nota di Antonella Porceluzzi
Roma, 26.08.99
Riflessioni "a caldo":
La domanda chiave è "Ci sono rischi nell'intrattenere rapporti economici con paesi non- o poco democratici? Quali?". Questo è il punto intorno al quale ruota tutta la questione, perché se ci sono rischi l'impostazione della campagna è completamente diversa che se non ce ne sono (malgrado entrambe le situazioni vadano poi situate nello stesso ambito di non-democrazia socio-economica e/o politica). E' su questa questione specifica che varrebbe la pena fare un sondaggio.
Sono propensa a credere che sia molto plausibile la versione che non ci sono rischi, come dalle ultime testimonianze che ho raccolto (ad es. del camionista zairese, per intenderci) e che ti riportavo. Il che significa piuttosto che i rischi sono di norma più che compensati dai vantaggi. Secondo questa testimonianza soprattutto non ci sono rischi per le grandi imprese, e in fondo non ce ne sono neppure per le medio-piccole. Ovvero:
le grandi imprese hanno forti collegamenti con i governi, vendono armi o sfruttano le risorse naturali. Nell'ultimo caso la presenza di disordini o guerre è preferita perché rende più facile e conveniente la negoziazione dei contratti di sfruttamento; in ogni caso la loro presenza è tutelata. Anche la caduta dei governi locali non comporta più di tanti problemi.
le piccole e medie imprese ricevono dall'intrapresa nei paesi non democratici incentivi tali (es.tributi e tasse bassissimi, costo del lavoro infimo, costi generali assai ridotti) da far passare in secondo piano i costi dovuti alla scarsa democrazia (corruzione, ignoranza delle manovalanze, burocratizzazione, instabilità del governo, instabilità finanziaria, differenze culturali e religiose).
Torno però a riflettere sull'ipotesi della presenza di rischio. A parte quelle "isole felici" delle quali parlavamo, come le tigri asiatiche, in parte l'America Latina, i paesi del Mediterraneo e del Pacifico e qualcos'altro, l'espansione dei commerci internazionali è davvero così veloce? Come anche tu facevi notare, che succede in Cina e India? Era più o meno questo il punto della globalizzazione su cui cercavo di focalizzare l'attenzione mentre parlavamo, ma che mi sfuggiva: si parla di globalizzazione, ma dov'è in realtà? Non c'è un mercato globale nella comunicazione, non per la produzione, tanto meno per il consumo. Siamo ben lungi da questo.
In questo senso ritorno a pensare che i rischi ci sono:
"no business without democracy" significa che non è bene fare business dove non c'è democrazia, ma anche -e forse innanzitutto- che non è possibile fare business dove non c'è democrazia, o almeno è difficile. Anche al Sud-Italia è difficilissimo per un imprenditore investire, a causa di elementi non-democratici più forti di quelli nominati sopra: mafia (e non "semplice" corruzione), cattivo sistema bancario (che rende impossibile richiedere crediti), mancata conoscenza del territorio e della sua cultura. Questi fattori penso che incidano fortemente sulla decisione di un'impresa di investire in un luogo piuttosto che in un altro. In ogni caso fanno pensare che ci siano elementi non democratici con i quali l'economia legale riesce a convivere, ed altri che ne rendono impossibile lo sviluppo.
Vorrei capire, cercherò di procurarmi i dati, se sono più gli imprenditori privati che investono in paesi critici, o se sono più gli organismi non governativi, associazioni umanitarie, enti per la cooperazione internazionale. Solo le imprese (private) sono indicative della presenza (o meno) di pesanti rischi economici dovuti all'assenza della democrazia. E' necessario disaggregare e distinguere per CAPIRE.
2a serie di riflessioni
SOTTOLINEARE I COSTI E RISCHI dell'intrapresa in paesi non-democratici E' BANALE . Perché? Tutti lo sanno, chi vuole rischia, forse rischiare è anche meglio che altro per le prospettive della democrazia.
Forse meno banale è: NO GLOBALIZATION without DEMOCRACY. Non è un caso che internet e tutti i fenomeni ad esso collegati si stiano sviluppando in paesi dotati di una forte democrazia, come gli USA. Democrazia aiuta la democrazia.
3a serie di riflessioni
Generalizzare e allargare il problema significa riproporlo come problema vecchio, e di per sé molto difficile da intaccare.
Sono andata a rivedermi il mio progetto originale, e l'innovazione di prospettiva consiste nel porre il tema del sottosviluppo e della carenza di democrazia forse per la prima volta alla ribalta della politica nazionale, e questo è possibile perché lo si riferisce direttamente alle imprese, che costituiscono uno tra i più forti e attuali interessi di governi e cittadini (in ogni nazione). Legando poi questo all'attualità del PR, date le attività a favore della libera intrapresa, come da Assemblea dei mille a Monastier, direi: così come le imprese chiedono maggiori libertà e democrazia in Italia, così possono richiedere maggiori garanzie e impegno sul terreno internazionale.
4a fase di riflessione
Potrebbe essere buona l'idea di fare una PRE-CAMPAGNA
"WHICH BUSINESS WITHOUT DEMOCRACY?"
durante la quale si intervistano gli imprenditori (i buoni contatti direi che non mancano), per chiedere loro direttamente come si fanno affari in paesi non democratici, che rischi si pongono, che prospettive per gli affari e per la democrazia (nostra e altrui), quali proposte vengono da loro per una campagna BUSINESS/DEMOCRACY, quali posizioni prendere e quali azioni condurre.
In questo modo si potrebbe fare della campagna e attraverso la campagna una serie di azioni mirate che partono dal basso, come ad es. la tua intenzione di richiedere al PE un'indagine sui casi di tangenti in Belgio.