Abbiamo da sei ad otto settimane di prospettiva economica. Bene. Ora abbiamo un termine. Avere una fine spesso vuol dire avere anche un fine.
Potremmo utilizzare queste ultime risorse non pre-occupandoci della fine, ma occupandoci del fine.
Scommettere di nuovo sull'essere transnazionali, sul come dare essere all'idea di transnazionalità. Questo è ciò di cui potremmo occuparci nei due mesi di tempo che abbiamo, scommettendo su noi stessi, sulla nostra capacità di essere individui che fanno esperienza, tentando errando sbagliando, della costruibilità pratica della transnazionalità.
Errando. Un andare che significa dunque fare errori. Se ci preoccupiamo dell'evitare errori non potremo andare. Si evitano errori e dunque non si va.
Inutile è fermarsi nell'attesa della fine. Forse è invece più utile andare per questi due mesi verso il fine dell'essere una capacità comunicativa fra le nazioni, vale a dire fra la pubblica opinione di Stati fra loro diversi.
Tutte le sedi siano estere per tutte le altre.
Con un po' di relatività potremo forse eliminare l'eccesso di italocentrismo che ha appesantito, senza però darle forza, l'idea che ci è cara della transnazionalità.