte prende le decisioni (assai più delle idiosincrasie dei singoli giudici) orienta le decisioni stesse. Può così accadere ai giudici della Corte ciò che accade ai teologi della Chiesa cattolica: si comincia col distinguere l'esegesi di un passo (che ne riproduce il senso originario) dalla sua ermeneutica (che lo attualizza), poi si confina l'esegesi nella sua epoca storica e la si abbandona, infine si adotta l'ermeneutica più confacente al nostro tempo. Così, per esempio, la Scrittura dice: "Le donne siano sottomesse ai propri mariti"; Giovanni Paolo II interpreta: "Della donna è da rilevare, anzitutto, l'eguale dignità e responsabilità rispetto all'uomo"; e il nuovo Codice di diritto canonico stabilisce: "Entrambi i coniugi hanno pari dovere e diritto". C'è solo da sperare che quel Dio misericordioso - e aggiornato ai tempi - che ispira i papi ispiri anche i supremi giudici.

Qui viene l'altra ragione che milita a favore dei referendum. I tempi sono cambiati, perché i cittadini italiani, assai più e meglio di forze politiche come la Lega, i popolari e i progressisti, hanno mostrato non solo di aver compreso ma anche di voler applicare il principio maggioritario secondo cui due poli principali dovrebbero contendersi i consensi e chi vince le elezioni dovrebbe governare. A questo nuovo clima ha contribuito l'effetto Berlusconi assai più che i referendum Segni e la legge Mattarella. Dopo la discesa in campo di Berlusconi, è impensabile tornare alla vecchia logica del proporzionale, quando si votava per questo o per quello e poi i partiti facevano e disfacevano le alleanze a loro piacimento. Che piaccia o no, che sia congruente o no con il testo della Costituzione (che non a caso oggi è arretrata rispetto al nuovo clima), con il maggioritario si vota con un preciso mandato politico e per delle persone (l'effetto Berlusconi ha di fatto configurato anche l'elezione diretta del capo del

l'esecutivo); non si vota più per dei partiti con le "mani libere".

Bossi non stupisce più, ma che i progressisti non comprendano questo nuovo clima e neppure capiscano che proprio esso, e non i giochetti ai ribaltoni, può aiutarli a mettere insieme una coalizione alternativa a quella del governo e darsi un leader credibile che possa portarla alla vittoria, invece stupisce assai. Il principio maggioritario non è un favore a Berlusconi; è un'esigenza della democrazia dell'alternanza. Vogliamo tornare indietro?

 
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