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Parlamento Europeo - 8 ottobre 1991
Parità di trattamento tra uomini e donne.

Le implicazioni della sentenza della Corte di giustizia in data 17 ottobre concernente la parità di trattamento tra uomini e donne

Il Parlamento europeo,

- visto l'articolo 119 del Trattato CEE,

- vista la direttiva 75/117 CEE del 10 febbraio 1975 sulla parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile,

- vista la direttiva 76/207 CEE del 9 febbraio 1976 sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro,

- vista la direttiva 79/7 CEE del 19 dicembre 1978 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di sicurezza sociale,

- vista la direttiva 86/378/CEE del 24 luglio 1986 relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale,

- vista la proposta di direttiva del 23 ottobre 1987 che completa l'attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne nei regimi legali e professionali di sicurezza sociale (COM(87) 494),

- visto il suo parere del 15 dicembre 1988, sull'onere della prova nel campo della parità di retribuzione e della parità di trattamento tra donne e uomini G.U. n. C 12 del 16.1.1989, pag. 180.,

- viste le sue risoluzioni del 10 marzo 1988 G.U. n. C 94 dell'11.4.1988, pagg. 149 e 144., sul mancato rispetto delle direttive in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le donne (problema delle discriminazioni indirette) e sulle donne e l'occupazione,

- vista la sentenza della Corte di giustizia del 17 ottobre 1989 nella causa 109/88 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di retribuzione,

- vista la risoluzione presentata dalla on. Crawley a norma dell'articolo 63 del regolamento sulle conseguenze giuridiche e pratiche di tale sentenza (B3-473/90),

- visti la relazione della commissione giuridica e per i diritti dei cittadini nonché il parere della commissione per i diritti della donna e della commissione per gli affari sociali, l'occupazione e le condizioni di lavoro (A3-238/91),

A. considerando che è dimostrato e largamente riconosciuto che il principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne, sancito dall'articolo 119 del Trattato di Roma e dalle direttive di applicazione di tale principio adottate dal Consiglio, non è effettivamente rispettato in tutta la Comunità e che esistono ancora differenze notevoli e ingiustificate tra i livelli medi delle retribuzioni dei lavoratori di sesso femminile e quelli delle retribuzioni dei lavoratori di sesso maschile,

B. considerando che, nella stragrande maggioranza dei casi, le discriminazioni pregiudicano le donne,

C. considerando che non solo il livello di vita ma anche le possibilità di promozione, di riconoscimento sociale e di libertà personale dipendono oggi in ampia misura dall'equità delle remunerazioni individuali e che la persistenza di discriminazioni sessuali in tale settore compromette il miglioramento della condizione della donna nella Comunità,

D. considerando che l'attuale situazione di disuguaglianza e la troppo lenta evoluzione positiva realmente compiuta nel settore dalla firma del Trattato di Roma risultano essere moralmente inaccettabili da parte di una Comunità che deve dare l'esempio di un indiscriminato rispetto dell'individuo a prescindere dal sesso, sia al proprio interno che ai fini della diffusione dei suoi ideali nel resto del mondo,

E. considerando che la sentenza della Corte di giustizia, pur sostenendo la giurisprudenza relativa al principio della non discriminazione sessuale, è dovuta comunque restare nel quadro limitato degli strumenti giuridici di cui la Comunità si è finora dotata,

F. considerando che tali strumenti devono essere rafforzati, in particolare mediante l'adozione della proposta di direttiva approvata dal Parlamento europeo nella seduta del 15 dicembre 1988 relativa all'inversione dell'onere della prova nel settore della parità di trattamento tra uomini e donne,

G. considerando che tale inversione dell'onere della prova, per inabituale che sia rispetto ai principi generali del diritto delle nostre società, non costituisce una "discriminazione positiva" ma si giustifica col fatto che il lavoratore dipendente posto dal suo statuto in una posizione di subordinazione rispetto al datore di lavoro non dispone generalmente di strumenti di informazione propri che gli consentano di raccogliere le prove di un'eventuale discriminazione e che, di conseguenza, il rispetto della giustizia richiede che si tenga conto di tale situazione svantaggiata,

H. considerando che in seguito alla sentenza della Corte di giustizia è necessario fornire in detta direttiva una chiara definizione delle "discriminazioni indirette", in quanto esse sono le più frequenti, le più subdole e pertanto le più perverse,

I. considerando che un'efficace lotta contro le discriminazioni di carattere sessuale in materia di trattamento richiede, oltre al rafforzamento degli strumenti giuridici comunitari, l'adozione di una serie coerente di iniziative positive che contribuiscano a cambiare le mentalità e a far quindi superare i pregiudizi, i preconcetti, gli atteggiamenti e le abitudini derivanti da un passato a lungo caratterizzato da discriminazioni ai danni delle donne,

1. auspica, considerando che la sentenza contribuisce a definire l'inversione parziale dell'onere della prova limitatamente alla parità retributiva, che tale principio si estenda a tutti gli aspetti del rapporto di lavoro;

2. insiste presso il Consiglio perché tenga conto della sentenza della Corte di giustizia in data 17 ottobre 1979 adottando senza indugio la proposta di direttiva relativa all'inversione dell'onere della prova in materia di parità di trattamento tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile che il Parlamento europeo ha approvato il 15 dicembre 1988 e che è atta a porre rimedio alle difficoltà specifiche di applicazione del principio di parità sancito dall'articolo 119 del Trattato di Roma;

3. ritiene che sia opportuno adottare in tempi molto brevi una definizione delle discriminazioni indirette quale quella contenuta nella suddetta proposta di direttiva in quanto tali discriminazioni sono spesso all'origine delle ingiustizie in materia di parità di trattamento tra uomini e donne e hanno fornito in vasta misura la base per la sentenza della Corte;

4. ritiene che nella sentenza la definizione dei criteri legittimi di differenziazione retributiva appaia eccessivamente orientata all'analisi delle caratteristiche del lavoro effettivamente svolto e sottovaluti le cause delle discriminazioni dirette e indirette che colpiscono le donne;

5. afferma che occorre pertanto approfondire ed estendere la definizione di parità di trattamento e di azione positiva peraltro più volte evocata nel terzo programma di azione;

6. raccomanda alla Commissione, in aggiunta a tali iniziative di carattere legislativo, necessarie ma non sufficienti, di impostare il terzo programma d'azione per la parità di opportunità (1991-1995) in modo che siano rafforzate le azioni volte a ridurre le discriminazioni nei confronti delle donne, non solo sul piano della remunerazione e della formazione professionale ma anche in altri settori, come quello delle assunzioni, che condizionano a lungo termine la possibilità di parità di trattamento tra uomini e donne;

7. chiede inoltre alla Commissione, e incarica in tal senso anche la propria commissione per i diritti della donna, in particolare a seguito della sentenza della Corte di giustizia concernente il divieto di lavoro notturno per le donne, di compiere una riflessione approfondita sugli effetti indotti delle misure sociali istituite specificamente per le donne, in modo che siano meglio conosciuti ed evitati i rischi di effetti negativi di misure che, a dispetto delle intenzioni, potrebbero essere la causa di discriminazioni immotivate e pregiudicare insidiosamente la promozione professionale e sociale delle donne, in particolare al momento dell'assunzione;

8. sottolinea inoltre l'urgenza di approfondire la conoscenza dei lavori svolti dalle donne e delle differenziazioni di trattamento favorendo osservatori e metodologie di indagine statistiche adeguate,

9. è del parere che il negoziato tra le parti possa sviluppare positivamente le potenzialità contenute nella sentenza;

10. invita i governi degli Stati membri e le parti sociali a tener conto delle conseguenze della sentenza della Corte di giustizia, in particolare mediante accordi contrattuali a livello di impresa stessa o di categoria professionale, e a promuovere tutte le iniziative volte a un'evoluzione positiva delle mentalità e dei comportamenti al fine di lottare efficacemente contro le discriminazioni di ordine sessuale che pregiudicano un miglioramento della condizione femminile;

11. invita, nello stesso spirito, la Commissione e gli Stati membri a portare avanti campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica al fine di eliminare i pregiudizi che continuano a pesare ingiustamente sui comportamenti sociali nei confronti delle donne, in particolare per quanto riguarda la competenza professionale, la possibilità di partecipare sullo stesso piano degli uomini all'attività economica, l'adattabilità ai condizionamenti derivanti dall'attività professionale;

12. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione e al Consiglio.

 
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