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- 27 agosto 1999
NO BUSINESS WITHOUT DEMOCRACY

Non e' facile distinguere nelle varie riflessioni di Antonella aspetti che possono esserci utili per lanciare una campagna di questa fatta. Premetto che in linea generale sono d'accordo con l'idea base e con il suo interfaccia "democrazia chiama democrazia".

La domanda che mi viene spontanea e': ma perche' mai un'azienda del triveneto o belga o indiana dovrebbe avvicinarsi a questa iniziativa? E mi viene in mente, non mi ricordo piu' il nome, quella multinazionale di scarpette da ginnastica che pubblicizzava la sua produzione come esente da qualsiasi sfruttamento del lavoro minorile, in un momento di grande attenzione mondiale su questo "scandalo" da tutti conosciuto ma utilizzato sempre nel momento mediatico giusto (Giornata mondiale del fanciullo, ecc.). Che tipo di ritorno puo' avere?

Forse mi sto gia' allontanando dal punto centrale, quello cioe' della creazione della banca dati, almeno in una prima fase, ma se vogliamo capirne l'utilita' dovremmo arrivare a fare della banca dati una iniziativa politica, piena, di sostegno a tutto cio' che e' il suo progetto base, e cioe' l'accumulazione dei dati, pur sempre utili.

Nei documenti si arriva gia' ad una interessante delineazione di fasi preliminari che mi sembrano piu' idonee a capire e far meglio maturare gli aspetti piu' politici della proposta. Il bacino-collettore di informazioni dell'Osservatorio, di per se' mi sembra gia' oltremodo impegnativo, ma necessario. Si parla, sempre nei due ricchi (fin troppo) documenti, non a caso di due dei paesi nei quali le due componenti che accennavo all'inizio hanno oggi forte rilevanza: India e Cina.

E si parla - vado a ruota libera - giustamente di "globalizazzione", oggi un vero e proprio "masticone" molto inflazionato. E forse su questo punto, cosi' caro, nel bene e nel male a seconda delle occasioni, a molti terzomondisti potremmo iniziare a riflettere senza indugi e com maggiore decisione. Ma se volessimo (e non e' fuori luogo), potremmo inserire in questa fase di confronto anche le cosidette "politiche di ingerenza umanitaria" che, per esempio, come quella ONU, vorrebbero salvare la Corea dal Nord (giustamente) dalla crisi alimentare senza pero' toccare il problema della dittatura. E quindi non la salvano. In questo senso i dati dell'osservatorio potrebbero essere utili per muoversi anche su questi aspetti, solo apparentemente estranei alla discussione (la famosa globalizzazione, mercato equo e solidale in altre situazioni).

Affari e politica: un binomio di non facile convivenza e di difficilissime contraddizioni. L'idea base, se posso esprimermi, mi sembra ottima. Gli enigmi da risolvere e' come prepararle il terreno trovando, con quelle che sono le nostre forze e risorse, poche o molte iniziative "volano".

Concludo con due note critiche e con una banalita'.

La prima: nel presentare la proposta Antonella descrive l'idea progettuale come una possibile "Amnesty International delle imprese". Secondo me e' proprio quello da evitare. Amnesty e' neutra e neutrale. Noi no.

La seconda: se la nostra speranza e' quella di creare una lobby internazionale democratica delle imprese per la denuncia dei governi non-democratici, allora la vedo .... veramente difficile. Non ho sinceramente molta fiducia nelle lungimiranze - ripeto l'esempio della grande multinazionale delle scarpette da ginnastica - della grande e piccola industria. In fondo anche i nostri 20 referendum cosi' ci insegnano nel piccolo teatro nazionale.

La banalita': vediamoci attorno ad un tavolo.

 
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