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Ventura Marco - 14 giugno 1993
"L'Occidente è colpevole, ha tradito noi albanesi"

- Parla Adem Demaci, il "Mandela" del Kosovo:

Se c'è una logica, il Kosovo non deve esplodere. Sarebbe un bagno di sangue per gli albanesi, una campagna durissima e insostenibile a livello internazionale per i serbi. Un disastro per l'Europa, perché il conflitto rischierebbe di trasformarsi da jugoslavo in balcanico: Albania e Turchia con gli albanesi, la Grecia con i serbi. Senza contare che si frantumerebbe la Macedonia, con l'inevitabile coinvolgimento della Bulgaria. E la Nato, per chi dovrebbe parteggiare? Per la Turchia o per la Grecia?

Da Il Giornale- Marco Ventura

Qualcuno ebbe l'idea geniale di ribattezarlo »il Mandela del Kosovo e la formula gli ha portato fortuna Ora il suo nome è conosciuto e lui stesso, Adem Demaci scrittore di

nazionalità albanese fiero dei 28 anni trascorsi nelle galere jugoslave, si vanta del paragone: »Io sono quello che tutti chiamano »il Mandela" del Kosovo. Sul biglietto da visita accanto alla qualifica di »scrittore compare un accenno al »Premio Sakharov di cui è stato insignito. Demaci però, non ha ancora vinto la battaglla. Voleva uscire di prigione, sì, ma ancora di piú voleva l'indipendenza del Kosovo dalla

Serbia in forza del 90 per cento di albanesi che lo abitano. Entrò in carcere nel dicembre del '58 e salvo qualche sprazzo di libertà, rivide la luce il 21 aprlle del '90, grazie alle pressioni internazionali sul regime di Belgrado. Sa o crede, di avere un debito di riconoscenza irrisorio: »I serbi non fecero poi uno sforzo così grande, avrel finito di scontare la pena cinque mesi dopo . Le accuse? Scontate come la pena: attività anticomunista e cospirazione contro lo Stato. In pratica, non ha mai rinunciato al sogno di ricongiungere il Kosovo all'Albania. Purtroppo, nulla è più foriero di carneficine e guerre di due sogni che si scontrano come la Grande AIbania e la Grande Serbia.

Nella piana di Kosovo Polje, appena fuori Pristina, si consumò la celebre disfattab contro i turchi del 28 giugno 1389. E a Pec e Gracanica si ergono, maestosi nonostante le rovine prodotte dai secoli e dalle dominazioni, alcuni tra i piú bei monasteri serbo ortodossi. Anche i serbi più moderati, quelli che mai combatterebbero per un fazzoletto di terra nella Krajina e Slavonia croate o in Bosnia ed Erzegovina, sono pronti a uccidere o morire per conservare il Kosovo. Perchè qui non solo abita qualche serbo, ma lo spirito stesso della Serbia, nelle memorie e documenti della della dinastia Neman e dello zar Dusan. Demaci è consapevole del peso della storia; della potenza militare serba e della cronica debolezza albanese. Quindi se la prende con l'Europa e l'Occidente, che nei Balcani, ancora una volta, hanno fallito strategia.

Lo scrittore ci riceve nella redazione dell'unico quotidiano rimasto agli albanesi, Buyku (»il Contadino"), che il Parlamento serbo minacciava di chiudere d'autorità. Demaci e duecento giornalisti hanno concluso da poco uno sciopero della fame durato 10 giorni. Nella stanza gracchia inutilmente una radiolina »Sony", la frequenza della Bbc oggi è disturbata. »Noi albanesi siamo stati traditi dalla comunita internazionale , protesta lo scrittore, »cioè da coloro che avevano i mezzi per difendere la pace e che hanno firmato le convenzioni per la difesa dei diritti umani. Tutte le piccole nazioni sono deluse, i "grandi" avevano giurato di non permettere che dopo la fine della guerra fredda, i problemi fossero risolti con la forza.

Dissero che nessuno avrebbe piú imposto con la forza la propria volontà politica su altre nazioni. Invece la Serbia ha potuto conquistare impunemente nuovi territori, gli Stati Uniti e la Nato si sono fatti da parte, limitandosi agli aiuti umanitari. Hanno avallato la bonifica etnica, mettendo a disposizione i blindati dei caschi blu per trasferire le popolazioni espulse. E siedono allo stesso tavolo con criminali patentati, supplicandoli di scendere a patti. L'Occidente ha una grande colpa verso la storia".

La bonifica etnica è in corso anche qui. E' qualcosa di più e qualcosa di meno del genocidio . Non ha la stessa violenza sanguinaria ma gli effetti sono vasti e visibili. Secondo fonti imparziali, le famiglie albanesi vengono cacciate di casa per lasciare spazio ai profughi serbi della guerra. Le autorità clandestine albanesi ne hanno contate finora 202. Gli albanesi resistono, si sono create strutture parallele in ogni settore della vita civile, dalle scuole agli ospedali Le provocazioni sono all'ordine del giorno.

Arrivando da Belgrado, lungo l'autostrada svuotata dall'embargo che conduce a sud verso la Macedonla e la Grecia, s'imbocca una statale che taglia la campagna e due sono i particolari che segnalano al viaggiatore l'inizio del Kosovo. Prima le case con le facciate sulla strada prive di finestre e i cortili posteriori contornati da muri bassi. Poi, i nomi albanesi dei villaggi cancellati con un minaccioso gesso rosso e quella terribile scritta a caratteri cubitali spruzzata sopra a un ponte con la vernice: »La mia scelta è Arkan . Come dire: La mia scelta è il genocidio. Arkan, deputato kosoviano al Parlamento serbo e capo della guerriglia ultranazionalista "cetnica", altro non persegue che la purezza etnica della Gran Serbia.

Spiega il direttore di Buyku, Rughdi Demiri: »Nel Kosovo gli sciovinisti serbi di Vojislav Seselj si giocano il futuro politico. Seselj ricorda ai serbi le promesse megalomani del presidente Slobodan Milosevic, che di fatto non sono state realizzate. Io credo poco alla nazionalità come matrice dei conflitti. Il territorio del Kosovo è strategicamente

importante, ci passa la strada tra i Balcani e l'Europa, e un corridoio naturale tra Belgrado e Salonicco. Ma la

popolazione è omogenea, e non è serba ma albanese. Belgrado ha sostenuto il principio per cui i tre milioni di serbi che vivono fuori della Serbia devono potersi autodeterminare. Lo stesso allora dovrebbe valere per noi albanesi. Noi qui siamo il 90 per cento. All'inverso, nella Jugoslavia attuale il 45 per cento degli abitanti non è serbo, ci sono croati ungheresi musulmani e albanesi. Ecco il paradosso . Lapidaria la conclusione: »I serbi nel Kosovo non sono forti abbastanza per sterminarci completamente, né noi siamo forti abbastanza per liberarci di loro .

Se c'è una logica, il Kosovo non deve esplodere. Sarebbe un bagno di sangue per gli albanesi, una campagna durissima e insostenibile a livello internazionale per i serbi. Un disastro per l'Europa, perché il conflitto rischierebbe di trasformarsi da jugoslavo in balcanico: Albania e Turchia con gli albanesi, la Grecia con i serbi. Senza contare che si frantumerebbe la Macedonia, con l'inevitabile coinvolgimento della Bulgaria. E la Nato, per chi dovrebbe parteggiare? Per la Turchia o per la Grecia?

 
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