QUEL REFERENDUM NON E' UNA FOLLIA30 agosto 1995
IL CORRIERE DELLA SERA
di Angelo Panebianco
SOMMARIO. Illustra le motivazioni che rendono importante il referendum sul "modulo" dei tre maestri nelle elementari. Questa struttura fu voluta dai sindacati essenzialmente per evitare la riduzione di organico, ma è assolutamente antipedagogica.
Vorrei richiamare l'attenzione dei lettori su uno dei diciotto referendum promossi in questi giorni da Pannella. Quello che chiede di abolire l'obbligatorietà del modulo (tre maestri, in teoria, ma nella pratica spesso, quattro o anche cinque) nelle classi della scuola elementare. Alcuni intellettuali di sinistra, forse perché un po' snob o forse perché, più semplicemente disinformati (ad esempio, Michele Serra) e qualche politico (Gerardo Bianco) hanno indicato in quel referendum un esempio paradigmatico di follia referendaria: come si fa, dicono, a chiedere ai cittadini di pronunciarsi su una cosa come questa? Non è forse una prova di quanto sia aberrante l'usi dei referendum? Da avversario della riforma della scuola elementare fin da quando venne approvata nel 1990 (qualche lettore di questo giornale forse se ne ricorderà) sostengo, contro i pareri degli esimi signori sopra citati, che non c'è forse argomento che più di questo meriti che ci si faccia sopra un referendum. Se c'è un caso nel quale è sacro
santo rivolgersi al parere degli elettori è infatti quello in cui è ravvisabile una grave contraddizione fra l'interesse diffuso e generale (quello dell'utenza) e un interesse particolare, corporativo (nel caso specifico, dei sindacati della scuola e dei politici che tengono loro bordone). Rifacciamo la storia del modulo. A un certo punto i sindacati si rendono conto che a causa del calo demografico, come si dice a Roma, non c'è più trippa per gatti. L'epoca dei gonfiamenti degli organici è finita e forse, addirittura, una parte dei maestri in organico dovrà essere prima o poi riciclata. E allora, come contromossa, i sindacati "attivano" i politici a essi legati (soprattutto all'epoca sinistra DC e PCI) e i funzionari del ministero. Si comincia in sordina, riformando i programmi. Non avete mai letto i nuovi programmi della scuola elementare? In tal caso vi siete persi un pezzo di bravura degno della migliore arte comica italiana. Letti nel loro insieme - fra socio-antropologie, elementi di probabilità e tant
e altre materie dai nomi altisonanti - i nuovi programmi delle elementari ricordano un po' quei curricula, a metà fra l'umanistico e lo scientifico, propri di certi istituti superiori americani. Una volta approvati i nuovi programmi si dice: "Vedete quali programmi ricchi ed innovativi abbiamo ora? E' chiaro che un maestro da solo non li può svolgere". E si passa alla seconda tappa del perverso disegno: la famosa "sperimentazione". Si prendono dei maestri volontari (attenzione alla parola "volontari" è la chiave di tutto) felici di collaborare fra loro nell'attività didattica e si sperimenta il modulo.O vviamente, poiché i maestri sono tutti volontari ben affiatati fra loro, con metodi pedagogici compatibili la "sperimentazione", trionfalmente, riesce (esattamente come riescono sempre a chiunque, altrettanto trionfalmente, i solitari a carte quando si bara).Oplà, il gioco è fatto. In nome del Progresso e attaccando i "reazionari" (come me) dipinti dai suddetti fautori del Progresso come nostalgici della maes
trina dalla penna rossa, si fa passare una riforma che rende burocraticamente il modulo obbligatorio in tutte le scuole pubbliche d'Italia. Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci si è di nuovo consumato. L'occupazione, l'unica cosa che contava (alla faccia dei bambini), e l'unica vera ragione per cui si è messa in moto tutta l'operazione, è salva. Solo che adesso, guarda un po', non ci sono più volontari. Che ai singoli maestri piaccia o meno, che abbiano o meno metodi pedagogici (o anche semplicemente, caratteri personali)compatibili, essi devono, a norma di legge, essere tutti quanti "schiaffati" dentro un modulo. E i bambini con loro. E, come era facilissimo prevedere, sorgano problemi di ogni tipo. Perché i non volontari, i coscritti, non possono evidentemente coordinarsi fra loro nei termini in cui i lungimiranti riformatori supponevano o fingevano di supporre. Il risultato è sic et simpliciter, la "licealizzazione" della scuola elementare. I bambini, come se fossero studenti liceali o
universitari, passano da un'ora, poniamo, di italiano (con l'insegnante X) a quella di matematica (con l'insegnante Y), a quella di educazione all'immagine (con l'insegnate Z), eccetera. Coloro che non hanno figli oppure coloro i cui figli non sono più (o non ancora) alle elementari possono non comprendere immediatamente che cosa ci sia di radicalmente sbagliato in una cosa del genere. Ciò che c'è di radicalmente sbagliato è che dare alla scuola elementare la struttura del liceo significa pretendere che i bambini non siano bambini ma "adulti piccoli" o, per lo meno, adolescenti. Significa violentare i ritmi e i modi di apprendimento che sono propri dei bambini. Significa impedire all'insegnante (ora vincolato a sgomberare il campo appena deve subentrare in classe un altro insegnate) di adattare il programma scolastico e le sue scansioni alle esigenze dei bambini. Come invece si era sempre fatto in precedenza: la classe
era ancora debole in italiano? Nessun dramma. Il maestro poteva liberamente decidere di rinviare ad altro momento l'insegnamento della storia e della geografia o della matematica. Ora, invece, è la tirannia della struttura modulare, e non più le esigenze dei bambini così come venivano interpretate dal maestro, a scandire l'insegnamento. L'eliminazione della libertà del singolo insegnante di adattare di volta in volta il programma alle esigenze della classe, conseguenza della licealizzazione di fatto della scuola elementare , è l'aspetto più grave, e più nocivo per le possibilità di apprendimento dei bambini, di questa disgraziatissima riforma. Per non parlare poi degli inevitabili conflitti, testimoni i bambini, fra maestri costretti dalla legge a una coabitazione ed ad una collaborazione da loro non scelte ma subite. Come ha detto in un'intervista alla Stampa il più tenace avversario "storico" della riforma "Lorenzo Strik Lievers, non si ratta di eliminare il modulo. Si tratta, che è cosa ben diversa, di
eliminarne l'obbligatorietà. Se tre maestri, affiatati e con un progetto didattico comune, vogliono lavorare insieme devono avere il diritto di farlo. Perché in questo caso, è proprio l'affiatamento, , la libera scelta e il progetto didattico comune che consentirà a quei tre maestri di evitare, coordinandosi davvero, i rischi della licealizzazione. Ma appunto, deve trattarsi di una libera scelta dei maestri, non di un'imposizione dall'alto. Altrimenti, i guasti, per i bambini, continueranno, a essere tanti. Se otterrà firme sufficienti quel referendum sarà anche, indirettamente, l'occasione per discutere su un problema più generale (che non riguarda solo la scuola elementare) e di vitale importanza per il futuro di questo Paese. A causa del disinteresse (segno a sua volta di mediocrità) della classe dirigente italiana per i problemi della scuola si è finito in molti casi (la vicenda del modulo è esemplare) per lasciare nelle mani dei sindacati la gran parte della politica scolastica. Ma i sindacati possono f
are solo - ammesso che ci riescano - l'interesse dei loro affiliati (e, per giunta, solo nel breve periodo), non quello, mai quello, degli utenti dei servizi. Si tratta di politica scolastica o di quant'altro, sono sempre guai per tutti quando si permette, per trascuratezza, convenienza o ignoranza, a un interesse particolare di mangiarsi, di piegare alle proprie esigenze, l'interesse generale. Quando, come collettività nazionale, riusciremo a dedicare ai problemi della scuola, annualmente, anche solo un decimo dell'attenzione e del tempo che abbiamo dedicato in questo ultimo anno ai problemi delle televisioni e dei loro assetti, saremo forse diventati, finalmente, un Paese civile.