La Camera dei Deputati,
considerando:
- che in tutta la sua storia il Tibet è riuscito a conservare un'identità nazionale, culturale e religiosa distinta da quella della Cina fino a che tale identità non ha cominciato ad essere erosa a seguito dall'invasione cinese;
- che nel Turchestan orientale (regione dello Xinjiang) si registra sin dall'invasione del 1947 una grave repressione della libertà di culto e vengono denunciati gravi violazioni dei diritti dell'uomo ai danni della popolazione uigura;
- che la Repubblica popolare di Cina ha attuato sin dalla invasione del 1947 fino ad oggi, una politica di violenza e di oppressione verso la popolazione autoctona della Mongolia interna che ha condotto all'insediamento di oltre 20 milioni di cinesi in quel territorio riducendo la popolazione autoctona a esigua minoranza nel proprio Paese (3,6 milioni di mongoli secondo stime del 1992);
- che il Tibet storico è costituito da tre Regioni: l'U-Tsang, l'Amdo e il Kham e che una parte sostanziale di esso non fa parte di quella che la repubblica Popolare di Cina definisce come Regione autonoma tibetana (TAR);
- che, prima dell'invasione cinese del 1949, il Tibet era riconosciuto de facto da numerosi Stati e che esso costituisce un territorio occupato illegalmente ai sensi dei principi stabiliti dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite;
- che pertanto il Dalai Lama e il governo tibetano in esilio appaiono i legittimi rappresentanti del popolo tibetano;
- che le proposte del Dalai Lama al governo cinese, come quella del Piano in Cinque Punti del 1987 e quella presentata al Parlamento europeo nel 1988, sono volte ad ottenere una soluzione pacifica al problema tibetano e potrebbero costituire un valido fondamento per negoziati sino-tibetani senza precondizioni;
- che, in risposta alle pur moderate proposte del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio, la Cina non ha smesso di insediare coloni cinesi in Tibet, al punto che i tibetani sono ormai minoranza nel loro stesso Paese;
- che l'incremento dei trasferimenti di popolazioni cinesi in Tibet, in Mongolia e nel Turchestan orientale, attuato in questi ultimi anni rischia di provocare a breve scadenza la pura e semplice scomparsa dei popoli tibetano, mongolo ed uiguro;
- che le azioni politiche del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio, dei rappresentanti in esilio dei popoli del Turchestan orientale e della Mongolia interna sono ispirate e informate alla teoria e alla prassi della nonviolenza gandhiana e quindi al rispetto profondo degli interlocutori con i quali si ricerca il più costruttivo dei dialoghi;
- che la Repubblica Popolare di Cina ha messo in atto un regime di polizia e di controllo e attua una politica di sistematiche violazioni dei diritti fondamentali della persona che consistono anche in una discriminazione razziale e culturale istituzionalizzata;
- che la stessa libertà religiosa viene conculcata dalla Repubblica Popolare di Cina nei confronti dei tibetani, degli Uiguri e dei Mongoli e in tal senso è emblematico il caso di Gedhun Choeky Nyima, il bambino di sette anni riconosciuto come Panchen Lama dal Dalai Lama, rapito e tenuto sotto sequestro da quasi due anni dalle autorità cinesi e la chiusura nel solo anno 1996 nel Turchestan orientale di oltre 100 scuole coraniche e l'arresto di oltre 180 professori e studenti;
- viste le risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 1353 (XIV) del 1959, 1723 (XVI) del 1961, 2070 (XX) del 1965
- vista la risoluzione sull'invasione e l'occupazione del Tibet e la repressione della sua popolazione da parte delle autorità cinesi, approvata dal Parlamento europeo il 13 luglio 1995 (B4-1007/95);
- vista la risoluzione sulla situazione dei diritti dell'uomo nel Turchestan orientale approvata dal Parlamento europeo il 10 aprile 1997;
- viste le risoluzioni sulla situazione in Tibet approvate di recente dal Parlamento tedesco, dalla Camera dei deputati belga e dal Parlamento lussemburghese;
- vista la risoluzione adottata dalla Commissione Esteri della Camera dei Deputati il 12 aprile 1989 "per una soluzione pacifica della questione tibetana"
condannando:
- le violazioni gravi e sistematiche dei diritti dell'uomo in Tibet, nel Turchestan orientale e nella Mongolia interna, in particolar modo gli arresti e le detenzioni arbitrarie così come la tortura per ragioni politiche; le violazioni dei diritti delle donne, in primo luogo le sterilizzazioni e gli aborti forzati; la privazione della libertà religiosa; tutte violazioni che, con la distruzione delle ricche culture di quelle popolazioni e i trasferimenti di popolazione cinese, minacciano la sopravvivenza stessa dei popoli tibetano, uiguro e mongolo e costituiscono una vera e propria politica di pulizia etnica;
- la distruzione dell'ambiente naturale dell'altopiano tibetano, in particolar modo, il disboscamento abusivo, lo stoccaggio dei rifiuti tossici e radioattivi, che ha conseguenze non solo nel Tibet, ma per tutta la regione e per il mondo intero;
- ritenendo opportuno che il Parlamento italiano operi perché il Parlamento tibetano in esilio venga ammesso all'Unione Parlamentare internazionale;
impegna il governo a:
1. chiedere al Governo della Repubblica Popolare di Cina di interrompere immediatamente i trasferimenti, da esso incoraggiati ed organizzati, di popolazioni cinesi in Tibet, Mongolia interna e Turchestan orientale e di iniziare i processi di decolonizzazione restituendo loro le terre, le colture, le case espropriate durante gli oltre 40 anni di occupazione;
2. assumere le iniziative necessarie per ottenere che al governo tibetano in esilio venga attribuito presso le Nazioni Unite lo status di osservatore;
3. chiedere al governo cinese di porre fine alle violazioni dei diritti della persona e di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei popoli e degli individui nel Tibet, Turchestan orientale e Mongolia interna;
4. favorire ogni iniziativa intesa a risolvere il problema sino-tibetano mediante il dialogo politico e chiedere al governo della Repubblica Popolare di Cina di rispondere positivamente alla proposta del governo tibetano in esilio di avviare negoziati senza precondizioni sotto l'egida delle Nazioni Unite;
5. favorire ogni iniziativa tesa ad avviare un dialogo politico con tutte le parti interessate alle questioni del Turchestan orientale e della Mongolia interna, al fine di trovare una soluzione pacifica negoziata in relazione alle diverse richieste delle popolazioni uigura e mongola;
6. manifestare in tale contesto il sostegno dell'Italia agli sforzi esplicati dal Dalai Lama e dal governo tibetano in esilio per ripristinare pacificamente le libertà culturale e religiosa del popolo tibetano, nonché il suo diritto all'autogoverno;
7. chiedere al Governo della Repubblica Popolare di Cina l'immediata liberazione del Panchen Lama;
8. operare affinché le questioni del Tibet, del Turchestan orientale e della Mongolia interna, vengano iscritte all'ordine del giorno dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nonché del Comitato per la Decolonizzazione;
9. assumere in tutte le sedi internazionali pertinenti iniziative volte ad ottenere che siano applicate le risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 1353 (XIV) del 1959, 1723 (XVI) del 1961, 2070 (XX) del 1965;
10. trasmettere la presente mozione al governo cinese, al Dalai Lama, al Presidente del Parlamento tibetano in esilio, al governo tibetano, ai rappresentanti dei movimenti in esilio del Turchestan orientale e della Mongolia interna, al Segretario generale delle Nazioni Unite, ai presidenti del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo ed ai Presidenti dei parlamenti degli Stati membri.