1. Per Angiolo Bandinelli, da Paolo Atzori, 21 luglio 1995:
"Approfitto dell'occasione per rivolgerti alcune domande provocate dal dibattito che conduci da qualche giorno. Non trovi che le tue sintesi storiche, ottime e precise, non possano sostenere la tesi della filiazione stretta stato occidentale-totalitarismo? Infatti non credo che si possa far equivalere uno stato assoluto e intollerante e bellifero agli stati totalitari (nazista e stalinista e loro derivati). Certo ripercorrere "à rebours" le vicende è ammissibile e profittevole, ma rischioso se se ne vuol ricavare terreno per l'analisi. C'è rischio di determinismo. Indubbiamente: se B, allora A; ma nulla puo' dimostrarci che dato A, B ne sia necessaria conseguenza. E' questo che secondo me sostiene il fanatismo di Adorno e Horkeimer e quello di certo Lukacs. Molto meglio il radicalismo di Hanna Harendt. Cosa ne pensi? Ciao"
Paolo Atzori
Da Angiolo Bandinelli a Paolo Atzori, 22 luglio 1995:
Bene, giusto,ricordare la grande Hannah Arendt: che però, va detto, gravitava anche lei, in certa misura, nel circolo degli Adorno e della Scuola di Francoforte (era discepola di Heidegger, peraltro): a lei manca il pessimismo intellettuale di questi ultimi, che però non definirei fanatismo, ed è assai differente dal marxismo lukacsiano. Costoro lavorarono in un secolo nel quale gli ideologismi erano pane e companatico...e in generale tutto il secolo fu dominato da uno sforzo, drammatico prima che fallimentare, di definire i fondamenti della ragione dell'uomo, e quindi la sua definitiva "salvezza", più o meno metastorica. Basta pensare all'architettura: in Europa, da Le Corbusier alla Bauhaus si cercava di dare prescrittività assoluta alla "machine à abiter" concepita come "altro" dalla natura (mentre negli USA Wright cercava di "depositare" morbidamente la casa sulla cascata, per modellarla ed adattarla si ritmi della roccia e dell'acqua...). Però tutti noi, e anche tu, Paolo, ci sentiamo comodi solo sulle
sedie di tubolare metallico inventate alla Bauhaus...
Pe quanto riguarda il rapporto tra Stato nazionale e Nazifascismo: Io sono convinto che sia un rapporto strettissimo: ma non deterministico; nel senso che, dato il giacobinismo centralizzatore e burocratico - di origine francese - dello Stato-nazione, non necessariamente doveva nascerne Hitler.. E' perfin ovvio. Ma Hitler, quando nasce e organizza il suo progetto, utilizza in pieno, portandolo alle sue estreme conseguenze, il "modello" nazional-giacobino. Lo utilizza con determinazione violenta, radicale, assolutista, "nazista", insomma: ma la sua logica è veicolata dentro schemi che già sono a portata di mano. Il suo progetto è nient'altro, all'osso, che la costruzione della Grande Germania - "Ein Volk, ein Recht" significa solo questo - per vendicare i torti storici che essa aveva subìto, non ultimo dalla guerra mondiale. Ecco quindi la riconquista dell'Alsazia Lorena, la rivendicazione di Danzica, l'annessione dell'Austria, il ridisegno dei Sudeti attribuiti da Versailles alla Cecoslovacchia. E certo c'è
anche, nei suoi piani, un progetto anticomunista, che sovraccarica la dose e la fa trasbordare. Ma nessuno, nei Paesi democratici, si oppone veramente alla riconquista dell'Alsazia Lorena, e anzi la cosa riceve una certa "comprensione", proprio perché letta come discutibile ma "ovvia" rivendicazione "nazionale" ecc...
Ma quel che mi interessa, al di là della polemica sull'hitlerismo, è avvertire come in Europa il concetto dello Stato-nazione è divenuto un assoluto acciecante, che non ammette discussione: si ritiene che lo Stato-nazione sia un dato... naturale: il che non è vero: Lo Stato nazione nasce per determinazione di élites politiche, che elaborano complesse strategie di persuasione e di formazione dell'opinione pubblica, creando miti (come quello, orrendo, dei caduti per la Patria nella prima guerra mondiale, vendicati solo dalla virulenta, iconoclasta prosa di Céline) e imponendoli - o essendone imposti, a loro volta. La Francia, dove il processo assume la sua forma classica e "perfetta", è un esempio da laboratorio. Le sue classi dirigenti, fino a Mitterrand, si sono sempre inflessibilmente rifiutate di pensare, e far pensare, che la Francia è più composita di una Macedonia, ed è tenuta assieme solo da una pressione culturale enorme, che ha il suo fuoco su Parigi, centro, ombelico, immagine, motore di tutto. Ma i
o conoscevo amici bretoni, trenta anni fa...e in Provenza c'è ancora, almeno nella cultura, il ricordo dolente del massacro della crociata degli Albigesi, della distruzione della cultura di lingua d'Oc (Languedoc), delle piccole libertà dei troubadours, ecc., della piacevole di corte, dell'amore cortese, ecc., che vennero spazzati via dall'alleanza tra Papa e Re di Francia (difensore della fede). E la Borgogna, ultimo grande Feudo, dove fiorì fino all'estremo il gotico flamboyant, la cultura di un medioevo cortese e aristocratico (si legga in proposito "Huizinga - L'autunno del medioevo", un classico della storiografia del '900), anch'essa inglobata violentemente dalla "politica" dei re di Francia. Fu un fatto "positivo" nel senso che costruì comunque lo Stato moderno: ma oggi io ritengo che la cultura sottostante sia finita, minata da una infinità di fattori, di elementi diversi: la mondializzazione del mercato, l'impossibilità dell'etica del morire per la patria, la necessità dell'Europa, la non necessità
intrinseca dello sforzo di ridurre tutto sotto un unico denominatore, che non serve assolutamente più ed è anzi antieconomico, dispersore di energie, ecc.
Per dare un ultimo tocco a questa forzatamente stringatissima ricostruzione (che peccato che nessuno mi offra un corso presso una università...) vorrei ricordare che, subito dopo la Riforma protestante, nel pieno di quell'orrore...bosniaco che furono le guerre di religione (mi pare che Brecht....), venne coniata la famosa norma giuridica, assunta sia da cattolici che da protestanti: "Cuius Regio, eius Religio", che significava, letteralmente, che la gente doveva professare la religione del principe della regione di residenza. Dove il principe era cattolico, i protestanti vennero cacciati, massacrati, stuprati etc.; dove il principe era protestante, toccava ai cattolici di pagare il prezzo...
Su queste basi, e non su altre, venne edificata l'Europa delle nazioni, l'Europa che non conosce altra cultura che quella dello Stato-nazionale: una cultura che Milosevic applica fedelmente, con in più la cieca ottusità del suo essere militare serbo e excomunista totalitario...
La cosa non mi stupisce: nemmeno nel partito radicale si riesce a concepire, immaginare, provare a inventare la culltura, una ipotesi, di Stato federale...Mentre basterebbe leggere con attenzione, e sopratutto "capire", il suo statuto - quello degli anni '60 - e prendere nota e sviluppare alcuni passaggi pannelliani, per rendersi conto che sarebbe facilissimo (ah, perché nessuno mi offre un corso presso una università?).
P.S. La risposta è semplice: perché nelle Università c'è solo una cultura mononazionale, ecc., e di pensare a qualcosa di nuovo i nostri "liberal" non ci pensano proprio: sennò, come osserva tranquillo tranquillo Panebianco, come potrebbero cooptarsi gli uni con gli altri, in un rondò viennese e senza problemi di sorta? Dovrebbero...pensare.