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Ceccarelli Filippo - 28 maggio 1995
IL MISTERO DI DON MURRI ANTICLERICALE DI DIO. INVENTO' LA DC, POI FU "MALEDETTO" DAI CATTOLICI: UNO STORICO ORA LO RILEGGE.
di Filippo Ceccarelli

SOMMARIO. In occasione della presentazione del volume dedicato all'opera di Romolo Murri, si fa qui una breve, ma efficace presentazione dell'opera di questo grande ribelle, osteggiato dal mondo clericale in ragione della sua libertà di pensiero e della sua straordinaria efficacia politica.

(La Stampa, 28 maggio 1995)

Ritorna il caso Murri, con oltre cinquant'anni di ritardo e un notevole, imbarazzante riserva di sorprese, come c'era da aspettarsi se si pensa che l'irrequieto sacerdote marchigiano finora conosciuto - e spesso parzialmente - come l'inventore della Democrazia cristiana, è uno dei personaggio più maledetti e rimossi del secolo.

Ritorna dunque, don Romolo Murri, nato a Monte San Pietrangeli nell'anno della breccia di Porta Pia e morto nella Roma occupata dai nazisti, con la pubblicazione da parte della Camera dei deputati dei discorsi parlamentari ( nella prestigiosa collana che ha già raccolto quelli di De Gasperi, Togliatti, Nenni, La Malfa e Treves). Ma soprattutto grazie a un libro, "Romolo Murri, la scelta radicale" (Marsilio), scritto dal giovane storico radicale Benedetto Marcucci e presentato domani a Roma, alla Sala della Sacrestia, da Gianni Baget Bozzo, Giuseppe Galasso e - per la prima volta dietro uno stesso tavolo - da Giulio Andreotti e Marco Pannella.

Come doveroso tributo alla memoria, ma forse anche per complessi processi di identificazione politica e psicologica come un uomo, un "eretico" che fu demonizzato fino alla scomunica, Pannella ha voluto scrivere - cosa anche qui piuttosto rara - la prefazione allo studio di Marcucci. Il cui sforzo è rileggere non tanto l'innegabile ruolo di Murri nell'impegno organizzato dai cattolici nella vita pubblica: l'influenza su Sturzo, la fondazione - con l'incoraggiamento di Leone XIII - della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (Fuci), fino al lancio, si direbbe oggi, di una formula destinata a fare molta strada, come "Democrazia Cristiana". La vera scommessa del saggio è, piuttosto, di rivendicare la "scelta radicale" di Murri reo di essersi ribellato alla restaurazione anti-modernista di Pio X. La sua convinta adesione, perciò, al laicismo; le battaglie per la separazione tra Chiesa e Stato; la piena e decisa militanza, una volta eletto deputato nel collegio di Montegiorgio, in quel partito radicale in c

ui convivevano, in variopinto assortimento, l'eredità di Cattaneo, di Garibaldi, di Cavallotti, e che Salvemini giudicò "un'accozzaglia di massoni, clienti giolittiani e sbrigafaccende degli elettori".

Sennonché, questo secondo e quasi sconosciuto Murri spiazza una storiografia di parte cattolica, se non distratta, certo pronta a liquidare il personaggio sotto la specie della stravaganza esistenziale, o di presunti travagli religiosi.

In realtà, per i clericali - e per i liberali "gentiloniani" loro alleati - più che un nemico, Murri fu un vero e proprio simbolo del male, una figura da distruggere. Nella campagna elettorale del 1913, in cui fu battuto, nessun mezzo d'offesa venne risparmiato contro questo "spretato, scomunicato e ammogliato": dalle pressioni in confessionale alle maledizioni celesti, dai discorsi in chiesa ai giuramenti davanti al crocefisso, fino alle offese - si legge nell'agghiacciante ricorso di Murri alla giunta per le elezioni della Camera, ripubblicata in appendice quasi a riprova dell'eterna ferocia della lotta politica - nella più gelosa intimità della vita".

Resta il fatto che la traiettoria murriana è ancora oggi quanto più di più misteriosamente contraddittorio si possa immaginare: protetto dal Papa, poi prete spretato e quindi "cappellano dell'Estrema", come lo definì poco amichevolmente Giolitti. Interventista democratico e poi ancora, ancora, tiepidamente fascista, prima di morire in assoluta solitudine con il conforto della Chiesa che l'aveva riaccolto in extremis.

Un grande irregolare, un pensatore ancora oggi ad altissimo tasso d'inclassificabilità, devoto in definitiva alla propria appassionata coscienza, oltre che ai dettami di una fenomenale attitudine a creare associazioni (Fuci), giornali (il Domani d'Italia, Cultura sociale), movimenti (la dc, la Lega democratica nazionale), senza mai però ostinarsi a difenderli come averi. Liberista - meglio sarebbe antiproibizionista - prima del tempo. Cattolico intransigente e proprio per questo - paradossalmente, ma fino a un certo punto - altrettanto anticlericale. Eppure mai in forme che potessero suonare beffarde o virulente, anzi pronto a difendere i diritti di preti e suore negli stessi tempi in cui infuriava il terribile Asino di Podrecca. Anche massone, si è creduto fino a ieri. Fino a quando, cioè, proprio Marcucci - la cui rivalutazione di Murri si comprende meglio anche con il dato che è figlio di Gabriella, studiosa democristiana approdata clamorosamente al radicalismo pannelliano qualche anno fa - non ha scopert

o che l'inserimento postumo del personaggio nelle liste del Grande Oriente era in realtà una svista, un incidente d'omonimia che nessuno s'era curato di correggere.

Inascoltato in vita, naturalmente, e incompreso dopo la morte. Un magnifico sconfitto che di sé ha lasciato questo ritratto insieme orgoglioso e sconsolato: "Non sono mai stato un mistico e non mi sono mai dimenticato del dovere morale; mi sono fatto prete sognando giornali e partiti e larghe influenze civili; ho creduto forse più nella Chiesa che in Dio, senza mai curarmi molto di dogmi e di riti; e pure ho detto fino all'ultimo con sincero raccoglimento la mia Messa e avrei continuato, forse, a dirla se non me l'avessero tolta...".

 
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